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TESTO La vite e il potatore pazzo

don Giovanni Berti

V Domenica di Pasqua (Anno B) (10/05/2009)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

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Bella questa immagine della vite e dei tralci per parlare del legame dei discepoli con Gesù. Ad esser sincero però questa immagine mi lascia anche un po’ in sospeso e con più di una domanda, perché è una’immagine che non appartiene molto alla mia esperienza.

Credo che un viticoltore sarebbe capace di cogliere l’insegnamento di Gesù molto più di un teologo o di un prete imbranato di agricoltura come me.

La bellezza di questa immagine di Gesù forse sta proprio nella sua estrema concretezza che obbliga a interrogare la vita vera.

Tornando alle parole di questo vangelo subito mi domando: ma quale differenza c’è tra tagliare e potare? Non è in fondo la stessa cosa?

Nel seminario dove studiavo c’era un cortile con delle piante che stavano tra una macchina e l’altra e che davano un po’ di sano colore verde al grigiore del parcheggio. Mi ricordo che un giorno venne un uomo incaricato di prendersi cura degli alberi. Lui si mise all’opera mentre io con gli altri seminaristi osservavamo dalle finestre delle nostre stanze. Lo ribattezzammo subito “il potatore pazzo” perché nello sfoltire i rami delle piante ci sembrava calcasse troppo la mano. Alla fine dell’opera gli alberi che crescevano nel cortile erano tutti ridotti a mozziconi di rami piantati sul fusto centrale. La mia impressione era che avesse davvero esagerato, e che le piante così ridotte erano condannate a morire.

Da perfetto ignorante in materia di cura degli alberi, mi sbagliavo. Le piante crebbero e si irrobustirono di altri nuovi rami, e così tutti noi capimmo che quella profonda potatura del potatore pazzo era stata necessaria e dettata da una volontà di far vivere la pianta e non di farla morire.

Il tagliare è quindi diverso dal potare, e se il primo è sempre una violenza che genera morte, il potare invece è pur un’azione difficile molto simile alla prima, ma porta all’effetto contrario, cioè alla vita e a maggiori frutti.

Cosa vuole Dio da me, da noi? Vuole che viviamo una vita di rinunce, di tagli, di mortificazioni?

La vera fede si misura nella capacità di tagliare desideri e abitudini per avvicinarci sempre più a Dio? Con questa immagine della vite e dei tralci, Gesù non dice che dobbiamo unirci a lui come risultato di un progressivo avvicinarci fatto di rinunce ed eroici sacrifici, ma ci insegna che siamo già uniti a Lui in partenza. Siamo già in Dio e Lui è in noi, in un legame profondo che non mai è statico e fissato per sempre. Infatti Gesù per esemplificare questa unione non usa immagini di oggetti inanimati (come potrebbe essere il legame tra colonna e tetto), ma usa l’immagine di una pianta che cresce, e che in questa progressione vitale ha bisogno di esser curata, in modo che il frutto che può dare non venga a mancare per mancanza della giusta attenzione.

Ecco dunque la necessità della giusta potatura, che se talvolta è dolorosa e difficile da spiegare è comunque salutare per la pianta.

Dio è un “potatore pazzo” che si prende cura di me e del mio legame con Lui. Quando leggo il Vangelo e quando mi confronto con gli altri fratelli di fede mi accorgo che ci sono tagli, anzi è meglio dire potature, che devo fare perché il mio legame con Dio non si secchi e quindi si perda.

La mia vita spirituale è una pianta di cui devo prendermi cura anch’io insieme con Dio. Non posso lasciare che cresca selvaggia e da sola. Lo spirito che ho dentro, e che è il vero luogo del mio incontro con Dio, rischia davvero di seccarsi e di esser gettato via se non è curato attraverso la preghiera, la meditazione della Parola, la vita comunitaria della Chiesa, la vita concreta di carità sullo stile di Gesù. Questi sono gli strumenti per la giusta cura e la corretta potatura della mia vita spirituale.

Se imparo a coltivare questa mia vita spirituale divento davvero fruttuoso, e chiunque mi avvicina si accorge che in me i frutti dell’amicizia, della pazienza, del perdono, dell’altruismo sono davvero abbondanti. E questi frutti di vita segnalano che il mio legame con la pianta principale che è Gesù non è interrotto ma è vivo.

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