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TESTO Forza e canto

don Marco Pratesi  

Veglia Pasquale nella Notte Santa (Anno B) (11/04/2009)

Brano biblico: Es 14,15- 15,1 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 16,1-8

1Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. 2Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. 3Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». 4Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. 5Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. 7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”». 8Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.

Il brano dell'Esodo traccia un itinerario, un passaggio: dal timore della morte al timore del Signore. In mezzo sta l'esperienza della salvezza da Dio.

Si parte da una situazione che è in sostanza paura del male e della morte. Con questa paura le varie potenze mondane ci tengono legati, minacciando: "se non mi dai retta morirai!". Sono potenze di tipo umano (possiamo rappresentarle nel faraone) e non umano (le onde), che ci spingono a cercare la vita per conto nostro, lontano da Dio o anche servendoci di lui. Da queste potenze, che in realtà ci opprimono, Dio vuole liberarci.

Quando tentiamo un atto di fede, come Israele esce dall'Egitto, e proviamo a ribellarci, c'è sempre una reazione: le potenze oppressive tentano di riportarci sotto il loro dominio, spaventandoci. Allora emerge il nostro "cuore doppio" (Gc 1,7; 4,8), la radicata tendenza a tenere il piede in due staffe (cf. 1Re 18,21), a servire due padroni (cf. Mt 6,24; Lc 16,13). Di fronte alla difficoltà ci rimangiamo l'atto di fiducia, e rischiamo di concludere che era meglio non provarci nemmeno, rimanendo schiavi del faraone, almeno si sopravviveva. Certo, ci lamentiamo della vita, ma la nostra schiavitù è alla fine rassicurante, e perciò facciamo resistenza a lasciarla. Siamo insoddisfatti, ma non ce ne distacchiamo.

Questa è una prima soluzione: mi arrendo, così mi salvo. Obbedisco all'idolo e metto al sicuro la mia vita. L'altra soluzione, parimenti inadeguata, è ribellarsi e resistere fino alla morte: morire da eroi, spada alla mano. Certo, perché il male è più forte di noi, e da soli possiamo soltanto perdere.

Mosè esorta il popolo: dovete essere forti! Ma che cosa significa? Che cosa chiede? Non la fortezza dell'eroe. La vera fortezza, quella che effettivamente salva, è dare fiducia al Signore. Questa è la terza via, la giusta: lasciar agire il Signore. Ma proprio questa è la cosa difficile! Non tanto in sé, materialmente - gli israeliti devono solo aspettare - ma per la nostra poca fede, perché preferiamo dovere solo a noi stessi la salvezza.

Questa fiducia permette a Dio di mostrare la sua gloria. La gloria di Dio è la sua manifestazione, quando fa vedere chi è, e risplende in piena luce appunto come Dio, come colui che salva e libera. Allora l'"Angelo di Dio", cioè Dio stesso nella misura in cui si fa presente, agisce.

È Dio che mi chiede di avere fiducia, non è una mia iniziativa. È importante notarlo: io devo avere fiducia alle sue condizioni, non alle mie. Il come, il dove, il quando, lo stabilisce lui. Non devo sfidare l'impossibile di mia iniziativa: sarebbe "tentare Dio", affogherei. La "fede responsabile" sta in questo discernimento, non nel calcolo; nel "sapere a chi si crede" (cf. 2Tim 1,12), non nel fidarsi fino ad un certo punto, in modo "ragionevole".

Chi passa attraverso le acque del Mar Rosso nella fede, fa esperienza di salvezza; chi vi entra senza la fede, trova la morte. Queste acque non sono la vita stessa?

Segno sacramentale di questo passaggio, nel quale disobbedisco agli idoli e entro nelle acque fidandomi di Dio, è il battesimo. Ma è un passaggio che dura tutta la vita: c'è continuamente da buttarsi nel Mar Rosso, continuamente da rinascere nell'acqua.

Dio non domina facendo leva sulla paura, come gl'idoli, ma regna comunicando vita. Il timore di Dio non è la paura di lui, ma il sapere che la storia è in mano a Dio, e non ad altre potenze, e chi sta con Dio sta saldamente nella vita. Ora, subito. E nel futuro. Perciò il canto è doveroso: dobbiamo cantare al Signore. In questo canto, in questa gioiosa certezza che "il Signore regna" e che la nostra vita è nelle sue mani, e solo in quelle, sta l'unica vera possibile forza di salvezza.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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