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TESTO Secondo la parola del Signore

don Marco Pratesi  

XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (26/07/2009)

Brano biblico: 2Re 4,42-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,1-15

1Dopo questi fatti, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. 3Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

5Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. 7Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 8Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». 10Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 11Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 12E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

14Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». 15Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

L'episodio prende l'avvio dal gesto di un anonimo che intende onorare il profeta con un dono: venti pani, frutto del nuovo raccolto. Se non è propriamente un atto liturgico, come quello di cui si parla in Lv 23,17-18, ha comunque un significato religioso, sia perché si tratta di primizie (il primo frutto si offre a Dio come riconoscimento della sua sovranità e generosità), sia perché i pani sono offerti a un "uomo di Dio", in omaggio quindi a Dio stesso. Si tratta poi di un gesto di generosità, soprattutto se, come è probabile, vale per il nostro racconto quanto si legge appena prima: si era in tempo di carestia (4,38). Anche l'ambientazione è assai probabilmente quella del racconto precedente (la minestra avvelenata, 4,38-41), e siamo dunque nell'ambito di una comunità profetica. Le "cento persone" (cf. 1Re 18,4.13; 2Re 2,7.16-17) e la "gente" di cui parla il nostro breve racconto sono appunto i "discepoli (figli) dei profeti" (cf. 4,1; 4,38 etc.), membri di associazioni profetiche che facevano vita comune e avevano in grande onore Elia prima e Eliseo poi. Da 4,38 sembra lecito dedurre che Eliseo vi godesse di una certa autorità.

Ricevendo il dono, Eliseo ordina al servitore di condividerlo con tutta la comunità, suscitando la sua ben sensata reazione: i pani erano infatti sufficienti soltanto per una ventina di persone. Segue la solenne proclamazione della Parola del Signore: "ne mangeranno e ne lasceranno", per altri. La Parola diviene fatto: essi mangiano e ne lasciano ancora.

La Parola di Dio non è parola vuota, e nemmeno semplice riconoscimento e comunicazione, ma realizza quanto proclama, è parola efficace. Parola e fatto non sono separati ma si corrispondono, per cui la parola diviene fatto e il fatto parola. Il messaggio è chiaro: nel Dio d'Israele, e nella sua Parola, si trova effettiva salvezza. E' lui che sempre, anche in tempi di fame, utilizzando le (scarse) risorse umane, materiali e spirituali, "dà il cibo ad ogni vivente" (Sal 145,15) mediante la sua parola feconda e creatrice. Ogni vivente, ogni "carne", sta bramosa di vita di fronte a Dio (Sal 104,27; 136,25) ma, a differenza di altre, la creatura umana è in grado di - ed è perciò chiamata a - riconoscere questa "sorgente della vita" (Sal 36,8). Proprio grazie a questo suo essere "famelico" egli scopre che la vita è parola e la parola è vita. La teologia deuteronomista lo ribadisce continuamente: pensare di trovare il pane, la vita, al di fuori della comunione con Dio è illusione e follia.

Questa "fame", oltre che della scoperta di Dio, è (dovrebbe essere) anche il luogo della fraternità: c'è un movimento di condivisione, che parte dal dono dell'anonimo, passa per la carità di Eliseo e continua all'infinito: perché di pani ne resteranno sempre anche per altri.

Un giorno la Parola vorrà farsi carne, non più soltanto in un "uomo di Dio", ma addirittura in un uomo-Dio. Non le basterà: vorrà farsi pane. Nella comunione con Gesù ci è offerto il pane e la parola, frutto della carità di Dio per noi, permanente richiamo e pressante invito alla comunione con Dio e i fratelli.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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