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TESTO Dio non chiede curriculum

padre Gian Franco Scarpitta  

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XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (12/07/2009)

Vangelo: Mc 6,7-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,7-13

7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Come sempre si dice, la vocazione è un fatto di chiamata divina, ma interpretare che una scelta di vita, sia essa di indirizzo religioso, sacerdotale o sponsale corrisponda veramente alla volontà di Dio non è facile. Dio chiama sempre e in qualunque circostanza, Egli ha stabilito su ciascuno un progetto da portare a termine, tuttavia rarissimamente avviene che chiami qualcuno in modo inequivocabile, qualificandosi magari attraverso una visione o un’apparizione.

Il discernimento si compie sempre attraverso la preghiera e la direzione spirituale, prestando attenzione ai “segni” del nostro quotidiano in cui Dio rivela sempre in suo volere; lo Spirito Santo illumina e orienta al meglio nelle nostre decisioni e siamo sostenuti dalla grazia divina nel compiere il discernimento vocazionale; ciò nondimeno stabilire definitivamente che una determinata direzione intrapresa avvenga per vocazione = volontà del Signore è sempre un’impresa ardua e difficile, non esente da errori e fraintendimenti.

Nel verificare se un candidato sia chiamato dalla vita sacerdotale o al matrimonio o alla dimensione laicale sono stati commessi anche numerosi errori, sia da parte dei Seminari sia nelle intenzioni dei singoli soggetti interessati, con la disastrosa conseguenza che parecchi giovani in realtà votati al sacerdozio hanno intrapreso la vita matrimoniale e parecchi altri hanno abbracciato il ministero dovendo raggiungere l’obiettivo delle nozze e i risvolti perniciosi si intravedono non di rado nell’ambito della vita pastorale e di relazione con la gente. Tante vocazioni al sacerdozio si perdono per un mancato discernimento accurato sulla possibile volontà di Dio su ciascuno dei candidati, come pure per la mancata perseveranza di fronte ai malintesi o alle incomprensioni relative al percorso formativo e mi si permetta di dire che qualche volta nelle strutture di formazione si procede ora con poca cautela ora con eccessivo rigorismo nel condurre un giovane al sacerdozio o nel dimetterlo dal seminario.

Così pure, motivazioni banalissime e semplici pretesti banali hanno fatto si che venissero dispersi grandiosi progetti di vita matrimoniale e si sa benissimo quante siano al giorno d’oggi le scelte illusorie e fittizie di convivenza sponsale destinate a finire sul nascere o a distruggersi dopo pochissimi mesi. .

Ma perché si sbaglia nell’intraprendenza della scelta vocazionale, quando lo Spirito Santo garantisce la sua guida e il suo lume nella deliberazione del nostro destino? Perché si commettono errori nella determinazione della volontà di Dio su una persona, se Dio stesso comunque non fa mancare la sua assistenza a proposito di ogni chiamata? La risposta per quanto difficile possa sembrare, è in realtà semplice e scontata: non sempre i nostri procedimenti di valutazione sono conformi al volere divino; i nostri criteri di scelta si fondano su convinzioni personali, su parametri propri dell’umanità, a volte anche su pregiudizi, illazioni e inani conclusioni e non di rado si omette di considerare che le vie di Dio sono ben differenti dalle nostre, come pure ben diversi sono i Suoi criteri di elezione: i criteri di scelta vocazionale, proprio perché di origine divina, differiscono notevolmente dalle nostre impostazioni di pensiero. Dio ci chiama e ci orienta, ma nulla toglie al libero arbitrio con cui possiamo scegliere a favore o contro di noi.

La liturgia di oggi ci viene in aiuto rivelandoci comunque una certezza sulla possibilità che una scelta vocazionale sia realmente di provenienza divina: il senso iniziale di indegnità. Chi avverte un primario sensi di smarrimento, di inadeguatezza e incapacità nell’intraprendere una determinata missione, ebbene si trova di fronte ad un segno di vocazione effettiva; chi si ritiene non all’altezza oppure indegno di un determinato ruolo e si mostra titubante e insicuro prima di lanciarsi, proprio questi alla fine si riscontra davvero chiamato, ed è proprio da queste persone che ci si deve attendere il meglio della fecondità pastorale e dei benefici di edificazione spirituale: proprio coloro che inizialmente si reputano non all’altezza sono coloro che finalmente raggiungono obiettivi di apogeo offrendo il meglio delle loro risorse. E il loro entusiasmo e il loro zelo operativo supera in qualità quello di chi presume sin dall’inizio di avere qualità che in realtà non possiede.

E’ mia esperienza personale di tanti giovani prima biasimati e umiliati in seminario perché ritenuti incapaci e poco adeguati che oggi edificano il popolo di Dio semplicemente con la loro buona volontà e con la testimonianza operativa nel bene; come pure di tanti altri che prima esaltavano se stessi per le presunte capacità organizzative, le grandio doti personali ecc, che adesso hanno abbandonato il sacerdozio o vivono di stenti nella vita spirituale e nella relazione con i loro vescovi.

Non è forse vero che tantissimi personaggi biblici, chiamati da Dio a profetizzare o ad essere di guida al popolo, hanno avvertito un iniziale senso di indegnità, considerandosi non all’altezza del ruolo? E’ il caso di Mosè Giosuè, di Gedeone di Geremia e di tanti altri profeti. La prima lettura di oggi ci parla anche di Amos, che recalcitra di fronte alla proibizione del sacerdote di Betel Amasia di profetizzare giustificandosi espressamente con queste parole: “Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele.” Parole che si fondano sull’esperienza e che delineano uno stato vocazionale profetico che si deve esclusivamente alla libertà della chiamata di Dio, il quale prescinde da tutti quegli ammennicoli che per noi molto spesso sono invece fondamentali; Amos afferma di non essere neppure degno, fondamentalmente, del ruolo che ricopre adesso ma che proprio per questo si sente in dovere di recare a tutti, sempre e comunque, il divino messaggio. Capisce di non essere mai stato all’altezza della sua missione perché di origine rozza e per nulla erudita, fatto sta che Dio lo ha chiamato e questa è l’unica ragione per cui adesso si sente animato a parlare senza restrizioni e limitazioni, pur di adempiere il ruolo per cui ha ottenuto fiducia.

A differenza che nelle aziende dove a chiunque viene chiesto il curriculum e dove vengono privilegiati coloro che hanno vasta esperienza e professionalità in un determinato settore, quando si è chiamati da Dio non occorre esibire alcun certificato di idoneità o mostrare competenza alcuna e si deve considerare legittimo avvertire un iniziale senso di paura e di indegnità, perché proprio questa è la caratteristica della vocazione divina: sarà lo stesso Signore che ti ha chiamato ad attrezzarti adeguatamente equipaggiandoti di ogni particolare perché la tua missione si svolga nel modo più consono e adeguato, anche considerando che il compito che svolgi non appartiene a te, non corrisponde alla tua iniziative e neppure dalla tua capacità dipendono i risultati.

Così avviene che Gesù invia i Dodici attrezzandoli solo dell’essenziale: “nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.” Sarà infatti Dio stesso a provvedere al loro sostentamento materiale così come aveva fatto con Elia sotto il ginepro, come pure dal solo Signore dipenderà il successo, reale o apparente della missione medesima. Gli apostoli devono solo preoccuparsi di partire senza esitazione e senza lambiccare affatto sulla loro competenza e capacità o sull’efficacia dei loro risultati, poiché questi appunto non dipendono solamente dal loro operato. Essi vengono però inviati “a due a due”, questo sia per una necessità di ordine legalistico (una testimonianza in Oriente era valida solo se scaturente da almeno due persone) sia per garantire a ciascuno un sostegno di consolazione umana che non sia allo stesso tempo troppo invadente e dispersivo: camminare con un solo compagno accanto è infatti molto più consolante, in tempi di lavoro missionario, che non andare con un gruppo numeroso nel quale vi è sempre il pericolo di devianze e distrazioni. La differenza di carattere e di inclinazione, poi, di ciascun membro può sempre causare litigi e malintesi assurdi e sconvenienti. Viene salvaguardato insomma l’incoraggiamento unitamente alla buona volontà e allo zelo operativo.

I procedimenti con cui Dio elegge sono ben differenti da quelli con cui da parte nostra si operano le scelte professionali e non di rado anche (ahimè) quelle relative ad un determinato ambito di speciale consacrazione e non ci si deve meravigliare se a ricoprire un determinato ruolo siano i soggetti (apparentemente) “incapaci” o “non all’altezza. Quando a determinare una missione o un compito è solo il Signore, ebbene egli segue i suoi schemi precisi di libertà di scelta che corrispondono ai suoi arcani progetti e che non possono equipararsi ai nostri modi di pensare a volte ridicoli e insignificanti.

Al contrario, occorrerebbe sospettare di quanti si mostrano troppo sicuri di sé e ostentano grande orgoglio e presunzione. Quello che conta è in ogni caso interrogarsi seriamente che ogni ambito di chiamata e di scelta professionale, lavorativa, di consacrazione sia davvero di provenienza divina e nulla omettere a che il discernimento sia realizzato con i mezzi più adeguati e appropriati fuggendo ogni pregiudizio e ogni convinzione personale. Perché le vie di Dio non sono le nostre.

 

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