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TESTO Chi è di Cristo sceglie la strada della verità e della gioia

padre Antonio Rungi

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (22/03/2009)

Vangelo: Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,14-21

14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Celebriamo oggi la quarta domenica di Quaresima definita della gioia, in latino “laetare”. Prende infatti il nome dall’antifona d’ingresso alla celebrazione eucaristica che riporta una citazione del profeta Isaia: Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione. (cf. Is 66,10-11).

Ci avviamo verso la Pasqua e la Quaresima è abbastanza avanti nel tempo. Ciò significa che anche la parola di Dio ci orienta al senso più vero dell’annuale celebrazione della Pasqua, che è la festa della gioia per eccellenza, in quanto Cristo Risorto, più dello stesso Cristo Incarnato, è motivo di profonda gioia e speranza per l’umanità, espressa in quella Gerusalemme di cui parla il profeta Isaia, che nella sua stessa terminologia indica la città della pace e della gioia. Per un cristiano la gioia di cui deve andare orgoglioso è quella che viene da Dio, da quella fede nel Cristo Redentore dell’umanità che ha aperto gli spazi di una gioia che va oltre il tempo e la contingenza.

San Giovanni Evangelista, nel brano di oggi, punta direttamente al cuore del tema del Redentore e ci illumina sul senso del nostro essere di Cristo. Dio manda nel mondo il suo Figlio per salvarci e non per condannarci. Aver fiducia nella misericordia di Dio è credere nel valore della salvezza operata da Cristo sulla Croce. Disperare della salvezza, significa non riconoscere Cristo come salvatore. Certo la Luce che è Cristo non sempre è accolta, anzi il mondo preferisce vivere nelle tenebre e nel peccato, perché scegliere Cristo significa liberarsi da tutte le zavorre del male e del maligno. Il credente è colui che ripone la piena fiducia nel Redentore ed accetta di essere illuminato e guidato da Lui. Lontani da Cristo siamo come il popolo ebraico lontano dalla patria con la nostalgia del ritorno, con la sofferenza di un ritorno ritardato per mancanza di disponibilità alla conversione radicale del cuore e della mente per il Signore. Il Salmo 136 ci fa toccare con mano questa nostalgia di un popolo deportato e lontano dalla propria patria. Da parte sua, l’Apostolo Paolo nel brano della lettera agli Efesini che oggi ascoltiamo come secondo testo della parola di Dio, ci dice esattamente cosa significhi per noi uomini credenti il mistero del Cristo Redentore.

L’apostolo ci riporta al centro della scelta fondamentale della nostra vita, che è la scelta della fede, senza la quale non si dà senso all’esistenza umana. Noi infatti veniamo salvati mediante questa fede, che è accettare Cristo, il suo messaggio e conformarsi a Lui nel modo più totale possibile. Alla fede devono corrispondere le opere buone che sono espressione di un raccordo tra ciò che professiamo e ciò che facciamo, ciò che siamo e ciò che operiamo. Non si può dire di aver fede per poi vivere concretamente come se la fede non ci fosse. Una sintonia tra il pensiero e l’azione è necessario ricuperarla nella vita di ogni giorno, anche se ci chiede sacrifici e sforzi di ogni genere.

Se la fede non la si vive, se non diventa un vissuto, rimane una lettera morta, solo scritta. Lo sapevano bene gli israeliti che lungo la loro storia hanno dovuto costatare sulla loro pelle e sulle loro vicende interne ed esterne come l’essersi allontanati dalla fede dei padri abbia poi determinato una crisi generale. Quanto sono attuali oggi queste cose anche per noi popolo cristiano o umanità che pensa di poter fare a meno di Dio e trovare soluzione dei suoi drammi al di fuori di un riferimento soprannaturale e divino.

Rileggendo il testo del libro delle Cronache, che è la prima lettura di oggi ci rendiamo perfettamente conto cosa abbia significato per Israele, anche storicamente, il suo deviare continuo dalla legge di Dio. “

Ancora oggi il Signore parla all’umanità e soprattutto alla sua chiesa profeti che indicano la strada retta che conduce alla libertà. Ed anche oggi come allora molti si beffano di tali profeti (penso al Papa, Benedetto XVI, alle tante persone che quotidianamente vivono nell’assoluta fedeltà alla parola di Dio e alla Chiesa) si beffano delle loro parole, li scherniscono, li attaccano, li criticano pesantemente, li offendono, cercano di screditarne l’operato e il messaggio. Con quali risultati? Con uno smarrimento morale, sociale, mondiale, perché senza Dio non si può né sopravvivere né vivere nella pace e nella gioia che nasce da un cuore disponibile ai progetti di Dio.

Sia questa la nostra preghiera conclusiva sia della celebrazione dell’eucaristia e sia della nostra preghiera personale: “O Dio, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, fa’ risplendere su di noi la luce del tuo volto, perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e possiamo amarti con cuore sincero”.

 

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