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TESTO Commento su Giovanni 3,14-21

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IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (22/03/2009)

Vangelo: Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

COMMENTO ALLE LETTURE

a cura del Prof. Gigi Avanti

L’uomo è sempre alla ricerca di certezze, di rassicurazioni, soprattutto quando è alle prese con decisioni importanti da prendere. Il bisogno di trovare certezze si può paragonare alla necessità, per delle fondamenta di un edificio che si vuole costruire, di trovare un terreno solido, stabile e sicuro su cui poggiare. Sarà per questo che tale bisogno viene detto “profondo”... così come si dice delle “fondamenta”...

Quando l’essere umano trova soddisfazione a questo suo bisogno profondo, il risultato è quello di una esistenza emotivamente stabile appunto perché spiritualmente sana (la casa costruita sulla roccia...).

Ma qui comincia il lato curioso della questione. La risposta che si cerca non sta dentro di sé, ma fuori di sé ed in più viene offerta più che conquistata... Così come succede alle “fondamenta” di un edificio che, a prescindere da tutto e non pretendendo rassicurazioni preventive, devono fidarsi di venire buttate così nel profondo di un terreno. Come dire che la rassicurazione alle proprie domande prevede un atto di fede nella possibilità di una risposta già esistente. Come dire che l’appagamento di tale bisogno di rassicurazione non è il risultato di una somma di prove razionali, ma il risultato di un rischioso atto di fede... I mattoni più importanti di un edificio sono quelli che hanno creduto per primi allo strano destino di venire sotterrati e nascosti nel profondo del terreno... Come dire che per arrivare ad un risultato di appagamento della propria sete di ricerca è “fondamentale” credervi, fidarsi, dare per scontato che l’acqua preesiste alla sete, che il terreno preesiste al mattone, che il rispondere preesiste al domandare, che il tutto esiste prima delle parti...

Ed è proprio l’atteggiamento che il brano affascinante del vangelo di oggi ci suggerisce, quello cioè del “cambiar marcia”, quello del “convertirsi”, quello del ribaltamento nel modo di cercare, quello del credere “a priori” godendo delle prove che verranno “a posteriori” anziché quello un po’ arcaico, e magari anche un po’ narcisista, di voler collezionare prove a “priori” riservandosi di godere a raccolta avvenuta. Ma quando ci si decide a volere che la raccolta delle prove sia sufficiente? Più ancora, quale dei due rischi è più elettrizzante per l’anima fatta per alte vette? Quello di una razionalità sussiegosa e sospettosa, mai doma e mai sazia di spiegazioni o quella di una fede semplice e umile (la parola “umile”, etimologicamente, vuol dire “humus”, terreno... dove stanno le fondamenta...)?

Un breve scambio di battute con una delle mie figlie all’età della loro adolescienza può illustrare concretamente quanto sia più redditizio per la stabilità e quiete esistenziale il “credere” come prioritario al “cercare prove per credere”. E se uno, questa inclinazione al credere (dono) se la trova dentro, se la tenga stretta.

Un giorno, durante uno dei tanti pranzi familiari, chiesi a bruciapelo a una delle mie figlie:

“Ma come fai a essere sicura che io sono il tuo papà?” E lei mi rispose: “Perché me l’hai detto tu”. Ed io di rincalzo: “Quindi ci credi...”. Il resto lo lascio immaginare.

Il brano di vangelo di questa domenica che racconta del colloquio di Nicodemo che cerca “rassicurazioni” da Gesù si può leggere anche in questa ottica psicologico-spirituale.

Nicodemo va in cerca di certezze, anzi della certezza principe che potrebbe dare una svolta alla sua vita o comunque caratterizzarla in modo più congruo ed essenziale per il tipo che era. Era infatti già un uomo perbene...

E Gesù, più giovane di lui senza dubbio, con il suo stile paradossale sempre affascinante gli risponde che è meglio predisporsi a credere piuttosto che dannarsi l’anima a cercare prove (“Se uno non rinasce...”), più che arrovellarsi il cervello in cerca di spiegazioni e dimostrazioni è preferibile predisporre interiormente il cuore ad essere terreno morbido dove possa cadere il seme della fede. (“Signore, fa’ che io creda...”).

Gesù, con il suo stile inconfondibile di relazionarsi con le persone facendole comunque sentire importanti, gli insegna che fidarsi vale di più che ragionare, che godere di trovare è molto più redditizio che affannarsi a cercare... con il rischio di non trovare, che fidarsi di quel tanto che basta per credere (i segni servono a questo...) è più conveniente che rimandare alle calende greche di decidersi a credere. C’è chi ha scritto: “Incomincia con l’ammirare quello che Dio ti mostra e non ti affannerai a cercare quello che Egli ti nasconde” (A. Dumas).

Nicodemo, pieno di paura come l’uomo d’oggi, quella notte era riuscito a scovare Gesù... forse perché, di nascosto, già credeva in Lui come Messia e Gesù si era fatto trovare, senza farlo pesare. Infatti, a ben considerare, il sermone sulla dinamica della fede che Nicodemo si sente fare dal giovane maestro... era più rivolto a noi uomini e donne d’oggi che non a lui... che neppure se lo meritava perché, tutto sommato, un brandello di fede già ce l’ aveva e che, invidiabilissima situazione, stava in compagnia con Gesù...

Equilibrio esistenziale è quiete dell’anima. Lo stare in compagnia di Gesù (ed Egli ci ha indicato quella preferita, quella eucaristica, dalla quale si dipartono tutte le altre... prima fra tutte quella dell’amore solidale fraterno nel vivere le relazioni) è risposta alla inquietudine dell’uomo d’oggi, alla ossessiva ricerca di spiegazioni, allo stress esistenziale.

Una volta, sebbene così giovane, Gesù ebbe a dire... ben conoscendo i mali dell’affanno che affliggono cuore, anima e ed anche corpo: “Venite in disparte e riposatevi un po’”.

E’ un invito sempre valido e aperto a tutti... anche di notte.

 

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