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TESTO Un dolore ed una speranza

mons. Antonio Riboldi

V Domenica di Pasqua (Anno C) (10/05/1998)

Vangelo: Gv 13,31-33.34-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 13,31-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Di fronte a certe tragedie che toccano da vicino non un solo uomo, ma intere comunità, come è avvenuto in questi giorni in Campania, (a Sarno, Quindici, Bracigliano, Siano, Mauro, Taurano, S. Felice a Cancello) forse converrebbe il silenzio. Un silenzio che non significa affatto indifferenza e distacco dal dolore, ma grande rispetto.

E se nell'immediato momento del disastro ci fu più che un silenzio un "balbettare" di notizie dai vari organi di informazione che non si erano resi conto dell'immane tragedia che si era consumata, dopo ci fu la corsa alla notizia, possibilmente allo scandalo, alle invettive, alle accuse, tanto da sembrare che l'alluvione, le frane fossero non più un luogo di dolore, ma "aula di tribunale" dove tutti erano accusati e nessuno era colpevole.

Ma non è così che ci si accosta al dolore dell'uomo, il quale è il vero soggetto dominante di ogni tragedia.

Ho ancora in mente la sera di martedì, la sera delle "frane e dei morti".

Essendo in visita pastorale proprio accanto a quelle zone, partii da casa verso le 16,30. Ogni strada che conduceva al luogo della visita era quasi impraticabile perché invasa da veri torrenti di acqua. La tentazione di arrendermi davanti allo stato disastroso che si presentava e rinunciare alla visita era forte, ma una strana forza interiore mi spingeva ad andare avanti, come se prevedessi che qualcosa di tragico stesse avvenendo proprio nelle parti dove mi recavo. E difatti più tardi seppi che, proprio in quelle ore in cui mi trovavo in visita, a S. Felice a Cancello una frana aveva devastato una casa, una persona era stata uccisa dal fango e tutta una zona del paese era in grave pericolo. Avvertito di questo, alle 19,30 invece di fare ritorno subito a casa, decisi di recarmi sul luogo che era distante non più di 2 Km, ma venni sconsigliato dalle forze dell'ordine perché la zona era chiusa per facilitare l'opera di soccorso. Passando le ore, il quadro del disastro si fece impressionante, diventando quello che ora tutti abbiamo sotto gli occhi quasi increduli ed incapaci di coglierne l'ampiezza.

E le immagini del dolore vennero subito soffocate dalla voglia di cercare un responsabile per scaricare addosso a lui le colpe, come se ciò fosse utile o bastasse per alleviare il dolore e suscitare speranza. E dava fastidio questo rincorrersi di accuse contro accuse, cercare cause o inadempienze.

Credo che in queste circostanze debba avere la precedenza impiegare tutte le forze e competenze per salvare il salvabile e dare soccorso a chi è stato vittima del disastro, standogli vicino come "buoni samaritani evangelici".

Ossia su tutto, in quei momenti, deve prevalere la carità, con generosità e competenza.

Viene spontaneo per prima cosa pregare per chi si è visto improvvisamente con la morte alla presenza del Padre, che certamente avrà mostrato tutta la Sua misericordia. Ancora più viene da condividere il dolore di quanti sono stati risparmiati dalla morte, ma sono stati privati dei loro cari. E' difficile accettare la morte di una persona cara, inghiottita dal fango o dalla furia delle frane e ci vuole una grande capacità cristiana di conforto per loro. E' ancora più difficile entrare nel cuore di quanti ancora oggi sono "in attesa" di ritrovare vivi i familiari che sono dispersi. E' vero che la speranza è l'ultima a morire, ma come è difficile sperare! Una lezione può venire da queste tragedie senza confini: imitare quanto fece il buon Samaritano, raccontato da Gesù. Egli scese da cavallo, si fece riempire di compassione e subito ebbe cura del semivivo abbandonato dai briganti sulla strada. Gli prestò le prime cure necessarie e poi, a sue spese, lo portò in un albergo perché venisse curato e, appena guarito, restituito alla vita. Ora è il tempo per tutti noi "di farci vicini" a questi luoghi di dolore con il volontariato o con la nostra generosità. Prestare le prime cure e dare immediatamente il via ad una ricostruzione che riporti quanto prima tutti i paesi alla normalità, con una maggiore e piena serenità, come fece appunto il buon samaritano. Tutto il resto è chiacchiera che non giova a nulla. Occorre non dimenticarli mai e non lasciarli mai soli questi nostri fratelli. Il rischio di non ricordarsi di loro, una volta che si spengono le luci dei mass media, è grande. Così il grande dolore e i grandi propositi di oggi finirebbero per diventare una 'pratica burocratica dai tempi lunghi'. Che non avvenga mai! E perché non avvenga l'unico modo è stare vicini, ossia non cessare di amarli.

 

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