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TESTO Commento Giovanni 15,1-8

Totustuus  

V Domenica di Pasqua (Anno B) (18/05/2003)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

NESSO TRA LE LETTURE

Questa quinta domenica di pasqua vuole sottolineare la nostra unione con Cristo Gesù, morto e risorto per noi, e la necessità di produrre frutti nelle opere buone.

La prima lettura ci mostra Paolo che narra la sua conversione agli apostoli, e le sue predicazioni a Damasco. L'esperienza di Cristo lo portava a fare una nuova lettura della Scrittura e a scoprire il piano di salvezza. Il suo anelito è quello di predicare instancabilmente Cristo, nonostante le minacce di morte degli ebrei di lingua greca (prima lettura). Nella seconda lettura, san Giovanni continua la sua esposizione sulla verità del cristianesimo di fronte al grande nemico della "gnosis". L'amore non si dimostra con belle parole o attraverso speciali illuminazioni, come pretendevano gli gnostici, bensì in opere d'amore (seconda lettura).

Non si può separare la fede dalla vita morale. La parabola della vite e dei tralci ci conferma che potremo dare frutti di carità, solo se rimaniamo uniti alla vite vera, Cristo Signore (Vangelo).

MESSAGGIO DOTTRINALE

1) L'amore si mostra nelle opere

La prima lettera dell'apostolo Giovanni mette in risalto, inequivocabilmente, che non si può amare solo a parole, ma nelle opere e secondo la verità. Se desideriamo sapere se ci troviamo nella verità, dobbiamo realizare le nostre opere nell'amore. La carità fraterna è propria ed essenziale del cristianesimo: "Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1Gv 3,16).

Dunque, non tutti possono dare la vita per gli altri attraverso il martirio, cioè in una suprema confessione di fede. Tuttavia, tutti possiamo dare la vita per i nostri fratelli mediante l'esercizio della donazione di noi stessi.» importante sottolineare che l'uomo può vivere nella dimensione del dono, della donazione di sé. Anzi, questa è la sua vera vita, la sua forma più autentica di vivere. Giovanni Paolo II scriveva ai giovani, nel 1985: "Sì, miei amati giovani amici! L'uomo, il cristiano è capace di vivere nella dimensione del dono.

Anzi, questa dimensione non solo è "superiore" alla dimensione dei soli obblighi morali noti dai comandamenti, ma è anche "più profonda" di essa e più fondamentale. Essi testimonia una più piena espressione di quel progetto di vita, che costruiamo già nella giovinezza. La dimensione del dono crea anche il profilo maturo di ogni vocazione umana e cristiana" (Giovanni Paolo II, Lettera ai giovani, Dilecti amici, Roma, 1985).

Il comandamento dell'amore è il principale tra tutti, e quello che ci aiuta a decidere ciò che si deve fare "qui e ora". Si può vivere la dimensione del dono di sé, nella vita familiare e professionale, nella vita religiosa e sacerdotale, nella scuola e nell'ambito pubblico, in ospedale e in fabbrica.

Se il nostro cuore ci pungola, perché non abbiamo vissuto la carità, è inutile che ci lasciamo affliggere dai rimorsi. Il vero pentimento non si trova ripiegandosi in se stessi, ma ritornando a Dio, così che Egli, che è ricco di misericordia, ci perdoni e ci conceda la necessaria umiltà per proseguire con entusiasmo. Lo sapeva bene san Pietro, quando esclamò: "Signore, tu sai tutto; tu sai che io ti amo" (Gv 21,17). "Dio è più grande del nostro cuore" e i suoi piani e progetti superano di gran lunga la nostro povera mente umana.

Sant'Agostino ha scritto un testo che ha molto a che vedere con ciò di cui ci stiamo occupando: "Se il nostro cuore ci accusa, cioè se ci accusa interiormente perché non operiamo con l'intenzione con cui dovremmo farlo, Dio è più grande del nostro cuore e conosce tutte le cose. Puoi nascondere agli uomini il tuo cuore, ma a Dio non puoi nascondere niente. Come nasconderlo a colui cui un peccatore, pieno di pentimento e timore, diceva: 'Dove andrò lontano dal tuo spirito? Dove fuggire lontano dalla tua presenza?'

Cercavo di fuggire per liberarmi del giudizio di Dio, e non sapevo dove. In effetti, dove non c'è Dio? 'Se salgo al cielo, tu sei là, se scendo agli inferi, lì ti trovo?'
Dove andare? Dove fuggire?

Fuggi verso di Lui, confessa i tuoi peccati e non ti nascondere: infatti, non puoi nasconderti da Lui. Digli: 'Tu sei il mio rifugio': e nutri in te l'amore che solo conduce alla vita" (Sant'Agostino, Trattati sulla prima lettera di Giovanni, Tratt. VI, ns. trad.). Viviamo, dunque, nell'amore. Ma se qualche giorno abbiamo la disgrazia di allontanarci da Dio a causa del peccato, non fuggiamo da lui.

Al contrario ricorriamo al medico che può salvare le nostre anime, ricorriamo al Padre della misericordia, affinché ci restituisca la vita di grazia e ci permetta di dare frutti di amore e di vita eterna.

2) Dare frutti rimanendo uniti a Cristo

"Rimanere" è parola chiave nel vocabolario di san Giovanni. Nell'originale greco (menein), lo troviamo 68 volte negli scritti di san Giovanni e 118 nel Nuovo Testamento. Nel senso più forte esprime l'unione tra il Padre e il Figlio. In senso più ampio, esprime l'unione tra Dio e colui che ha fede e osserva i suoi comandamenti.

La parabola della vite e dei tralci ci invita in modo particolare a "rimanere uniti a Cristo".» evidente che un tralcio, se non resta unito alla vite, non può dar frutto. Si secca, e non serve se non ad essere gettato nel fuoco. Per il tralcio non c'è alternativa: o rimane unito alla vite, o è perduto. Non serve per l'intaglio o altri lavori analoghi. Rimanere uniti a Cristo significa rimanere uniti alla grazia, perché senza di essa non possiamo nulla. Rimanere uniti a Cristo significa rimanere uniti a Lui attraverso la preghiera, la vita interiore, l' "elevatio mentis in Deum", l'elevazione della nostra mente verso Dio. Significa fare che tutti i nostri atti e le nostre opere siano fatti alla presenza di Dio, e ordinate secondo Dio.

"Tamdiu homo orat, quamdiu totam vitam suam in Deum ordinat", l'uomo prega tanto quanto ordina secondo Dio tutta la sua vita (San Tommaso, Comment. in Rom. c.I lect 5). Chi si separa da Cristo si perde: si allontana dalla via, dalla verità e dalla vita. Si secca ed è gettato nel fuoco. Ma c'è qualcosa di più. Colui che resta unito a Cristo trova ascolto alle sue preghiere.

Consideriamo le parole di Sant'Agostino: "Rimanendo uniti a Cristo, cos'altro possono volere i fedeli se non ciò che è conforme a Cristo? Cos'altro possono desiderare, rimanendo uniti al Salvatore, se non ciò che è orientato alla salvezza? Infatti, una cosa vogliamo fino a quando siamo in Cristo, ed altra cosa distinta vogliamo quando siamo nel mondo. Può succedere che il fatto di dimorare in questo mondo ci spinga a chiedere qualcosa che, senza rendercene conto, non conviene alla nostra salvezza. Ma se rimaniamo in Cristo, non saremo ascoltati perché egli non ci concede, se non ciò che conviene alla nostra salvezza. Pertanto, rimanendo noi in Lui e le sue parole in noi, chiediamo ciò che desideriamo ché l'otterremo.

Se chiediamo e non otteniamo, vuol dire che quanto chiediamo non si concilia col suo dimorare in noi e non è conforme alle sue parole che abitano in noi"... (Sant'Agostino, Trattato su san Giovanni, 81, 2-4, 82; ns. trad.).

Rimaniamo uniti a Dio nella nostra vocazione familiare, professionale, religiosa, sacerdotale, affinché diamo frutti di vita eterna, affinché la nostra vita non sia dissipata infruttuosamente tra le minime vicissitudini di ogni giorno. Bisognerà dar frutto nella propria casa, nella formazione della famiglia, nell'educazione dei figli; bisognerà dare frutto nella vita sociale, nella costruzione di un mondo migliore, nello sforzo per alleviare le sofferenze altrui; bisognerà dar frutto nell'apostolato, nel portare le anime a Dio, nella maternità e paternità spirituale.

Ma tutto questo non è possibile, se non rimaniamo uniti a Cristo, Vite Vera.

SUGGERIMENTI PASTORALI

1) Fare ciò che piace a Dio

Talvolta ci si domanda: cosa devo fare, in questo caso che ho di fronte, in questa circostanza della mia vita? Come comportarmi davanti a questa difficoltà o problema? In realtà, l'uomo deve affrontare gravi momenti nella sua esistenza, e deve prendere decisioni concrete.

In queste situazioni, può essere molto utile e illuminante domandarsi: cos'è che piacerebbe di più a Dio? Cosa consolerebbe di più Cristo? Cosa si aspetta Cristo da me, in questa circostanza? Sono domande sostanziali, che illuminano improvvisamente lo svolgersi delle nostre vite. Sono domande che fortificano l'anima, che infiammano l'animo nel petto, e danno la forza di affrontare l'avvenire per amore di Dio e delle anime. Questa domenica c'invita ad amare non solo a parole, ma con le opere. E le opere sono quelle di ogni giorno. Le opere sono i nostri compiti quotidiani, sono le nostre responsabilità in casa e al lavoro; a scuola e nella vita sociale. In effetti, già non abbiamo più un altro mestiere, come diceva san Giovanni della Croce, se non quello di amare. "Alla fine saremo giudicati sull'amore".

2) Cercare di dare frutto

Una tentazione forte durante il percorso della vita è "la stanchezza dei buoni". La stanchezza di coloro che, per qualche tempo, si sono dedicati a praticare il bene.» una stanchezza che può tradursi in un certa delusione, di fronte a tanta lotta e a così magro risultato; è una stanchezza che si traduce nell'abbandono dei grandi ideali e dei progetti ambiziosi; è una stanchezza che diventa pigrizia, vigliaccheria e sterilità dell'anima.

Come fuggire da tale disgrazia? Rinnovare ogni giorno l'impegno a "dar frutto", per lavorare con dedizione. Il mondo, la Chiesa, la mia famiglia, le persone che più amo e che più mi amano hanno bisogno di me, hanno bisogno del mio sostegno, si aspettano il meglio da me. Non posso smettere di dar frutto, a pena di morire spiritualmente. La vita spirituale si trasforma così nella permanente e totale donazione di se stessi, per amore di Dio e del servizio per i fratelli. Dar frutto è una legge di vita cristiana.» un'esigenza per chiunque vive unito a Cristo.

Un modo bello di dar frutto è condurre le anime a Dio. E questo è alla portata di tutti noi. Chi più chi meno, tutti abbiamo la possibilità di portare le anime a Dio. Diceva Madre Teresa di Calcutta: "Il servizio più grande che potete fare a qualcuno - e lei rendeva grandi servizi ai più poveri tra i poveri - è condurlo a conoscere Gesù, così che l'ascolti e lo segua, perché solo Gesù può soddisfare la sete di felicità del cuore umano, per la quale siamo stati creati". Chiediamoci sinceramente: in questo anno, quante persone ho avvicinato a Dio con la mia parola, con la mia testimonianza, con le mie opere? Se vogliamo arrivare al cielo con le mani piene di frutti, non lasciamo passare il nostro tempo senza lavorare.

 

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