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TESTO Commento su Marco 6,30-34

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XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/07/2009)

Vangelo: Mc 6,30-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,30-34

30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 32Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.

34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

PRIMO COMMENTO ALLE LETTURE

a cura di Marco Simeone

Siamo in piena stagione estiva e anche il Vangelo ci parla di un tempo di ferie che Gesù concede ai suoi.

A parte gli scherzi questa domenica le letture hanno un filo conduttore che è mostrare Gesù come vero pastore, come Colui che unico è capace di dare il vero cibo alle proprie pecore, non come tutti gli altri pastori che sono solo una pallida imitazione... ma partiamo dal Vangelo.

Gesù aveva inviato i suoi discepoli in missione, erano tornati pieni di gioia e di rinnovata fede in Lui, ma ancora non avevano avuto un tempo per digerire quello che avevano vissuto: allora Gesù stesso ordina loro quello che chiameremmo un periodo di forzato riposo, perché ovviamente il “lavoro” era cresciuto. Di per sé questa è una scena di vita quotidiana, almeno a prima vista, ma se guardiamo con maggior attenzione ci leggiamo tutta la sollecitudine che il Buon Pastore ha per ciascuno di noi e, soprattutto, per la nostra vita: immaginiamo che Gesù dica a noi oggi “vieni in disparte e riposati un po’” certamente ci sembrerebbe strano, ma poi a cosa penseremmo? All’ombrellone al mare? Ad un viaggio? Gesù si prende cura di noi e ci dice oggi: “prenditi un riposo da tutto ciò che non ti dà vita, da quello che non ti sazia e non ti disseta!” allora l’esercizio diventa più difficile, l’ombrellone sfuma, e rimaniamo a guardarci dentro, a doverci fermare per leggere dentro di noi quello che stiamo vivendo, quali scelte abbiamo/non abbiamo fatto e dove ci hanno portato. Io penso che quel periodo di riposo, che poi durerà ben poco, è quello spazio di silenzio dentro di noi che ci permette di far decantare le singole esperienze e di vagliarle, per scoprire dove era il Signore a parlarci e a guidarci, e dove eravamo noi stessi a far tutto.

Il vero pastore dà il cibo giusto, e Gesù ci dona addirittura se stesso nell’Eucarestia e nella sua Parola, ma ancora di più ci fa crescere, ci guida alla piena maturità, con la grazia dello Spirito Santo ci guida alla verità tutta intera; questa è la firma del pastore vero e che lo contraddistingue da tutti quelli che sono posticci: essere e guidare alla Verità tutta intera. Allora oggi Gesù ci chiede di rientrare in noi stessi e di ascoltarci, perché anche questo è sano e doveroso, ma soprattutto di riconoscerlo dentro di noi e ascoltare la Sua voce che continuamente parla al nostro cuore.

L’esperienza di un santo famoso ci può aiutare: la conversione di S. Agostino. In un brano delle sue “Confessioni” Agostino in piena crisi esistenziale e alla ricerca di verità sente una voce che lo invita “tolle lege” letteralmente “prendi e leggi” un brano della Scrittura, da quel momento la sua vita ebbe una sterzata notevole. Forse non proprio come lui ma anche a noi ora la liturgia ci invita a rientrare in noi e ad ascoltare il nostro maestro interiore, così lo chiamava S. Agostino, che ci parla, che ci insegna cosa ha valore e cosa non l’ha, cosa è cibo vero e cosa mera illusione, a valutare se con Gesù la nostra vita è cresciuta o mortificata; Gesù non ha paura della verità, Lui stesso è la verità: il mondo ha paura di queste verifiche perché sa di essere in difetto e allora riempie il silenzio con tutto il rumore che può e la distrazione di cui è capace.

Le altre letture ci aiutano in questo: la prima parla di un tempo terribile della storia di Israele che sotto la guida di re e sacerdoti incapaci, o addirittura in mala fede, stavano portando il popolo sull’orlo dell’abisso, in quel momento storico Dio parla attraverso il suo profeta smascherando i malvagi e, sorprendentemente, si fa carico Lui del suo popolo, annuncia il Suo intervento di salvezza. Penso che questa profezia sia una mano santa in questo tempo di sbandamento, la storia è guidata da Dio e per quanti peccati possiamo fare, Lui è più grande del nostro male e non permette che il giusto vacilli; questo non significa che i pastori malvagi se la cavino così... significa che Dio li smaschera per quella nullità che sono (falsi idoli, modelli inconsistenti, appagamenti fini a se stessi, e così via) e li mette davanti alla scelta se essere salvati o condannarsi ad un nulla senza senso. Il pastore si prende cura prima di tutto delle sue pecore, specialmente le più bisognose.

La seconda lettura ci mostra come Gesù si prende cura dei suoi: noi siamo inseriti in Lui dal Battesimo che ci ha uniti alla sua offerta al Padre che ha fatto sulla croce, e ci ha resi capaci di offrire noi stessi a Dio! Questa realtà ci potrebbe sembrare lontana dal nostro vissuto... proviamo allora a guardarla così: se uno volesse insegnare a qualcun altro ad amare, non si potrebbe dire soddisfatto se alla fine l’altro sapesse solamente parlare dell’amore, senza amare con i fatti e con il cuore. Così Gesù ci ha insegnato cos’è l’amore, che per noi combacia con Dio stesso, quando ci ha dato la possibilità, col Suo Sangue, di fare della nostra vita un dono per il Padre, prima di tutto, che si esprime nel dono che facciamo ai nostri fratelli, quelli vicini a noi, non più separati da alcun muro: questo significa essere a lode della sua gloria: come il Padre ci vuole, come ci aveva pensato all’inizio e come continua a spingerci ad essere, cioè felici.


SECONDO COMMENTO ALLE LETTURE

a cura di Stefano e Teresa Cianfarani

La Parola di Dio ci presenta oggi il Signore come pastore premuroso, guida sicura per il suo gregge. Geremia nella prima lettura ci presenta un gregge disperso, confuso e diviso a causa del disinteresse o della malvagità dei pastori ai quali era stato affidato. “Guai ai pastori che fanno morire e disperdono il gregge del mio pascolo”. E’ terribile la maledizione di Dio per i falsi pastori, per gli impostori, per chi scandalizza il gregge per chi lo svia. Ad ognuno è affidato un piccolo gregge. La famiglia, gli amici, il gruppo di lavoro. In tutti questi ambiti possiamo essere fedeli testimoni dell’amore di Dio o, al contrario, sfruttare le persone e le situazioni per il nostro interesse. E per essere buoni pastori il presupposto fondamentale è quello di preoccuparci delle pecore che ci sono affidate. Prenderci cura dei loro bisogni, della loro sensibilità, delle loro aspirazioni.

Nel Vangelo sembra quasi che Gesù veda il gregge descritto da Geremia e guardandolo con tenerezza infinta si commuove.

Ma noi, cristiani del XXI secolo, uomini del nostro tempo, abbiamo veramente bisogno di un pastore? Siamo proprio assimilabili a pecore sperdute e confuse? Non è offensivo questo paragone per l’uomo moderno che ha svelato tanti segreti della natura, dell’inconscio, perfino del divino?

La prima immediata risposta da buoni cristiani è si, indubbiamente abbiamo ancora bisogno di un punto di riferimento, di una guida, un faro sulla cui luce cercare di basare la nostra rotta per ridurre il rischio di ...perdersi. Ecco allora la necessità di una morale, una filosofia divina o un ideale. Scambiamo spesso il pastore per il recinto.

Eppure il recinto è solo il ricovero notturno delle pecore, per il resto il gregge trascorre tutto il giorno libero per i pascoli, ogni pecora vive a modo suo pur sotto lo sguardo attento del pastore che sa riconoscere ogni singola pecora, talora perfino le chiama una per una per nome. Purtroppo non ci sono alternative oggi come sempre, o seguire il pastore o perdersi e venire sbranati dai lupi.

Il nostro profondo bisogno del pastore si rivela nel momento della fatica e dello smarrimento, quando solo lui è capace di tornare sui suoi passi e affrontare la notte per venirci a cercare. Proprio quando la pecora è perduta, il pastore le è ancora più vicino. In questi momenti l’uomo ha bisogno di un incontro, non di concetti. Nello smarrimento solo l’avvenimento cristiano di Dio che ci viene a cercare per condividere il peso delle nostre miserie e del nostro dolore può salvarci dalla disperazione.

Gesù vorrebbe fermarsi un poco a riposare con i suoi discepoli, ma “vista la folla si commosse perché erano come pecore senza pastore”. Riesce a vedere nell’anima di ogni uomo e donna l’immensa sete di Dio. Il bisogno di verità, di riscatto, di senso. Ed allora riprende ad insegnare. Ricomincia a guidarle, una ad una, perché tutte, senza eccezioni, si salvino.

Ma non si limita a guidarle con il suo insegnamento, le mette al riparo donando se stesso. Diversamente dai pastori malvagi di Geremia, Gesù il buon pastore, si prende cura delle sue pecore sacrificando se stesso. Si offre come preda per soddisfare l’appetito del lupo e così salvare definitivamente il proprio gregge dalle fauci del feroce predatore. Offrendosi sulla croce, Gesù pastore raduna le sue pecore marchiandole con il suo sangue prezioso e rendendole degne del paradiso. Distrugge così come scrive San Paolo l’inimicizia, la diffidenza e la paura. Grazie al suo sangue la divisione del gregge e tra il gregge e Dio è superata per sempre. Egli rappacifica con il sacrificio l’intera umanità con se stessa e con Dio.

Ecco perché abbiamo bisogno di tale pastore. Da soli ci perderemmo, non ce la faremmo a vincere il male che si agita dentro di noi ed intorno a noi. Ma incorporati in Cristo come tralci alla vite, come membra al corpo, con la sua Grazia santificante vinciamo la “buona battaglia”.

Con il salmista possiamo allora dire “felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita”.

 

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