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TESTO La purificazione - 2

don Daniele Muraro  

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (28/06/2009)

Vangelo: Mc 5,21-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Dicono gli esperti che “la salute è uno stato di completo benessere e non semplicemente l’assenza di infermità o malattia”. Allo stesso modo la salute dello spirito o stato di grazia non è solo assenza di peccato mortale, ma anche comunicazione viva col Signore.

La donna malata ottiene la salute quando tocca il mantello di Gesù, ma il Signore le dona la salvezza solo quando gettatasi in ginocchio davanti a Lui ella Gli espone “tutta la verità”.

Fermandosi e rivolgendo ai suoi accompagnatori quella strana domanda: “Chi mi ha toccato?” Gesù in realtà cercava un colloquio con chi l’aveva toccato di sfuggita.

Gli Apostoli rispondono: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te...” Sembra di sentire l’obiezione dell’apostolo Filippo di fronte al ragazzo che portava i cinque pani e i due pesci e dovevano mangiare più di cinquemila persone: “che cos'è questo per tanta gente?".

Gesù non si spaventa del numero. Egli vuole conosce personalmente ogni creatura umana che gli si avvicina, anzi ci dice il Vangelo, cercava con lo sguardo fra le facce in modo che al riconoscimento seguisse il dialogo.

E infatti la donna si fa avanti spontaneamente, tremante ma fiduciosa, consapevole del beneficio ottenuto e senza nascondere nulla al suo Signore.

Lo storico della Chiesa Eusebio racconta che passando da Cesarea di Filippi circa nell’anno 310 gli fu mostrata la casa della donna inferma e davanti all’abitazione sopra un grande masso poté ammirare due statue in bronzo: la prima di una donna con il ginocchio piegato e le mani protese nell’atteggiamento di supplica. Di fronte a lei stava un uomo in piedi, avvolto in uno splendido mantello, con la mano stesa verso la donna. Si trattava del monumento fatto costruire dalla stessa miracolata in segno di ringraziamento.

Così per espressa volontà dell’interessata il gesto della confessione era stato plasticamente fissato nel tempo a testimonianza per i visitatori. Purtroppo la composizione non esiste più essendo stata fatta distruggere dall’imperatore Giuliano l’apostata qualche decina d’anni dopo il racconto di Eusebio.

Il Vangelo però non termina qui. Gesù ha altra gente da accontentare. E anche nel secondo caso Egli sa indicare il contegno giusto.

Se alla donna guarita per strada e, diciamo così, di sfuggita Gesù impone di parlare, nel caso della figlia del capo della Sinagoga Gesù chiede il silenzio.

Era uso comune allora fare trambusto al momento del trapasso, soprattutto se si trattava di disgrazie. Attraverso il chiasso, i pianti e gli urli si esprimeva disperazione o forse ingenuamente si cercava di spaventare la morte e di cacciarla via.

Gesù restituisce alla scena serenità e dignità. I suoi gesti manifestano autorità ma anche discrezione. Gesù vuole che la riservatezza sia tutelata sia durante il miracolo che dopo.

Spiritualmente questo doppio racconto ha molto da insegnarci.

Nell’estremo pericolo non si può fare altro che gridare al Signore, sperando che ascolti, come nell’episodio della tempesta sedata di domenica passata. Ma quando si è fuori del rischio immediato quello è il momento di non dimenticarsi di Dio e completare quanto si era incominciato. La confessione serve proprio per questo. In ginocchio anche noi dobbiamo dire al Signore tutta la verità per poter ricevere di ritorno la risposta: “I tuoi peccati sono stati perdonati, va’ in pace!”

Da una decina di giorni è iniziato l’anno sacerdotale voluto da papa Benedetto nel centocinquantesimo anniversario della morte del curato d’Ars, san Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci.

Nella lettera di indizione il papa parla di un circolo virtuoso tra “presenza eucaristica” e “penitenza sacramentale” e incoraggia i sacerdoti a tornare al ministero della confessione: “I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali... al tempo del Santo Curato, in Francia, la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni...” (la rivoluzione francese aveva già fatto i suoi danni.) "In questa situazione “egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica.”

Fermarsi a pregare davanti al Tabernacolo e così preparati accostarsi al sacramento della confessione per tornare poi nella pace a ringraziare Dio presente nel santissimo Sacramento.

Dal mutismo dell’animo arrovellato fra dubbi e rimorsi passare all’esposizione piana della propria condizione al sacerdote per rientrare poi nel silenzio pacificato del perdono di Dio.

Nel Vangelo Gesù vuole sentire dire, ma poi mette anche a tacere. Se un peccato è stato perdonato da Dio, allora quello non esiste più, è scomparso nella realtà. Così deve essere per il confessore tenuto all’obbligo della segretezza e anche per il penitente perdonato, liberato dal peso del senso di colpa, non deve più tornarci su.

La pratica della vita spirituale richiede purificazione, ma lo sforzo di liberarsi dal male risulterebbe vano senza la destra tesa del Signore che afferra, solleva e rimette in piedi. Ancora oggi il Signore non ritira la sua mano dal mondo e continua ad dispensare il suo perdono attraverso il ministero dei sacerdoti. Ad essi Cristo ha imposto il dovere di arricchire i fedeli con i tesori della sua grazia. Il mezzo può apparire povero e i ministri di Dio possono andare soggetti a critiche, ma nella sproporzione degli intermediari umani appare con più evidenza la grandezza di Dio e della sua misericordia.

 

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