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TESTO Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare...

padre Gian Franco Scarpitta  

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (06/07/2003)

Vangelo: Mc 6,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Nessuno creda che l'attività missionaria dei sacerdoti e, per estensione, degli operatori pastorali in genere abbia sempre riscontro presso il popolo di Dio! Se è vero che molta gente è disposta ad accogliere il sacerdote o il missionario tutte le volte che questi bussi alla loro porta per qualsiasi motivo, è altrettanto vero che non poche persone, anche fra quelle più devote e convinte lo rifiuta con determinazione, specialmente quando questi abbia intenzione di comunicare un annuncio strettamente legato alla parola di Dio. Potrei raccontare molte delle mie esperienze relative a missioni e a predicazioni: non di rado (eccettuando molte famiglie ben disposte) il sacerdote viene visto con sospetto quando anziché bussare alla porta per la benedizione della casa, si accinga a farlo ai fini di comunicare le iniziative della parrocchia o semplicemente la Parola di Dio. Sembrerà strano e ridicolo, ma in una determinata occasione un confratello ed io fummo congedati durante una missione da una famiglia che rifiutava di accoglierci addirittura "perché stavano recitando il Rosario con Radio Maria"... E non sempre è vero che l'abito di noi sacerdoti religiosi susciti ammirazione e senso di rispetto fra la gente: in determinate occasioni portando questa veste si viene anche sbeffeggiati e derisi come "ingenui" e "sprovveduti".

Ed in condizioni simili si trovano anche molti laici consacrati, operatori pastorali o semplicemente persone zelanti nella fede e nell'esperienza ecclesiale; i quali non poche volte si trovano anche a dover fare i conti con un contesto lavorativo o di parentela nel quale parecchia gente è ben distante dal loro modo di pensare e sono costretti non poche volte a subire derisioni e scherni.

Tutto questo certamente non scoraggia (anzi non deve scoraggiare) chi si impegna per la causa del Vangelo e della parola di Dio, poiché nell'ambito dell'apostolato è normale che capiti questo e altro. Anzi, leggendo attentamente il libro degli Atti e le varie vicissitudini della Chiesa delle origini, io penso che la caratteristica primaria dell'attività apostolica non riguardi il successo immediato, ma piuttosto il "fallimento", ed è proprio quando il tuo annuncio viene rifiutato che cominci a scoprire come cosa certa che il tuo lavoro è realmente missionario. Del resto, simili situazioni possono anche rivelarsi come occasioni nelle quali si sta spargendo sul terreno un seme che con il tempo Dio farà crescere. I risultati spettano a Lui, ed è Lui che decide tempi e scadenze.

Inoltre, situazioni come quelle sopra riportate Dio le aveva previste.

Consideriamo infatti il profeta Ezechiele di cui parla la prima Lettura di oggi:

lui è di Gerusalemme capitale del regno di Giuda, e Dio lo invita a parlare proprio al suo popolo, che non è affatto docile all'annuncio, bensì una "genia di ribelli dalla dura cervice", e il messaggio che dovrà comunicare non è certo fra i più semplici: all'epoca Gerusalemme e gli Israeliti si trovano deportati a Babilonia a seguito di un saccheggio da parte del re Nabucodonosor e il profeta avrà il compito di convincerli che l'esilio, al di là delle varie motivazioni politiche ed egemoniche, è soltanto una manifestazione della collera di Dio nei loro riguardi, a causa della durezza del cuore e dell'ostinazione israelitica a non prestarsi all'ascolto della Parola del Signore. Dovrà insomma contrastare gli usi e i costumi degli Israeliti, e ciò non potrà che procurargli persecuzioni e cattiverie da parte loro!

Tuttavia egli è forte del sostegno di Dio, il quale prende in considerazione le sue paure e le sue perplessità e non manca di incoraggiarlo nelle sue incertezze così come aveva fatto con Giosuè, Mosè, Geremia e altri profeti: "Ma tu, figlio dell'uomo (Ezechiele) non temerli, non temere quello che diranno per contraddirti"(Ez 2,6)

Se dunque, come abbiamo detto all'inizio, è difficile che la missione possa trovare terreno fertile immediato in tutti i campi, è ancora più complicato che essa possa recare frutto nella terra d'origine del profeta.

Così afferma anche Gesù. "Un profeta non è accetto nella propria patria"

E il motivo i fondo è evidente: chi è cresciuto in un determinato paese e ha trascorso l'infanzia e l'adolescienza in mezzo a tanta gente che lo ha accompagnato nella crescita, inevitabilmente sarà guardato con occhi straniti e perplessi nella terra delle sue origini; sarà considerato solo come "il figlio di..." che adesso esercita una determinata attività; oppure verrà visto come uno che esterna idee e convinzioni del tutto differenti da quelle che sul posto si era abituati a sentire da parte sua, e (ahimè) che ha assunto convinzioni e atteggiamenti differenti che adottava una volta. E se anche il suo messaggio verrà ascoltato, esso non verrà certo assimilato né tanto meno messo in pratica, giacché si ascolterà la sua voce solo per una pura forma di ammirazione esteriore. ("Ma guarda com'è diventato bravo...!").

Ed è esattamente questo che sta subendo Gesù nella sua patria: lo si considera come il "figlio del carpentiere" che proferisce un linguaggio mai inteso prima.

Sia quel che sia, chiunque eserciti un ministero apostolico sia che si tratti di laici o di sacerdoti, resterà certamente deluso se lo farà con sole finalità di corrispondenza o riconoscimento di carattere umano. La sua soddisfazione deve risiedere piuttosto nella stessa ragione della sua missione e nella convinzione di dover recare a tutti un messaggio che non gli appartiene perché di provenienza divina: "Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare", cantava qualcuno(F. De Andrè). Solo in questo si trova la consolazione agli insuccessi e agli scoraggiamenti e si riscopre che il compito missionario intrapreso -di qualunque natura esso sia- non è mai cosa inutile giacché si è assistiti dallo stesso Signore che altre ad inviarci provvede ad attrezzarci di strumenti adeguati. E soprattutto ci dà la certezza che nell'apostolato Egli non pretende da noi risultati immediati(questi sono solo Suoi!), quanto piuttosto lo zelo e la volontà nell'agire: "Ascoltino o non ascoltino, almeno sapranno che un profeta è in mezzo a loro"(Ez 2, 5)

 

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