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TESTO Il Dio infinito Pastore sollecito

padre Gian Franco Scarpitta  

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IV Domenica di Pasqua (Anno B) (03/05/2009)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Per visionare meglio il contenuto della prima lettura tratta dal cap 4 degli Atti degli Apostoli, non è fuori luogo osservare i suoi retroscena, relativi a quanto descrive il capitolo precedente del medesimo libro.

Alla porta Bella del tempio, lo storpio, accasciato come tanti altri mendicanti accanto all’ingresso, tende la mano ai passanti aspettandosi una monetina; Pietro, entrando nel tempio assieme a Giovanni, con la sola differenza di essere lui medesimo a richiamare la sua attenzione (“Guarda verso di noi”) assume inizialmente un atteggiamento del tutto simile a quello con cui noi oggigiorno siamo soliti trattare i medicanti che presumibilmente, piuttosto che poveri e indigenti, sono dei profittatori o degli sfaccendati: “Non ho né oro né argento.” La risposta suona infatti con lo stesso tono di un comune diniego anche nostrano.

Subito dopo però Pietro aggiunge di essere disposto a dare in luogo di denaro o averi materiali“tutto quello che possiedo”, ossia la sua appartenenza a Gesù Cristo, anzi potremmo dire lo stesso Signore Gesù che ancora opera grandi prodigi di beneficio e di salvezza: “nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!" e opera in nome del suo Signore una guarigione portentosa e inaspettata della quale dovrà dare poi spiegazioni agli astanti e adesso anche a coloro che lo hanno arrestato; sta spiegando cioè che è lo stesso Signore Gesù Cristo ad operare ancora attraverso i suoi discepoli simili meraviglie e che lo stesso Cristo, prima crocifisso, è adesso “pietra angolare” caposaldo della vita e della salvezza.

In un modo o nell’altro Pietro e Giovanni si fanno promotori di Gesù e lo rappresentano con il loro agire sollecito e generoso che afferma la tenacia propria di chi è pastore e proprio questo concetto attira l'attenzione di tutti: sia direttamente, sia nel ministero dei suoi apostoli, Gesù, proprio perché è Dio Signore sovrano su tutti, esercita il suo potere mettendosi al servizio dei suoi sudditi, anzi guidando tutti e ciascuno come farebbe un pastore con il suo gregge.

Si tratta di una qualifica che anche Gesù attribuisce a se stesso e che non manca mai di esternare nella sua vita e attività pubblica, per la quale anzi impiega fino in fondo la sua vita terrena, spendendo tutto se stesso.

"Io sono il pastore..." così esordisce nel suo discorso e tale affermazione rimanda immediatamente a due riferimenti: 1) io disse a Mosè: "Io sono colui che sono! ..” (Es 3, 14); 2) “Se non crederete che IO SONO morirete nei vostri peccati” (Gv 8, 24).

Nel primo caso avveniva che Dio si qualificava come Colui che è, l’Ente Supremo ineffabile che salva e libera il popolo di Israele attraverso la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto; così infatti Egli farà avendo come strumento e intercessore lo stesso Mosè, accompagnato da Aronne. Nel secondo caso, IO SONO qualifica Gesù Cristo come Dio. Egli è Dio alla pari del Padre, è il medesimo Dio che ha liberato gli Israeliti dall’Egitto e che adesso, come Verbo Incarnato, salva l’umanità intera apportando la novità del suo Regno, qualificandosi con vari appellativi e proponendosi ai suoi sotto vari aspetti: la luce del mondo, la via, la verità, la vita, il pane vivo disceso dal cielo... Adesso si presenta come pastore che pasce il suo gregge e lo mantiene nell’unità per condurlo ai pascoli della vita eterna. Gesù è il Dio ineffabile (l’IO SONO) che esercita la sua regalità e la sua signoria rendendosi pastore.

Già in Ezechiele (cap 34) Dio rimprovera i capi d'Israele per non aver mostrato sollecitudine verso le pecore del Signore, promettendo che sarà Lui stesso ad occuparsi del proprio gregge perché non vada disperso fra le montagne e non sia preda dei lupi rapaci. Gli fanno eco Isaia e il Salmo 23 e adesso tale promessa viene mantenuta e dispiegata nella persona del Verbo Incarnato Gesù Cristo, che propone se stesso come guida e modello del gregge fino ad assumere egli stesso il ruolo di pastore sollecito e premuroso. E il termine di paragone con il mercenario è molto eloquente: il pastore (intendiamo con questa affermazione il padrone del gregge) ripone nei suoi capi di bestiame tutte le sue risorse vitali ed economiche e pertanto non può permettere che esse vengano sbranate dai lupi o che si perdano per i boschi: a differenza del mercenario, che svolge il proprio lavoro remunerato quanto basta per sorvegliare le pecore, egli ha a cuore il suo bestiame e pertanto lo nutre, lo pasce e lo difende. Il padrone del gregge ha interesse che tutte le pecorelle si mantengano nell’ovile e poiché perdere il gregge comporta la disfatta dell’azienda agricola, si adopra in tutto affinché esso non corra alcun pericolo. In tal senso Gesù è il pastore del suo gregge; non già motivato da interessi affaristici, ma dalla volontà sua propria e del Padre di voler condurre tutti all'ovile della salvezza, si atteggia a proprietario amoroso delle sue pecore.

Ma Gesù si mostra anche più sollecito e disinvolto di un proprietario di capi di bestiame: nessun pastore si preoccuperebbe mai di salvare un’unica pecorella che resti impigliata nel bosco o che finisca nelle fauci degli animali feroci: purché vi siano tutte le altre, la produttività dell’azienda è garantita e non ci si dimena certo fra le selve per salvare un solo minuto e sparuto capo di bestiame. Ebbene, come già affermava in altro contesto, Gesù mostra di voler anche abbandonare tutte le altre pecore in balia di se stesse pur di andare a rinvenire l’unica pecorella che è andata perduta; e questo rafforza ancora di più l'amore per il suo popolo, anche dal punto di vista relativo alle singole persone e agli individui.

Che Gesù sia il nostro pastore è un richiamo alle nostre coscienze, affinché non eludiamo la sua presenza e assumiamo la docilità propria di chi mostra fede e sequela lasciandosi guidare da Cristo che pasce, illumina, guida la sua Chiesa: siamo invitati a lasciarci guidare da Lui nella persona dei suoi ministri che esercitano il mandato di pastrori nel suo nome orientando tutti verso la verità e al salvezza che scaturisce dallo stesso Signore.

Resta tuttavia fermo anche il monioto dello stesso Gesù che invita insesorabilmente anche i pastori: "Fatevi modelli del gregge" (1 Pt 4, 3), perché l'esrcizio di coloro che guidano non si trasformi in un abuso.

 

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