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TESTO "Per me il vivere è Cristo" come per il tralcio lo è la vite.

padre Gian Franco Scarpitta  

V Domenica di Pasqua (Anno B) (10/05/2009)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Come si legge in isolati riferimenti del libro degli Atti degli Apostoli, Saulo (chiamato poi Paolo), soprattutto perché animato dallo zelo per la legge giudaica che gli aveva infuso l’eccellente maestro Gamaliele, era stato fra i più gradi persecutori della Chiesa nascente, avendo approvato l’uccisione di Stefano e avendo organizzato la cattura e la prigionia di moltissimi discepoli del Cristo (At 7,58; 8,1-3; 22,4). Anche nelle sue lettere egli definirà il suo passato da “persecutore e violento” (1Tm 1, 12 – 14), “neanche degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la chiesa di Dio”( 1 Cor 15, 9), raccontando la sua storia da assurdo nemico della fede cristiana.

L’apostolo però non omette di considerare come la grazia di Dio abbia agito fruttuosamente in lui, e anche i particolari della descrizione dell’incontro con Cristo sulla via di Damasco sottendono a un rapporto che egli ha avuto di profonda familiarità con Dio che ha avuto origine dallo stesso Signore che egli stava perseguitando nei fratelli: mentre lui si prodigava per le cattiverie nei suoi confronti, Cristo stava tentando in tutti i modi di cercare la sua comunione e la sua adesione e gli si rivelava come primo agente di grazia e di misericordia e il suo intervento conciliante nei suoi confronti era stato del tutto libero, spontaneo e amichevole.

Paolo insomma diventa zelantissimo missionario del Vangelo, necessitato alla sua divulgazione e motivato nell’affrontare anche le catene della prigionia perché avvinto dalla sovrabbondanza della di Cristo che, come lui affermerà con forza, non lo abbandonerà mai e gli incuterà sempre fiducia, coraggio e solerzia; e la motivazione più importante è il fatto di essere stato“catturato” in prima persona dall’amore di Gesù Cristo che lo ha reso oggetto della sua fiducia sfruttando al meglio le prerogative di determinazione e di costanza del suo carattere, che prima aveva impiegato per colpire i cristiani.

La prima lettura odierna ce lo presenta appena risvegliato dal torpore della tracotanza anticristiana, in preda ai primi entusiasmi per il vangelo ma, come si conviene per qualsiasi soggetto famoso per un orrendo passato, anche in preda ai sospetti e alle reticenze dei discepoli ai quali viene presentato da Barnaba, che mostrano subito sdegno e riluttanza al suo presenziare davanti a loro; ma sempre queste righe ci rivelano un Paolo per niente impaurito dalle reazioni malsane dei discepoli, appunto perché forte dell’entusiasmo e della carica spirituale e missionaria di cui Cristo lo ha appena rivestito. Più tardi Paolo, confrontando il suo presente con il suo passato, affermerà che “Non sono più io che vivo, ma vive in me Cristo” (Gal 2, 20), oppure: “Per me il vivere è Cristo e il morire è un guadagno” (Fil 1, 21) e con queste espressioni affermerà il consolidamento effettivo della sua appartenenza a Cristo e della sua incorporazione a Lui nel mistico Corpo che è la Chiesa.

Paolo si ente di essere oltre che “inviato e missionario” anche membro del Signore che lo ha catturato, nella relazione di appartenenza totalizzante a Lui che diventa perfino identità.

Sempre Paolo, in forza di quanto da egli stesso sperimentato, invita però anche noi a considerare che “l’amore di Dio ci spinge alla conversione” (Rm 2, 4) e ad optare per una totale appartenenza a Cristo, scelto come pietra angolare e riferimento assoluto di vita; quindi richiama l’attenzione a che anche la nostra vita sia tutta impregnata della reciproca appartenenza nostra a Gesù Cristo e di questi a noi perché assieme a lui formiamo un solo corpo.

Scrive Messori: “Chi si accontenta gode, assicura il proverbio. Quanto a noi, siamo più esigenti e non ci accontentiamo affatto”. Non possiamo infatti limitarci a “seguire” Gesù in modo blando e superficiale, quasi alla stregua di un qualsivoglia leader politico che seduce con le sue promesse; né possiamo accontentarci di imitare Cristo alla perfezione ai fini di ottenere il suo plauso o l’approvazione degli altri, né tantomeno di ostentare la nostra presunta capacità di amore e di donazione attraverso opere che sarebbero nient’altro che espressione di mero esibizionismo al massimo filantropico. Da parte nostra occorre che ci configuriamo a Gesù, che ci immedesimiamo in lui e che stabiliamo la stessa relazione paolina che ci porta ad identificarci con lui e essere con lui un tutt’uno.

Ed è quello che Lui stesso ci indica in questa meravigliosa immagine: “Io sono la vite e voi i tralci”, con la quale ci invita a che noi riceviamo sussistenza da Lui e che lasciamo spazio affinché egli stesso in noi presenzi nella forma sostanziale e di vitalità. Occorre infatti che anche da parte nostra vi sia una corrispondenza di adesione al Signore per la quale, alla pari di Paolo, ci lasciamo raggiungere da Cristo fin nelle profondità e viviamo già nell’intimo il fervore e l’entusiasmo della nostra appartenenza a Lui, sentendoci orgogliosi di aver realizzato una dimensione di comunione intima con il Signore. Per quanto possiamo incontrare resistenze e le opposizioni di coloro che per questo ci dileggiano e ci scherniscono, non dovremmo mai lasciarci sorprendere dalla paura o dalla vergogna di manifestare la consistenza della nostra vita spirituale, quando questa esprima davvero l’innamoramento di Cristo e la volontà esclusiva di appartenere a lui; dovrebbe anzi essere nostro motivo di vanto e di orgoglio, fatti salvi concretezza e realismo, l’esternare la dimensione di intima immedesimazione con il Signore non importa quali siano le reazioni da parte di terzi e in ogni caso occorrerebbe che noi stessi non omettiamo di considerare la necessità della nostra relazione con Lui.

Senza la vite un tralcio infatti non ha possibilità di sussistenza perché gli verrebbe a mancare la linfa vitale necessaria; senza i suoi tralci la vite esisterebbe e sarebbe ugualmente rigogliosa e potenzialmente fruttuosa; il che sottende al fatto che mentre Cristo è già grande e Perfetto di per sé, noi non saremo mai in grado di vita piena se non ci innesteremo volentieri a lui, perché fuori dal suo riferimento sostanziale la nostra vita non sussiste e non siamo bastevoli a noi stessi.

E se lui stesso affermava, “senza di me non potete far niente”, possiamo anche aggiungere tranquillamente che senza di lui noi non possiamo neppure “essere” nulla.

Chi si innesta a Cristo come tralcio alla vite è il credente che ha avuto accesso alla fede nel sacramento del Battesimo, che di fatto incorpora a Cristo e rende membri di Lui e per ciò stesso della sua Chiesa; per il battezzato si dispiega pertanto il “per me vivere è Cristo” nonché “Cristo vive in me” che ci ricorda la pedagogia paolina e che deve caratterizzare tutta la nostra vita.

Quali i vantaggi scaturiscono da questa relazione di co appartenenza e immedesimazione mutua e spontanea fra noi e Cristo?

La risposta ci viene dallo stesso Gesù, ma anche Giovanni (II Lettura) è abbastanza esaustivo su questo argomento: “ se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.”

Essere innestati in Cristo comporta vivere di lui, ma anche usufruire delle garanzie della sua stessa gloria e delle promesse di cui da sempre siamo destinatari perché in Lui si riscopre un rapporto di familiarità e di donazione reciproca immediata che conduce alla scoperta della bellezza nel fare ogni cosa che “a lui piaccia”, ponendoci concretamente nelle sue vie e adoperandoci al meglio per la sua testimonianza attiva attraverso opere concrete di amore e di solidarietà. I comandamenti di Dio, che poi dovremmo tutti leggere sotto l’aspetto delle Beatitudini, non sono gravosi ma hanno la finalità della realizzazione stessa dell’uomo e contengono motivo di gioia nella loro stessa esecuzione, sicché avere fiducia in Dio, seguire Gesù Cristo con amore, realizzare nella nostra vita quanto egli ci propone consente anche che riceviamo da lui ogni garanzia e ogni promessa e siamo anche corrisposti nelle nostre stesse attese.

“Il vivere è Cristo” è dunque una bellissima prospettiva che viene data a chiunque voglia rendersi tralcio di questa Vite immensa.”

 

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