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TESTO Saper dire grazie

mons. Antonio Riboldi

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/10/1998)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

La saggezza della nostra vita è un saper dare ed un saper ricevere. In fondo nessuno di noi è totalmente sufficiente. Dovrebbe essere un 'dio' che non solo non ha bisogno di nulla e di nessuno, ma addirittura è talmente padrone della vita e del creato da non avere nessun 'buco nero' nell'esistenza. La realtà dice che tutti, ricchi o poveri, siamo davvero 'poveri'. C'è chi ha bisogno di un lavoro, chi di un pezzo di pane, chi della salute; chi della serenità di cuore; chi del senso stesso della vita. Tutti, ma veramente tutti, io compreso abbiamo bisogno di Dio e degli altri.

Ed il nostro cuore, quando è sgombro da ogni forma di egoismo, e quindi di chiusura verso gli altri che gli stanno vicini o lontani, ha una potenzialità di amare e quindi di dono che è la vera somiglianza con il Padre che questo cuore davvero ce lo ha formato a sua somiglianza.

Quando mi sento dire 'le voglio bene' – ed è il più bel dono mi si possa fare o vi possano fare, – mi chiedo sempre se chi mi dice 'le voglio bene', sa quale è il mio vero bene, ossia il mio profondo desiderio. Se si chiedesse ad un'anima che vive di Dio, risponderebbe che il suo grande bene è Dio e quindi volerle bene è aiutarla a conoscere, amare, essere con Dio.

Ricordo sempre l'esempio di mia mamma che nella sua vita non aveva altro desiderio che 'vedere Dio'. E questo desiderio poi lo riversava nel voler bene agli altri, a chiunque si rivolgeva a lei, pronta a dare tutto quello che aveva – ed era ben poco – pur di vedere un po' di felicità in chi si trovava nel bisogno. Gli ultimi anni della sua vita non volle possedere alcuna cosa. Si privò di tutto; dal suo anello matrimoniale che mi regalò quando fui ordinato vescovo (e mi fu rubato dagli zingari): ad ogni altro oggetto sia pure caro. In tasca aveva solo la corona del Rosario ed un po' di pane duro che amava sgranocchiare. In Paradiso voglio arrivare povera di tutto e ricca di bene, ci insegnava praticamente.

Donare allora qualcosa a 'chi ha bisogno', non è solo dare un pezzo di pane, un vestito, una casa, o altro, ma il dono deve essere 'segno ' di un dono di tutto se stesso, un dono fatto con amore, con gratuità e libertà.

Chi poi ha sensibilità, capisce il dono ed arriva la gratitudine: in altre parole da quello che ha: "un grazie"! Noi Cristiani, quando la 'domenica andiamo a Messa, altro non facciamo che celebrare il nostro grazie per tutto il bene che Dio ci vuole ed è davvero tanto. Ma non abbiamo tante volte gli occhi per vederlo. E perdiamo la gratitudine.

E' quanto racconta il Vangelo oggi. Gesù incontra sulla sua strada dieci lebbrosi che fermatisi a distanza (così imponeva la legge allora e così è ancora oggi nei lebbrosari, e non solo), invocano la pietà del Maestro: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!" L'impietosa legge che li condannava ad una morte lenta, lontano da tutti, e quindi fuori dal contesto comune, non conosceva la pietà. Gesù era "l'ultima speranza". E Gesù fa quanto prescriveva la legge. Li manda ai sacerdoti per verificare la loro guarigione. Mentre erano in viaggio infatti lentamente la lebbra scomparì dalla loro carne. E scomparì anche il ricordo dell'amore di chi li aveva riportati in vita. In pratica se ne andarono per i fatti loro, come se tutto fosse stato dovuto.

Uno solo tornò da Gesù lodando a gran voce Dio e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarLo. Gesù espresse il suo stupore con queste parole amare: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?" Poi si rivolse al lebbroso e concesse la grazia delle grazie, ossia la guarigione del cuore: "Alzati e va – gli disse, la tua fede ti ha salvato". Così quel lebbroso seppe riconoscere il gran cuore di Dio che lo aveva amato fino a guarirlo. E la riconoscenza prese l'aspetto di riconoscere l'amore da cui era provenuto il miracolo. Ed al miracolo della guarigione del corpo si aggiunse quello della gioia del cuore.

Quante volte, capita che voi, miei amici di Internet, mi scrivete, dicendomi semplicemente 'grazie'. Quasi tutte le lettere E-mail che ricevo, contengono questa semplice stupenda parola 'grazie'. Sono davvero tanti quelli che riconoscono nelle parole che scrivo, un gesto di amore e ringraziano.

Mi capitò – e non è la sola volta – che terminata la S. Messa e tornando in Sacrestia, trovai una signora molto giovane che mi fermò. Aveva un volto che non sapeva trattenere la luce della gioia. Mi disse: "5 anni fa, la notte di Natale, lei tornando in sacrestia, parato da vescovo, vedendomi, si fermò (e non so come abbia fatto a notarmi in quella marea di gente). Mi chiese, guardandomi negli occhi: 'Perché sei triste? Coraggio, Dio ti ama".

"Da quel momento la mia vita cambiò totalmente in bene ed ora sono qui a dirle 'grazie'; anche per la carezza che mi diede". E' davvero immenso il cielo delle possibilità di fare del bene e di fare scoprire il cielo diventato buio nei fratelli e nelle sorelle. Grazie!

 

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