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TESTO Il Pane di Vita

don Fulvio Bertellini

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (02/06/2002)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Campato per aria?

"Io sono il pane vivo, disceso dal cielo". Il discorso del pane di vita del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni è tutto paradossalmente sospeso tra termini molto concreti (pane, carne, sangue, mangiare, bere, vita...) e una loro applicazione che pare sfuggire alla normale esperienza, fino ad ad apparire evanescente (scendere dal cielo, vivere in eterno, dimorare in lui...). Il parlare di Gesù non è un semplice parlare figurato, per immagini, ma interpreta in profondità la nostra esperienza. Ci fa scoprire una dimensione che va al di là di quello che possiamo vedere e toccare; ma nello stesso tempo non resta totalmente inaccessibile ai nostri sensi.

Pane morto

Gesù si presenta innanzitutto come "pane vivo". Mentre quello che mangiamo normalmente potremmo chiamarlo "pane morto". E' il pane che ci tiene in vita; ma che ci tiene in vita per la morte. Giorno per giorno mangiamo, beviamo, cresciamo, invecchiamo, fino a quando moriamo. La terra che dà il frumento è la stessa che accoglierà le nostre salme, sempreché non ci facciamo cremare, perché è più economico, occupa meno spazio, dà meno fastidio. Il pensiero della morte dà sempre più fastidio, e la cremazione è uno dei tanti espedienti per tecnicizzarla, esorcizzarla, ridurne l'importanza. Ma mentre scacciamo il pensiero della morte, diventiamo sempre più incapaci a cogliere la bellezza della vita. Anche la vita si riduce a produzione, consumo, divorare esperienze senza avere mai il tempo di gustarle appieno.

A contatto con il cielo

Gesù è il pane vivo: che non ci nutre per la morte, ma per la vita. Colui che è disceso dal cielo - vale a dire, colui che è in grado di metterci a contatto con il cielo. Qui cielo sta per mondo divino, il mondo della vita piena, stabile, duratura. Gesù ci fa entrare in questa nuova dimensione. Gesù passa quindi dalla parola "pane" alla parola "carne": con questo si allude alla sua persona, alla sua vita stessa. Tutta la sua esistenza è dono di amore, offerto perché il mondo abbia la vita.

L'obiezione dei Giudei fa progredire ulteriormente il discorso. Al di là del grossolano fraintendimento (come può costui darci la sua carne da mangiare?) il problema posto è quello decisivo: come si attinge alla vita nuova di Gesù? E' semplicemente un atto spirituale? E' solo l'adesione di fede?

Vero cibo - vera bevanda

La risposta di Gesù riprende in modo paradossale l'obiezione:"Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita". Quello che sembrava impossibile e assurdo, è esattamente quello che è necessario fare per entrare nella vita eterna. Qui si allude al sacramento eucaristico, che rende possibile nutrirsi del corpo di Cristo, partecipare alla sua Passione e alla sua Risurrezione. E' questo mangiare che ci fa entrare già ora nell'eternità, anche se la manifestazione piena si ha nell'"ultimo giorno".

Nella vita divina

Gesù sceglie un gesto quotidiano, semplice, abituale, come il mangiare e il bere, per assicurare una presenza speciale e un nutrimento alla nostra vita di fede. Essere suoi discepoli non può restare un'etichetta esteriore della nostra esistenza, ma diventa qualcosa di estremamente profondo e stabile. Partecipare al banchetto eucaristico ci coinvolge completamente, non perché sia un rito magico, né perché sia un ritiuale puramente esteriore: è il rito, il gesto simbolico che esprime in profondità quello che siamo, da dove veniamo e dove andiamo, e quale deve essere la qualità della nostra vita. Una vita che non ha paura della morte, che non ha paura di morire per donarsi.

Flash sulla I lettura

"Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere": il brano è tratto da uno dei discorso di Mosè al popolo di Israele, ormai giunto ai confini della Terra Promessa. Il rischio per il popolo è dimenticare di essere stato condotto per mano da Dio, di aver ricevuto tutto da lui. "... per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore...": Israele è continuamente tentato dalla fuga nell'esteriorità, nell'apparenza; a Dio invece importa quello che il popolo ha nel cuore, nella sua coscienza più profonda. A Dio non importa la facciata, l'apparenza rispettabile: è il cuore di Israele che deve essere attento all'Alleanza con il suo Signore. Ma solo il duro cammino nel deserto, con le sue prove e le sue difficoltà, è in grado di svelare autenticamente la coscienza più profonda del popolo.

"Ti ha fatto provare la fame...": proprio per la durezza del cuore dell'uomo, solo la fame può far capire l'importanza del pane; solo la schiavitù fa comprendere l'importanza della libertà; solo la lontananza fa tornare la nostalgia di Dio. Si tratta di una conseguenza del peccato, perché non dovrebbe essere così. Dovrebbe bastare la fiducia originaria in Dio, per renderci conto che senza di lui non possiamo vivere. Invece ce ne rendiamo conto solo quando, spinti dalla nostra ostinazione, andiamo a sbattere la testa contro un muro. "L'uomo non vive soltanto di pane, ma [...] di quanto esce dalla bocca del Signore". Il bisogno materiale dell'uomo non viene negato. Tuttavia l'uomo non può essere ridotto alla sua sola dimensione corporea, e ai suoi bisogni immediati. Solo la Parola che esce dalla bocca di Dio illumina completamente la sua esistenza.

Flash sulla II lettura

Paolo presenta qui le due dimensioni fondamentali dell'Eucaristia: l'aspetto verticale, di comunione con la vita di Gesù; e la dimensione orizzontale, di unione con i fratelli. Dal sangue di Gesù - cioè dalla sua morte in croce, seguita dalla risurrezione - deriva la nascita di una comunità nuova, il corpo di Cristo, formato da tutti quelli che sono in comunione con lui. Qui vediamo la potenza espressiva dei simboli eucaristici, capaci di significare contemporaneamente la morte, la risurrezione, l'offerta di Gesù, il suo amore, l'amore che ci lega ai fratelli, il perdono... Spesso si corre il rischio di sottolineare l'uno o l'altro aspetto dell'Eucaristia. In ambito di studio o di catechesi è certamente un'operazione necessaria; e anche nelle scelte pastorali può essere necessario sottolineare gli aspetti più carenti, o quelli di cui c'è più bisogno. Anche Paolo, in questo brano, mira soprattutto alla riconciliazione all'interno di una comunità divisa. Ma in una buona celebrazione e in una buona spiritualità, le varie dimensioni dell'Eucaristia dovranno necessariamente congiungersi. Solo così l'Eucaristia può essere il centro della vita delle nostre comunità, e della nostra personale vita spirituale.

 

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