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XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (12/07/2009)

Vangelo: Mc 6,7-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Dopo la presentazione del "gran rifiuto" ad opera dei compaesani di Gesù, Marco sottopone alla nostra meditazione l'episodio evangelico della missione dei dodici. Questo fatto è conosciuto da tutti i sinottici, che però lo riferiscono in maniera diversa: Mc parla dell'invio dei dodici; Lc riporta due missioni: questa e quella dei 72 discepoli; Mt fa una sintesi di Mc e Lc.

Nel brano di Mc non abbiamo coordinate spazio-temporali, né indicazione di altro genere; si dice solo che i ci fu un'investitura speciale, ebbero varie raccomandazioni e che predicarono la penitenza e operarono miracoli.

E chiamò a sé... la pericope si apre con una convocazione o chiamata, però c'è da dire che l'evangelista è molto arguto perché sottolinea in modo inequivocabile la modalità della missione: si può essere missionari nel momento in cui si è con Gesù. Questo stare con Gesù è il primo fine della vocazione (cf 3,14), perché presuppone un periodo di formazione, di approfondimento e soprattutto inculca nel discepolo il valore intrinseco e stretto della relazione individuale. Infatti, se non c'è una relazione soggettiva e forte con il Maestro non ci può essere mandato missionario. Questa relazione personale è importante perché colui che viene mandato agli altri deve essere l'espressione chiara ed evidente di colui che lo invia. Se alle spalle del missionario non c'è questa esperienza si rischia il fallimento. Stare con Gesù è vederlo come unico Maestro della propria vita e del proprio agire.

Potremmo dire con categorie moderne che non bisogna mai trascurare la formazione, o meglio che la formazione non si esaurisce con il compimento degli studi o di una fase di apprendimento, o il conseguimento di un titolo di studio, ma che bisogna, per dirla sempre con il nostro linguaggio, aggiornarsi. Naturalmente l'aggiornamento di cui parla il vangelo è lavorio interiore, profondo, spirituale che cammina in parallelo con un impegno umano altrettanto serio.

E comandò... queste raccomandazioni sono un po' il fondamento, la base di ogni forma di collaborazione dell'uomo con Dio. In sostanza il missionario deve poter esprimere nella sua vita quotidiana la fiducia nella Divina Provvidenza (...non prendessero...), che non abbandona chi si mette al suo servizio. Di questa fiducia nella Divina Provvidenza sono testimoni i grandi santi che noi invochiamo come nostri intercessori (es. S. Francesco d'Assisi, S. Francesco da Paola, S. Rocco, S. Pio etc). Inoltre un'altra tentazione da evitare è la ricchezza: sostituire il Dio Trino con il Dio quattrino è una tentazione che sta accovacciata sempre nella nostra vita.

Il missionario deve usare il denaro, ma non deve trattenerlo... altrimenti ciò diventa motivo di preoccupazione e di schiavitù e di distrazione dall'impegno assunto con il Signore. Bisogna vivere una vita dignitosa, ma non bisogna omologarsi ai ritmi e ai canoni di un mondo "capitalista". I soldi servono non per essere trattenuti, ma devono essere un ponte per aiutare chi è effettivamente nel bisogno e nella necessità. La ricchezza non rende credibile nessuno... a maggior ragione un annunciatore del vangelo. Una riscoperta della povertà, come una saggia gestione di beni, deve essere un obiettivo della nostra esistenza. La ricchezza crea inevitabilmente squilibrio all'interno di una società e soprattutto nella vita. L'evangelista ci suggerisce che un'esistenza sovraccarica di pensieri "inutili" affatica e non rende felice nessuno... nemmeno chi apparentemente felice è.

Dovunque entriate in una casa... forse l'evangelista ci sta dicendo che la pastorale familiare deve essere anteposta a tutto. Il posto privilegiato della formazione cristiana, dopo la chiesa, deve essere la casa. Colui che annuncia il vangelo deve fare il proprio ingresso nella casa, perché questa diventi piccola chiesa domenstica e luogo della presenza di Dio. Anche in questo caso una riscoperta della pastorale familiare non fa male... ma non bisogna fraintendere pastorale familiare con una serie di sacramentali a cui si è abituati. La pastorale familiare è un impegno a fare delle scelte cristiane concrete e serie che spesso stridono con tutto ciò che ci circonda, ma che trovano il loro habitat e fondamento nel vangelo e nel desiderio di stare con Gesù. Anche in questo bisogna iniziare dall'ABC della fede (es. preghiera, rispetto, dialogo etc.).

Commento a cura di don Alessio De Stefano

 

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