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TESTO Una comunità, un discepolo

don Marco Pratesi  

V Domenica di Pasqua (Anno B) (10/05/2009)

Brano biblico: At 9,26-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

La lettura racconta i primi passi del cammino di Paolo dopo il battesimo, e l'ambiente nel quale egli li muove, la chiesa. La comunità cristiana è infatti sin dal primo momento del suo ingresso a Damasco la culla nella quale cresce il nuovo nato alla fede.

La prima chiesa viene presentata come una comunità che vive un forte senso della presenza di Dio: timore di Dio e consolazione dello Spirito (v. 31, CEI: "conforto") dicono la percezione viva della presenza e dell'azione di Dio nella vita e nella crescita ecclesiale (cf. 2,43). Ma questo non si traduce affatto in un fanatismo esaltato: si tratta di una comunità che non cerca lo scontro, che non va in cerca del martirio, che persegue la pace. Tanto poco fatta di esaltati che inizialmente non ci si fida, si teme un inganno, tanto terribile era l'immagine di Saulo presso i discepoli. Paolo sperimenta in questa fase una doppia difficoltà: con i vecchi fratelli, che già subito a Damasco avevano tentato di ucciderlo e ora a Gerusalemme fanno altrettanto; e con i nuovi, che ancora non si fidano di lui. L'inserimento nella nuova realtà non è per niente facile. Ma lo Spirito del Risorto ancora una volta agisce, dando forza e coraggio a Barnaba, detto non per caso "figlio della consolazione" (4,36, CEI: "dell'esortazione"). Egli sa vedere in profondità, superare la paura e dare fiducia. La situazione si sblocca: Paolo si muove liberamente a Gerusalemme, ricominciando subito a fare quello che aveva fatto a Damasco, cioè parlare con "parresia" (vv. 27 e 28, CEI: "predicare con coraggio", "apertamente") nel nome di Gesù. Si manifesta subito la sua vocazione di grande evangelizzatore, la spinta irresistibile all'annunzio. Tuttavia anche questa vocazione, come molte altre, deve conoscere la fase della prova: per alcuni anni - non sappiamo di preciso quanti - egli dovrà stare nel silenzio, a Tarso. Di questi anni non sappiamo niente, ma certamente in questo nascondimento Paolo ripensa la sua esperienza e approfondisce la conoscenza del mistero di Cristo. Qui verrà a prenderlo, sbloccando ancora una volta la situazione, il figlio della consolazione, Barnaba (cf. 11,25), per condurlo ad Antiochia. La grande avventura missionaria dell'apostolo delle genti oramai può cominciare.

Una comunità, un discepolo. Il brano ci presenta in fondo l'interazione tra questi due aspetti: il cammino personale, non senza problemi, di Paolo, nel contesto di un cammino comunitario. Nemmeno il grande apostolo nasce e cresce senza la chiesa, senza Anania, Barnaba, e gli altri. A sua volta la comunità troverà in questo zelante fariseo "catturato da Cristo" (Fil 3,12) una delle sue colonne più poderose.

Per ciascun battezzato luogo naturale per la crescita e la fruttificazione della fede battesimale è la comunità dei credenti, con le sue dinamiche umane e le sue difficoltà. Essa resta il luogo "del timore e della consolazione", nel quale Dio si mostra vivo e presente, e grazie al quale i semi della vocazione possono - con il libero e meditato sì personale - fruttificare in modo sovrabbondante.

 

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