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TESTO Il Dramma Umano

don Romeo Maggioni  

Venerdì Santo - Passione del Signore (05/04/2009)

Vangelo: Mt 27,1-56 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 27,1-56

1Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. 2Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.

3Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, 4dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». 5Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. 6I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». 7Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. 8Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d’oggi. 9Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, 10e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.

11Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». 12E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. 13Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». 14Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito.

15A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. 16In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. 17Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». 18Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

19Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua».

20Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. 21Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». 22Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». 23Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».

24Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». 25E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». 26Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

27Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. 28Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, 29intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». 30Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. 31Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.

32Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce.

33Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», 34gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. 35Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. 36Poi, seduti, gli facevano la guardia. 37Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». 38Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

39Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo 40e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». 41Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: 42«Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. 43Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». 44Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.

45A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. 46Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 47Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». 48E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. 49Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». 50Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.

51Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, 52i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. 53Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.

54Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».

55Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 56Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo.

La celebrazione del Venerdì Santo nella Liturgia Ambrosiana costituisce come il secondo momento del dramma della passione iniziatosi il giovedì notte (agonia e processo) per annunciare propriamente la passione e la morte del Signore.

Siamo invitati a seguire Gesù processato, oltraggiato, flagellato, schernito, condannato, morto e sepolto.

Assieme la Liturgia contempla e proclama la grazia della salvezza che dalla croce scaturisce, nel solenne atto di adorazione della Croce e nelle intercessioni con le quali la Chiesa affida al suo Sposo le urgenze universali della sua missione.

Momento vertice di coinvolgimento anche emotivo è il silenzio adorante dell’assemblea all’annuncio della morte: è la Sposa che accompagna anche affettivamente i tragici momenti del proprio Sposo al vertice del dono di Sé per la sua Sposa.

Al centro dell’azione liturgica di oggi sta come grande protagonista la CROCE, ma vista da due parti opposte.

Come due momenti di un dramma, si susseguono prima l’annuncio tragico della morte di Gesù e la mestizia che comporta; poi la solenne ostensione della croce, da cui pende la nostra salvezza.

Dolore ed esaltazione sono i due temi di oggi, come di ogni giorno del Triduo che ha sempre presente morte e risurrezione.

IL DRAMMA UMANO

Ci prende la commozione di fronte a tanto dolore, disprezzo e violenza su un uomo giusto, innocente, buono. Come ci capita di commuoverci ogni sera al telegiornale di fronte alle guerre, alle vittime del terrorismo, ai tanti profughi senza casa... o alle tragedie familiari di chi addirittura uccide i propri figli!

Ma oggi ci troviamo di fronte ad un caso più tragico. A furia di mettere le mani sull’uomo, addirittura manipolandolo alla sua radice, un giorno la nostra umanità ha posto le mani su Dio e lo ha ucciso. Questo che oggi piangiamo morto è il Figlio stesso di Dio che è entrato nella trama violenta e superba della nostra cattiveria e ne è divenuto vittima. E’ il vertice sacrilego dell’uomo, il rifiuto fisico di Dio, il fatto storico che è il peccato in assoluto. Era il 7 aprile dell’anno 30. A tanto è giunto l’uomo ribelle e peccatore!

1) LA SCELTA DI DIO

Quel fatto però svela il senso e la radice ultima di tutto il male che c’è nel mondo. La Bibbia, che fa la storia dell’uomo, lo dice chiaramente. Uso una immagine. Dio aveva creato un albero bello e buono, pieno di fiori e di frutti: cioè l’uomo fatto a sua immagine e chiamato all’intimità con Lui. Un giorno un serpente iniettò veleno alla radice di quell’albero, e tutto si seccò. Il primo Adamo – che è poi ognuno di noi – sospetta di Dio, rifiuta la sua amicizia e diviene causa e principio, per tutta l’umanità, della morte, della violenza, dell’egoismo, della sofferenza, e di tutte le nostre tragedie. San Paolo è preciso: “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato” (Rm 5,12).

Cosa poteva fare Dio di fronte alla sua creatura ribelle? Noi avremmo deciso: distruggo tutto e incomincio da capo. Così sembra significare il ricordo del Diluvio. Invece Dio ha voluto tentare un riscatto, una redenzione; e proprio a partire dalla radice del male, dal cuore ribelle dell’uomo, appunto dal peccato. Mandò il suo Figlio unigenito, che divenne uomo, perché finalmente un uomo – passando attraverso tutte le nostre più significative esperienze umane, compresa la sofferenza, l’ingiustizia, la morte fino al cimitero – le vivesse però da figlio di Dio, fedele e obbediente – all’opposto di quel che facciamo noi -, e riparasse così a nome di tutti quella disobbedienza che ci ha provocato la rovina. Scrive san Paolo: “Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm 5,19). E’ il secondo Adamo che si fida pienamente di Dio e apre così all’umanità il modo di riavere la vita, appunto come figli riconciliati ed eredi di Dio.

Abbiamo così il quadro per capire più a fondo il fatto che oggi rievochiamo. Gesù ha sempre obbedito al Padre: “Il mio cibo – diceva – è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4,34). La sua morte in croce rappresenta il momento vertice della sua obbedienza al Padre, dentro il crogiuolo difficile della prova più tragica. Al Getsemani Gesù dice: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice” (Lc 22,42), cioè: Mi sembra tutto assurdo, non è possibile che tu voglia ancora per me la vita, che tu sia un Dio che mi vuol bene; e sulla croce griderà: “Perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Pure: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42), mi fido lo stesso anche se non capisco! L’ultima parola di Gesù in croce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 22,46). Scrive la Lettera agli Ebrei: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva liberarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,7-9).

2) LA NOSTRA SCELTA

Naturalmente lo ha fatto per noi. Abbiamo letto oggi in Isaia: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. Dio ha tanto voluto condividere la nostra vita, da divenire lui il fratello maggiore che a nome nostro e per noi obbedisce al Padre e ci riscatta. “Avendo amato i suoi, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). E’ passato per primo da questo tunnel della prova e dell’obbedienza per essere per noi d’esempio e di aiuto. E Dio non lo ha deluso: quell’atto ha guadagnato a lui la risurrezione e a noi la redenzione.

Ecco: la radice di ogni male è il peccato, cioè il rifiuto e il voler fare a meno di Dio. Noi cristiani combattiamo il male – come tutti e con tutti – con l’impegno per la giustizia, la legalità, la pace. Ma crediamo che è propriamente dal cambiamento del cuore che si può cambiare la vita e la storia. “Non ci può essere giustizia se non ci sono giusti!”, dice Benedetto XVI. E non solo con l’impegno educativo, ma ben più profondamente con un ritorno fiducioso e pieno a Dio, che è verità e forza dell’uomo che vuol fare il bene. Solo vivendo da credenti che si fidano e obbediscono a Dio si può porre il fondamento per una vita buona oggi e, domani, con la riuscita piena di una vita che scavalca la morte col dono della vita eterna.

Ma vedete: ad amare Dio quando le cose van bene, son buoni tutti. Viene il momento in cui siamo chiamati ad esprimere a Dio il nostro sì con più serietà, coerenza e coraggio. E’ il momento della prova. La prova di qualche sofferenza, di qualche umiliazione e ingiustizia, la morte di una persona cara, o qualche catastrofe che ci sconcerta. Sui muri di Gemona del Friuli s’è trovato scritto: Dov’era Dio il giorno del terremoto! E ci vien da dire: “Perché, Signore, sei lontano? Perché mi hai abbandonato?”. E’ il momento supremo della nostra obbedienza. O prima o dopo ci viene chiesta questa scelta: credere che la vita non è nostra conquista, ma solo suo dono, o meglio suo regalo per quanti si fidano di Lui. Per chi cioè, come Gesù e con Lui, compie l’opposto dell’autosufficienza del peccato. E nella prova è facile ribellarci. Ma Cristo non è passato lì dentro invano. L’aiuto e la forza sufficiente c’è. Proprio questo è il dono della Pasqua: la capacità di dire il nostro sì, come Gesù in croce, e di saper obbedire a Dio nelle piccole croci di ogni giorno.

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Sul Calvario ci sono tre croci: in mezzo Gesù che si abbandona al Padre per la salvezza di tutti gli uomini: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”. Ai lati, due atteggiamenti contrapposti dell’uomo di fronte alla morte: chi, soffrendo, si dispera e maledice Dio e il suo progetto sul mondo; chi invece si fida fino in fondo di Dio, ottiene la sua misericordia e con lui regna in paradiso: “Oggi con me sarai nel paradiso!” (Lc 23,43). Sono i due modi, oggi, di porsi davanti alle croci della vita: solo chi soffre come Gesù e con Lui, giungerà alla risurrezione e alla vita.

Un po’ di anni fa il regista Martin Scorzese ha fatto un film dal titolo: L’ultima tentazione di Gesù. Credo che l’ultima vera tentazione di Gesù sia stata quella di pensare, intanto che andava al Calvario: Ma io per chi mi sacrifico? Quanti capiranno questo mio supremo atto d’amore?

Tra poco noi alzeremo per tre volte la croce, quasi portandola in trionfo. E’ stata il segno del nostro rifiuto, è divenuta la fonte della nostra salvezza. “Venite, adoriamo!”. Venite, stimiamo l’amore di Dio e lasciamoci – come scrive l’evangelista Luca – “trafiggere il cuore” (23,48) di vero pentimento davanti allo spettacolo dell’amore grande di Dio.

 

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