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TESTO Commento su Giovanni 15,1-8

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V Domenica di Pasqua (Anno B) (10/05/2009)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

COMMENTO ALLE LETTURE

a cura di Padre Gianmarco Paris

Rimanere e dare frutto

La missione che mi è stata affidata mi porta con una certa frequenza a passare in meno di 24 ore dal Mozambico all’Italia e viceversa. Una cosa difficile, più ancora della fatica del viaggio, è il brusco passaggio da un mondo che sembra quasi fermo a un altro in cui ti sembra che siano sempre tutti di corsa.

In Mozambico, con i fedeli della parrocchia, la giornata è caratterizzata da un unico incontro (al sabato può essere la formazione, alla domenica la celebrazione della Messa o della Parola); si aspetta un bel po’ prima che tutti, o la maggior parte, arrivino; si comincia piano piano, si continua con l’ascolto paziente di tutti coloro che vogliono intervenire, nessuno guarda l’orologio o si preoccupa di quello che dovrà fare dopo; finito l’incontro o la celebrazione, ci si ferma a chiacchierare, spesso si consuma un semplice pasto, in segno di comunione e amicizia. In Italia ad ogni ora della giornata c’è un impegno diverso, in un luogo diverso; la giornata è scandita dagli orari, dall’agenda e dagli impegni.

Non voglio evidentemente confrontare questi due stili di vita per dire (retoricamente) qual è il migliore: infatti ognuno di essi ha valore (o lo perde) nel suo contesto. Mi è ritornata nel cuore l’esperienza di questo “contrasto” dopo aver letto il vangelo di Giovanni per la quinta domenica di Pasqua, e credo che mi aiuti a comprenderlo più in profondità. Nel discorso di Gesù sulla vite e i tralci ritorna con insistenza il verbo “rimanere”. Dapprima c’è il comandamento per i discepoli di “rimanere in Gesù”, che ha come conseguenza il rimanere di Gesù in loro. Poi il “rimanere nella vite/in Lui” ritorna insistentemente come la condizione necessaria affinché il discepolo porti “frutto”.

Vedendo da vicino (nel tempo) due diversi modi di vivere, mi sembra di poter comprendere meglio cosa Gesù vuole dirci con l’immagine della vite e dei tralci. L’uomo del mondo “sviluppato” ha moltiplicato le possibilità di comunicare, di incontrare gli altri, di produrre, di modificare il mondo per i suoi bisogni... ma spesso soffre per la povera qualità della sua vita, delle relazioni, degli affetti. Forse ha disimparato a “rimanere” in un solo luogo (se stesso, la sua famiglia, il Signore) e ciò gli impedisce di produrre i frutti che possono soddisfare la sua sete di felicità. I mezzi che ha a disposizione sono molti e sofisticati, gli permettono di “produrre” molto... ma si accorge che produrre non è la stessa cosa che “dare frutto”. Ciò che produce non lo fa crescere nella sua umanità, fa anzi crescere i bisogni da soddisfare, condannandolo a una continua corsa.

La “pazienza” dell’uomo africano apre un cammino per comprendere l’invito di Gesù a “rimanere” in Lui. È difficile vedere un giovane o adulto correre: per loro il tempo è sempre sufficiente, anche quando ad un incontro arrivano in ritardo, magari dopo due o tre ore di cammino (a volte mi chiedo cosa pensano quando mi vedono correre preso dalla fretta!). Quando incontri una persona in primo luogo ti saluta e ti chiede come stai, cioè ti accoglie nella tua presenza sempre nuova, come se già il fatto di essere lì e star bene fosse un grande dono (quante volte le nostre comunicazioni iniziano e finiscono senza neppure un saluto!). Non ti interrompe quando parli, non ha fretta di tagliarti la parola o sostituirsi a te. Aspetta che finisci per poter dire la sua. È difficile ascoltare una persona parlare in fretta mangiando le parole: per loro quello che si dice è molto importante, anche se poco e sgrammaticato. Non si preoccupa di quello che deve fare dopo; non se ne va senza prima una parola di saluto e senza darti i saluti per tutti quelli di casa. Non hai prodotto niente, non hai programmato granché, eppure senti che l’incontro ha dato il suo “frutto”: ti sei sentito accolto, hai potuto accogliere, due storie si sono incontrate, ne è nata una terza.

Ho come l’impressione che, pur spostandosi o facendo cose diverse, l’uomo africano sia sempre nello stesso luogo, come uno degli immensi alberi ai quali un’intera famiglia ritorna quando fa le sue feste, ricordando i morti e celebrando la comunione e la vita dei vivi.

È attraverso questa esperienza umana che oggi la Parola del Signore mi parla: mi dice che la felicità non dipende dalla quantità di cose che si fanno o si hanno, ma dal legame con la fonte della vita; non dai prodotti, dai risultati che si possono mostrare, ma dalla verità delle cose quotidiane che sfuggono alle classifiche.

Gesù si rivela come la fonte della vita, l’albero da cui viene la linfa capace di far dare frutto alla nostra vita. Ci chiede insistentemente di rimanere in Lui: cioè di fare di lui l’origine sempre viva dei nostri progetti e realizzazioni. Senza di lui non possiamo fare nulla; non perché non abbiamo capacità e autonomia, ma perché facilmente smarriamo la direzione del nostro fare e non troviamo quello di cui il nostro cuore ha sete.

Gesù ci ricorda che saremo suoi discepoli quando daremo frutto, e questo è il sogno di Dio su ciascuno di noi. Ma ci ricorda anche che questo frutto non è solo quello che produciamo con le nostre capacità, ma è il dono di Dio, la sua risposta alla nostra preghiera, che possiamo fare rimanendo uniti a Lui.

San Giovanni nella seconda lettura dice che “amare con i fatti e nella verità” ci permette di rimanere in Dio e di accogliere Dio in noi, mediante il dono del suo Spirito. Credere in Gesù e amare in verità è infatti il comandamento di Dio. Il frutto che Gesù di aspetta da noi non è misurato sulla quantità o la velocità delle cose che facciamo, ma sulla loro autenticità. Per il moltiplicarsi di mezzi, non stiamo forse svilendo la verità della nostra comunicazione, dei nostri impegni verso gli altri, dei nostri sentimenti?

La prima lettura ci riporta ai primi passi dell’esperienza cristiana di San Paolo, quando dopo l’incontro con il Risorto va a Gerusalemme per conoscere gli apostoli e i fedeli della Chiesa. La sua aperta testimonianza in favore di Gesù gli crea da subito non pochi problemi, tanto che per salvare la vita deve fuggire. Ecco un esempio di cosa significhi rimanere in Gesù e dare molto frutto. Un uomo che ha percorso migliaia di chilometri in nome della sua profonda e continua unione con Cristo; un apostolo che ha fondato molte comunità e annunciato Cristo a migliaia di persone e considera il frutto più importante della vita l’aver mantenuto viva la sua fede in Gesù.

 

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