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TESTO Faccia a faccia con il Buon Pastore delle nostre anime

padre Antonio Rungi

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (03/05/2009)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Celebriamo oggi la quarta domenica del periodo liturgico di Pasqua, definita la domenica del Buon Pastore in quanto il Vangelo ci fa riflettere su Gesù Cristo quale pastore del grande ovile dell’umanità. Di questo Pastore unico e speciale il testo dell’evangelista Giovanni ci dice esattamente chi è e cosa fa per il suo gregge. Le caratteristiche essenziali sono il sacrificio fino alla morte; la conoscenza delle singole pecorelle e l’accettazione delle pecore del loro pastore; una conoscenza reciproca non unilaterale; d’altra parte quando parliamo di conoscenza nella sacra scrittura indichiamo che l’amore è sempre reciprocità, è conoscenza ed accoglienza dell’uno e dell’altro; la ricerca di altre pecore, soprattutto di altro ovile o se perdute dello stesso ovile; tali pecore riconosceranno la voce del pastore e seguiranno le sue indicazioni, i suoi “rischi” per richiamarle sulla retta strada. E’ familiare anche a noi, uomini del terzo millennio dell’era cristiana, la figura del buon pastore, soprattutto in alcune zone del nostro paese. Sono essi a guidare il gregge, ad indirizzarle nei luoghi di maggiore pascolo e a riportarle a sera negli ovili adatti. Nel loro peregrinare spesso sbagliano strada e percorso e basta un fischio per rimetterle nella giusta carreggiata.

Questa immagine così familiare allo stesso Gesù e alla cultura pastorizia del tempo di Cristo (le cosiddette società pastorizie) viene assunta da Gesù per indicare la sua missione e il suo stile di essere vicino ad ogni persona. La sua missione, come ben sappiamo, sarà quella della salvezza che chiederà a Cristo stesso il supremo sacrificio della vita con la sua morte in Croce. Il suo stile di pastore attento, vigilante, sicuro, forte e responsabile è quello di non far smarrire nessuno, anzi aggregare le pecore sbandate e senza guida di altri ovili. Chiaro riferimento all’opera di evangelizzazione e di promozione umana. Nessuna persona è acefala, senza capo o punto di incontro o di convergenza. Si nasce, si cresce e si muore mai da soli, sempre e comunque in un contesto di relazioni e di comunione. Il caos e l’anarchia non rientrano in una struttura di chiesa, comunità e società, ma in esse è doveroso individuare responsabili ed affidare a loro i compiti utili per il bene di tutti. Seguendo il testo del vangelo di oggi comprendiamo esattamente quello che il Signore ha detto di se stesso e vuole dire a tutti, nei compiti e mansioni che abbiamo nella nostra comunità umana.

Chi ha capito all’origine della Chiesa e del cristianesimo il compito che gli spetta è Pietro che nel racconto degli Atti degli Apostoli è alle prese con la diffusione del messaggio cristiano, di quel primo annuncio di cui egli è uno dei massimi assertori. Il brano di oggi degli Atti degli Apostoli ce lo presentano impegnato in una discussione di dimostrazione del miracolo della guarigione ottenuto ad un uomo proprio mediante il suo intervento. Egli vuole far capire che tutto questo è possibile solo in Gesù Cristo, egli è il salvatore, egli è colui che guarisce e lenisce tutte le sofferenze dell’umanità. Qui l‘evangelizzazione e la promozione umana sono strettamente collegate e correlate in quello che dice e fa Pietro per dimostrare a chi non crede che Cristo è davvero il salvatore, nonostante che qualcuno l’abbia scartato e non abbia posto in lui la fiducia. La salvezza operata da Cristo ci ha messo in una condizione particolare di grazia e amicizia con Dio. Noi siamo realmente figli di Dio. Nel mistero della Pasqua di morte e risurrezione, noi abbiamo accesso alla vita divina in questo mondo e all’eternità nell’altra, nella misura in cui noi conosciamo, amiamo e serviamo il Signore, coscienti della nostra dignità di uomini e di figli adottivi di Dio.

San Giovanni Apostolo ci richiama questa nostra condizione e dignità nel breve brano della sua prima lettera, che leggiamo oggi come testo della seconda lettura della liturgia della parola. Di nuovo qui ci viene ricordato quello che Gesù ha fatto e continua a fare per noi. Egli ci ha amato, egli è l’Amore, egli ci ha portato alla dignità di figli di Dio, egli ci ha preparato un mondo di piena e totale felicità quando potremmo vederlo così come egli è a faccia a faccia. Non avremo bisogno di mediazioni, non avremo più bisogno della fede, né di sperare, ma solo di gustare la gioia di un incontro che non è per un momento ma è per sempre e per l’eternità. Quanto siano confortanti queste parole lo comprendiamo alla luce dei tanti drammi della miseria umana e della debolezza umana che registriamo quotidianamente. La gioia non sembra abitare la nostra terra, ma è certo che è abitata nel cielo, dove la visione di Dio è beatitudine infinita.

Sia quella nostra preghiera della speranza in una domenica in cui il Buon Pastore Cristo Gesù ci presenta il volto più bello e tenero di se stesso e di Dio Padre, illuminato dal dono dello Spirito Santo: “Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore”. Amen.

 

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