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TESTO Commento su Giovanni 20,25

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S. Tommaso apostolo (03/07/2009)

Vangelo: Gv 20,25 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 20,24-29

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Dalla Parola del giorno

Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò.

Come vivere questa Parola?

Una frase rintracciabile sulle labbra dell’uomo di ogni tempo. Oggi, come ieri, il dubbio assale: si vorrebbe constatare di persona, perforare il mistero, ridurlo alle nostre dimensioni.

Non è facile vivere di fede, perché non è facile consegnarsi, dando credito a Dio!

Si chiedono prove, e si rifiuta LA PROVA, la grande prova del Risorto. Si vogliono riscontrare sul suo corpo i segni di quella passione che rivela in modo inequivocabile l’immenso amore di Dio per noi, e ci si ferma scandalizzati di fronte ad esse, soprattutto quando le si riscontra impresse nel nostro corpo.

Cristo risorto ora vive in noi, nel suo mistico corpo di cui siamo membra. I limiti, prima ancora che le stesse sofferenze, rintracciabili nel nostro vissuto, sono le cicatrici gloriose del Risorto, sono il completamento della passione di Cristo, come ricorda Paolo.

L’opera redentiva ha vinto il male in radice, ma non ha cancellato la precarietà dell’esistenza: ferite certo, ma ferite di un Risorto che gridano il trionfo dell’amore su ogni umana debolezza.

Se imparassimo a guardare così, non solo il dolore, ma i limiti personali e altrui, tutto resterebbe trasfigurato. Paolo ci ricorda che là dove è il limite umano è anche operante la grazia di Dio per cui - ci dice – “Quando sono debole è allora che sono forte!”, perché nella mia debolezza è operante la forza della resurrezione. Non si tratta quindi di ‘fare pace’ con propri difetti, ma di affrontarli con il Risorto e grazie al Risorto, nel segno della pace.

Oggi, nel mio rientro al cuore, cercherò in me le ferite ancora sanguinanti del Risorto, non per piangere su di esse, ma per ringraziare Colui che se ne è fatto carico rivestendo la mia debolezza.

Tutto, proprio tutto tu volgi a bene delle tue creature, o Dio amante della vita! Grazie alla tua opera redentrice!

Le parole di una poetessa

La divina clemenza mirabilmente stabilì che quel discepolo incredulo, mentre toccava le ferite nella carne del suo Maestro, sanasse a noi le ferite dell'infedeltà. A noi infatti giova piú l'incredulità di Tommaso che non la fede dei discepoli credenti perché mentre egli, toccando con mano, ritorna alla fede, l'anima nostra, lasciando da parte ogni dubbio si consolida nella fede.
Gregorio Magno

 

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