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TESTO Io cancello i tuoi peccati

don Marco Pratesi  

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VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (22/02/2009)

Brano biblico: Is 43,18-19.21-22.24-25 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 2,1-12

1Entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.

3Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. 4Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».

6Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? 10Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». 12Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

Dio esprime a Israele esiliato la volontà di realizzare una nuova, grande liberazione, come quella dell'antico Esodo. A che cosa si deve tale progetto? Non alla preghiera di Israele: "tu non mi hai invocato" (v. 22); né ai suoi atti di culto, che non ci sono stati (cf. vv. 23-24, non letti). Anzi Israele si è stancato di Dio, si è sentito da lui caricato di un fardello troppo pesante. Il testo insiste sul "dare molestia" (si potrebbe tradurre "asservire", vv. 22 e 24), ossia il fatto di imporre a qualcuno una fatica che, appunto, lo stanca ("stancare", ricorre 3 volte, vv. 22, 23, 24). Oramai stanco, Israele non ha voluto accollarsi il peso del servizio di Dio, non lo ha invocato né gli ha reso culto. Del resto, Dio stesso non ha voluto fargli richieste cultuali: a Babilonia l'attività cultuale era certo ridotta, e il profeta non insiste in questo senso. Succede allora qualcosa di incredibile: è Israele che mette Dio al proprio servizio, imponendogli il peso del proprio peccato; e Dio non si sottrae a questa fatica! Desidera infatti perdonare e cancellare l'iniquità. Proprio da questa disposizione al perdono scaturiscono i suoi progetti di redenzione. Israele però non immagini che essi siano dovuti ai suoi meriti: Dio perdona "per sé" (v. 25), per fedeltà a se stesso, ossia per pura gratuità. Con ciò Dio non rifiuta di servire Israele perdonando, ma di servirlo facendosi "Dio tappabuchi", ossia mero supporto a progetti e pensieri umani. Ciò che alla fine risulta centrale è la misericordia fedele di Dio, che chiama il suo popolo alla comunione; comunione che in questo caso si esprime nell'accoglienza di un perdono e una salvezza perfettamente gratuiti. Il perdono dei peccati è una nuova creazione. Siamo in consonanza con il Miserere (Sal 51), che invoca appunto la cancellazione del proprio peccato (vv. 3 e 11) e la creazione di un cuore nuovo (v. 12).

Esiste dunque un "asservimento" che Dio accetta e uno che rifiuta. In un certo senso accetta di farsi servo dell'uomo, in un altro lo rifiuta decisamente. Rifiuta di essere piegato al servizio delle nostre mentalità, come se fosse lui a doversi convertire a noi e non viceversa. Perciò da parte nostra l'accettazione del perdono implica sempre una tensione verso la conversione, altrimenti diventa un alienante scaricamento della coscienza: Dio mi perdona, posso continuare come prima! Al contrario, la presa di coscienza della gratuità divina mi provoca a entrare a mia volta nella stessa prospettiva.

Sappiamo bene quanto desiderio di servire l'uomo ci sia in Dio: ce lo ha mostrato Gesù, che non è venuto per essere servito, ma per servire (cf. Mt 20,28; Mc 10,45) e prendere su di sé il peccato del mondo (cf. Gv 1,29; 1Pt 2,24). Dobbiamo accettare il suo servizio, altrimenti gli rimaniamo estranei (cf. Gv 13,8). Servizio che è prima di tutto il perdono dei peccati: dobbiamo accettare di presentarci a Dio non "alla pari", con i conti a posto, ma come perdonati. D'altra parte, siamo impegnati a stanare sempre di nuovo le infinite forme nelle quali cerchiamo di assoggettare Dio alla nostra volontà ripetendo - più o meno implicitamente -: "sia fatta la mia volontà". Si tratta in fondo di una "lotta di volontà". E, come con Giacobbe (cf. Gen 32,23-33), quando saremo sconfitti, solo allora Dio potrà darci tutto.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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