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TESTO Misericordia: fare spazio alla vita dell'altro

don Maurizio Prandi

III Domenica di Pasqua (Anno B) (26/04/2009)

Vangelo: Lc 24,35-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,35-48

35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni.

Domenica scorsa abbiamo contemplato il volto di Dio come il volto della misericordia. E anche oggi restiamo sullo stesso tema, in quanto la pagina del vangelo di Luca che abbiamo appena ascoltato sottolinea come essere testimoni della risurrezione del Signore voglia dire annunciare la conversione e il perdono. Forse è un tema un po’ dimenticato quello della misericordia, forse desidero insistervi tanto in queste domeniche proprio perché lo dimentico io per primo. Eppure se c’è un dato per così dire certo nella esperienza di fede di ogni credente, è proprio l’esperienza del peccato umano e della misericordia divina. Ed è anche bello che misericordia e perdono siano così legati alla Pasqua in quanto vere e proprie esperienze di Resurrezione, passaggi dalle tenebre alla luce, dalla notte al chiarore del giorno, dalla morte alla vita. Misericordia allora come riflesso della Risurrezione, occasione di conoscenza del volto di Dio, conoscenza non a buon mercato ma al contrario con un prezzo da pagare molto alto: riconoscersi deboli, fragili, miseri, ed è appunto nella nostra miseria che ci sentiamo accolti dal Dio misericordioso.

Questo tipo di contatto con la verità profonda di noi stessi è molto importante per una lettura un po’ pacificata del nostro sentirci dispari: si può leggere la propria vita in modo moralistico e desiderare una perfezione che non arriverà mai, oppure leggerla in modo morale e scoprire giorno dopo giorno che è la misericordia di Dio ad accorciare la distanza che c’è tra noi e Lui. E’ davvero bella l’etimologia del termine misericordia. Tante volte ce la siamo richiamata: il misericordioso è colui che ha cuore per le miserie altrui e questo cuore aperto per ricevere i fratelli richiama molto da vicino quello che il mondo ebraico intendeva per misericordia con il termine rahamim che indica le viscere materne che accolgono la vita che nasce. Le viscere e la misericordia allora indicano lo spazio fatto dentro di sé alla vita dell’altro, è uno spazio di profonda comunione, di sentire con l’altro, di patire con l’altro, di gioire con l’altro.

Proprio per questo, Alberto Mello della comunità di Bose ha scritto in un suo articolo: il termine rahamim può esprimere l’attaccamento istintivo di un essere ad un altro. La misericordia altro non è che il grido di Dio contro l’indifferenza, contro il rifiuto dell’altro in generale. Ecco che la misericordia c’entra con la comunione, con la condivisione e diventa capacità di allacciare rapporti e ricostruire rapporti e relazioni. Dio stesso ristabilisce una relazione con coloro i quali da questa relazione si erano allontanati.

In questo senso le letture che oggi ascoltiamo sono come in un crescendo di misericordia: gli Atti degli Apostoli ci dicono come condizione necessaria per il perdono sia la conversione, Giovanni nella sua lettera ci dice come se qualcuno ha peccato può trovare in Gesù un avvocato, qualcuno che anziché fare il conto di ciò che è stato commesso offre la vita, e la offre non soltanto per chi crede in lui, ma anche per il mondo, cioè per tutti gli uomini (come dicevo qualche tempo fa), anche i più distanti da lui. Il vangelo, come ho accennato prima, lega in modo strettissimo l’essere testimoni del risorto con la predicazione della conversione ed il perdono, dove per conversione non si intende tanto un movimento dettato dall’esterno: devi convertirti perché sei un peccatore, perché sbagli strada... no... sento che il movimento della conversione è anzitutto interiore, come è capitato alla Maddalena quando ha incontrato il Risorto.

Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Mi piace molto questo brano del vangelo di Giovanni, perché mi pare dica veramente in cosa consiste la conversione: Giovanni dice che Maria di Magdala si volta verso Gesù due volte... è già girata verso di lui, che senso ha allora il secondo voltatasi verso di lui? E’ un volgersi interiore, un volgersi dello Spirito, è quel cambiamento che avviene in te e che ti rende capace di riconoscere la presenza nuova del Signore Risorto e di non fermarti alla relazione sensibile perché è la relazione di prima: qualcosa è cambiato. Mi pare che sia questo l’itinerario: per poter ricevere il perdono è necessario orientare la propria vita a colui che ha annunciato, vissuto, dato il perdono. In fondo credo che proprio perché avvenga questo riconoscimento Gesù insiste così tanto nel dire: Sono proprio io! Bellissimo che il riconoscimento avvenga ancora una volta attraverso le ferite che Gesù mostra ai discepoli, ma non solo. Gesù prende del pesce arrostito e lo mangia davanti a loro: con quel gesto Gesù intende rassicurare i discepoli circa l’affidabilità dell’ordinario, del feriale. E’ nell’ordinario e non nello straordinario che possiamo incontrare Dio ed è l’ordinario, la realtà in cui siamo calati il luogo nel quale poter fare, in continuazione, esperienza della Sua misericordia.

 

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