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TESTO Quando qualcun altro regna a casa mia

Marco Pedron  

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V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/02/2009)

Vangelo: Mc 1,29-39 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,29-39

29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

35Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. 36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. 37Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Il vangelo di oggi ci presenta l’attività di Gesù. Gesù predicava e guariva. Queste erano le due grandi attività di Gesù.

Cosa accade? C’è la suocera di Pietro che è ammalata: ha la febbre. Possiamo liquidare la questione dicendo semplicemente: questa era ammalata, Gesù in quanto Figlio di Dio aveva tutti i poteri, quindi anche quello di guarire chi vuole, per cui la guarisce. Ma possiamo anche scendere più in profondità.

Perché la suocera di Pietro potrebbe avere la febbre? Questa informazione, intanto, ci dice che Pietro era sposato (cfr. 1 Cor 9,5). Inoltre noi sappiamo che un attimo prima (1,16-20) Pietro e Andrea, finché riassettavano le loro reti in riva al mare, erano stati chiamati da Gesù. E loro subito, dice il vangelo, lo seguirono. La stessa cosa accade a Giacomo e Giovanni. E adesso tutti e quattro vanno a casa di Pietro (1,29).

Ma allora si capisce bene la febbre della madre della moglie di Pietro.

Le donne lavoravano in casa e Pietro era l’unico sostentamento della sua famiglia. “Ma cosa sta facendo Pietro? Ma si rende conto? Ma è pazzo? Ma è fuori di sé? Non siamo mica ricchi noi!; non possiamo mica permetterci una cosa del genere! Come camperemo? Chi ci permetterà di sopravvivere? Gli dà da vivere questo Gesù? Gli garantisce uno stipendio? E non si rende conto che ci espone al giudizio della gente e della sinagoga?”.

“Bella reputazione ci facciamo! Cosa si dirà in giro: tuo genero ha lasciato la sua donna per seguire un uomo! Questo Gesù si è già messo contro la sinagoga e fa cose “pericolose”. Alcuni dicono che guarisca in nome del demonio e mio genero segue gente così: mi vergogno perfino ad uscire, a farmi vedere”.

E poi tutte le valutazioni sulla scelta: “Ma come si fa a piantare in asso la propria moglie? Che ci sia qualcosa dietro? (Perché quando una cosa è strana dev’esserci qualcosa dietro!) Ma chi è questo Gesù? Se venisse da Dio non chiederebbe a Pietro di lasciare la famiglia! Non è da irresponsabili vivere così? Uno lascia la famiglia per pensare solamente a sé: è libertà questa o egocentrismo?”.

Ma cosa vuol dire avere la febbre? Il termine greco, piresso, indica appunto la febbre, il calore, l’alterazione. Pir, infatti, in greco vuol dire proprio fuoco. Cosa sta succedendo allora?

Pietro fa il pescatore, la moglie e la suocera lavorano in casa (e su un pezzo di terra se ce l’hanno). Tutto procede bene. Ma arriva Gesù e si intromette nella situazione e nell’equilibrio che si è creato. L’equilibrio si rompe e la suocera è ovviamente alterata da questa cosa, arrabbiata, furente: “Ma chi è questo Gesù che viene a turbare la nostra vita?”. Se avesse potuto lo avrebbe “brusà (bruciato)”, ma non poteva! Purtroppo gli tocca subire l’influenza di Gesù su Pietro che distrugge l’equilibrio familiare e le scatena tutte le sue paure: per questo ha l’influenza! Ma se potesse...! Capite quanta rabbia e odio c’è dietro! Capite che fuoco brucia dentro!

Ambiente di lavoro. Una segretaria ha il suo ufficio: lo sente suo, “territorio” suo. Ma un giorno il capo le dice: “Per alcuni giorni dovrai condividere il tuo ufficio con una collega”. Lei, però, non sopporta questa collega con la quale vi è odio allo stato puro. C’è un nemico nel suo ufficio, nel suo spazio. Il giorno dopo il ritorno della collega al suo ufficio (la situazione quindi si risolve) lei si fa una influenza tremenda.

Giorno di Natale: a casa tua hai invitato i tuoi parenti perché si sa che “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi” (chi l’ha detto?). Tu sei ai fornelli, ma c’è anche tua madre e tua sorella. Tua madre ha sempre qualcosa da dire su quello che prepari: “Qui ci vuole più sale! Ma non ti ricordi come ti ho insegnato da piccola: non devi fare così! Troppo cotta! Fa’ come ti dico io e vedrai come verrà gustoso!”. Tua sorella poi: “Sì buono proprio... certo che come quello dell’anno scorso (visto che si faceva a casa sua!)”. Così tu macini odio e rabbia: per il quieto vivere stai zitta e non dici nulla, ma dentro di te esplode l’Etna di rabbia: “Ma perché ci devono mettere la bocca in casa mia? Facciano a casa loro, così lì fanno come vogliono loro!”. E continui a subire la loro influenza (competizione inconscia), finché finalmente a sera se ne vanno e tu dici. “Finalmente, adesso a casa mia faccio quello che voglio io!” (risoluzione). Il giorno dopo hai l’influenza!

La scelta di Pietro ha delle conseguenze economiche e sociali per questa donna. La suocera non capisce questa scelta e la sente come un’intromissione di Gesù nella sua vita: “Ma cosa vuole da noi questo uomo? Come si permette?”. Per questo è colma di odio e di rabbia.

La febbre è un segnale di combattimento, vuol dire: “Qui c’è una guerra!”. La febbre della donna è il segnale sul corpo di ciò che non riesce ad esprimere con le parole.

Quando poi sente che i quattro insieme a Gesù vanno a casa sua...: “Beh, questa è proprio troppo! Ha anche il coraggio di venire qui! Ma ha da aspettare se pensa che io gli faccia da mangiare!”.

E Gesù? Come sente della malattia va subito a trovarla (1,30). Gesù intuisce la situazione: questa donna “ce l’ha con me”. Poteva far finta di niente; poteva dire: “Se ha qualcosa me lo verrà a dire! Non sono problemi miei!”. Ma Gesù intuisce la difficoltà della donna.

C’è dell’odio, della rabbia con qualcuno? Chiarisci e confrontati con lui. Perché l’odio genera odio e il fuoco della rabbia ti brucia gli organi e ti acceca il pensiero.

Molte guerre nascono non per motivi reali ma per interpretazioni delle persone: qualcosa di piccolo li ha feriti, li ha fatti dubitare, li ha infastiditi, e, invece di chiarire, l’odio poi esplode.

Watzlawick in un libro dal titolo indicativo: “Istruzioni per rendersi infelici” racconta questa storia: “Un uomo vuole appendere un quadro. Ha il chiodo ma non il martello. Il vicino ne ha uno, così decide di andare da lui e di farselo prestare. A questo punto gli sorge un dubbio: “E se il mio vicino non me lo vuole prestare? Già ieri mi ha salutato appena. Forse aveva fretta, ma forse la fretta era soltanto un pretesto ed egli ce l’ha con me. E perché? Io non gli ho fatto nulla, è lui che si è messo in testa qualcosa. Se qualcuno mi chiedesse un utensile, io glielo darei subito. E perché lui no? Come si può rifiutare al prossimo un così semplice piacere? Gente così rovina l’esistenza agli altri. E per giunta si immagina che io abbia bisogno di lui, solo perché possiede un martello. Adesso basta”. E così si precipita di là, suona, il vicino apre, e prima ancora che questo abbia il tempo di dire: “Buongiorno”, gli grida: “Si tenga pure il suo martello, villano!”.

C’è un uomo che batte le mani ogni dieci secondi. Un uomo gli chiede: “Ma perché batte le mani ogni dieci secondi?”. “Per scacciare gli elefanti!”. “Ma qui non ci sono elefanti!”. E lui: “Appunto!”.

C’è un problema: “Vai a risolverlo!”. Di fronte ad un problema, un’incomprensione, un dissapore, una situazione temuta, rifiutarla o scansarla sembra la soluzione più logica ma assicura, però, il persistere del problema.

Poi il vangelo dice che Gesù si accostò, la sollevò e la prese per mano (1,31).

“Si accostò” (proserchomai) vuol dire proprio “farsi vicino”. Fra i due c’era distanza, ma Gesù si fa vicino, riduce la distanza, prende l’iniziativa e la incontra.

“La sollevò” (egheiro, alzarsi, svegliarsi, sollevare, risorgere): la donna è distesa, non vuole avere a che fare con Gesù ma Gesù le parla, le sta vicino, finché la donna gli dà ascolto e “si solleva” dalla sua paura che la domina e dalla preoccupazione per ciò che sta accadendo.

“La prese per mano” (krateo) indica un impossessarsi della mano: il verbo krateo vuol dire dominare, impadronirsi, impossessarsi, avere potenza. Gesù vuole proprio incontrarla, toccarla; Gesù vuole che la donna senta chi è lui, che lei possa farne esperienza di persona, che lo possa conoscere.

Da questo verbo viene anche la parola “cratere”. La donna è un cratere inesploso; Gesù, invece, è un cratere la cui energia, lava vitale non rimane dentro covando odio ma diventa energia, amore, tenerezza, attenzione, per ridurre la distanza fra i due.

Cosa sta accadendo? Non sappiamo cosa si siano detti o cosa si sia successo. Ma da queste poche parole capiamo che Gesù, sentito il risentimento della donna, ha preso l’iniziativa è andato da lei e piano piano le si è avvicinato, le ha parlato, finché la donna ha capito che quell’uomo non è né un pazzo, né un fuori di testa.

Il vangelo dice che la donna addirittura passa a “servirli” (1,31). Dov’è finita tutta la sua rabbia? Il passaggio è dall’odio per Gesù al servizio, all’amore per quest’uomo; dal volergli stare il più lontano possibile, dal neppure vederlo, al stargli vicino; dal sentire questo uomo come un nemico, al sentirlo come un amico e uno che è con te e per te.

Allora io imparo: finché la donna combatte Gesù non può guarire. Ma quando lo ascolta, lo comprende, quando si lascia toccare da lui, quando ascolta le sue ragioni, allora tutto il suo fuoco e il suo odio scompaiono.

Molte persone odiano solo perché sono centrate su di sé: non si mettono nei panni degli altri, non vogliono ascoltarli, non vogliono sentire le loro ragioni. Vedono solo se stesse e sentono solo il proprio dolore. Ma se si riesce a fargli sentire il proprio dolore, le proprie ragioni, la propria parte (e se loro si lasciano toccare da ciò), allora si può stabilire un contatto e incontrarsi. Allora possono cadere le ragioni dell’odio.

E imparo anche da Gesù. Cosa si può fare quando uno ce l’ha con noi? Quando uno è arrabbiato con noi?

La prima reazione è naturale: stargli alla larga. Ma questa crea altra diffidenza e ingigantisce la distanza. Gesù fa due cose.

La prima: prende l’iniziativa e va lui di persona. Spesso noi rimaniamo nella nostra rabbia, facciamo gli offesi e diciamo: “Deve venire lui da me! Con quello che mi hai fatto vuoi che vada io da lui? Se aspetta che vada da lui, ne passa di tempo...!”. Quando si è feriti è normale chiudersi: ma se rimaniamo così chiusi nel risentimento non c’è possibilità di incontro. E non vogliamo neppure saperne di sentire l’altro. C’è pure chi si chiude nel silenzio risentito e non dice più una parola. Ma così non si risolve nulla.

Anni fa un nostro amico aveva fatto una festa di compleanno e aveva invitato tutti i suoi amici tramite lettera. Era arrivata a tutti, eccetto uno (la lettera si perse). Il giorno del compleanno c’erano tutti, eccetto lui (ovviamente). Il non invitato si era risentito ed era furioso: “Guarda, ha invitato tutti e non me! Questa me la paga! Non sarà mai più come prima!”. Il festeggiato ci stava proprio male: “Beh, poteva almeno dirmelo se non veniva! Che ingrato: ci tenevo così tanto!”. E non si son più parlati! Nessuno dei due voleva cedere. Ne valeva la pena? Solo dopo anni si sono chiariti... ma ormai l’amicizia si era dissolta!

La seconda cosa: usa tenerezza e amore. In fin dei conti Gesù capisce bene le ragioni di questa donna: è arrabbiata perché non lo conosce, perché in effetti il suo modo di vivere non è “come tutti”, perché Pietro ha fatto una scelta radicale e difficile.

Tanta rabbia tanto dolore: è una legge della biologia umana. Quando una persona è arrabbiata, più a fondo è ferita, anche se in genere è molto difficile che le persone lo mostrino. E con una persona ferita bisogna avere tanta comprensione, delicatezza, cura altrimenti non ce la fa ad aprirsi. Devo ascoltarla, devo sentire le sue ragioni e soprattutto capire il suo dolore. Se rimaniamo nel piano della rabbia ci facciamo solo la guerra; ma se ci incontriamo nel dolore, allora ci sentiamo, allora non si rimane più indifferenti.

Avete presente cosa fa una rosa quando esce il sole: si apre. Se una persona ferita la si ascolta veramente, senza giudicarla e non prendendo paura dei suoi attacchi aggressivi, prima o poi si apre come una rosa.

Un uomo violento, verbalmente e fisicamente con la moglie, era stato lasciato da lei. Aveva un odio che se l’avesse incontrata per strada avrebbe potuto davvero ucciderla. Venne da me a parlare ma era accecato dall’odio. Si sedette e tra improperi, bestemmie, urla e altro parlò per un’ora e mezza. Non dissi niente, neanche una parola (era troppo dentro l’onda della rabbia), anche se la voglia di cacciarlo via era tanta! Come si fermò gli dissi: “Sento che sta proprio soffrendo tanto. Le manca tanto sua moglie, vero!”. Gli occhi gli diventarono rossi e uscì in un pianto a dirotto. Pianse almeno venti minuti, poi mi guardò e allora io gli dissi: “E’ come se avesse perso la mamma, vero!” (sapevo che sua mamma era morta quando lui era molto piccolo). E pianse altri venti minuti. Non avevo preso paura della sua rabbia e c’eravamo incontrati nel dolore.

Se si mostra la rabbia non ci si può mai incontrare; solamente mostrandoci feriti, vulnerabili, sofferenti, allora possiamo incontrarci e amarci.

Poi il vangelo continua. E’ sabato giorno del riposo e quindi solo a sera possono portargli gli ammalati. Gesù si scaglierà contro questo precetto. Lc racconta (Lc 13,10-17) di una donna curva tenuta inferma da diciotto anni da uno spirito che Gesù guarisce. Il capo della sinagoga s’arrabbierà dicendo: “Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli venite a farvi curare e non in giorno di sabato!”. E Gesù gli risponderà: “Ipocriti, non scioglie forse di sabato, ciascuno di voi il bue o l’asino per condurlo ad abbeverarsi? E questa donna non doveva essere guarita, anche se era sabato?”. Gesù è venuto per guarirci, per liberarci dai nostri demoni; la vita è più di ogni legge (anche di quella religiosa).

Nel vangelo Gesù ne scaccia molti alla sera del sabato e il giorno dopo va altrove per guarire altre persone. C’è una frase strana: “Non permetteva ai demoni di palare perché lo conoscevano” (1,34). Cosa vuol dire?

Sapere il nome vuol dire esser consapevoli esercitare un potere. Tutti noi sappiamo che il primo passo per guarire da una malattia, da un vizio, da un comportamento, è saperlo. Altrimenti non si può guarire.

A volte le persone dicono: “Vorrei guarire!”. “Da cosa?”. “Dal malessere”. Ma “malessere, male” è tutto ed è niente. Non si può guarire se non si sa da cosa si deve guarire. Vuoi guarire: inizia a scoprire di cosa sei ammalato e dà un nome alle tue malattie. E’ come dire: “Vammi a prendere quella cosa lì!”. Ma uno non sa cosa prendere, perché è indefinito.

Gesù toglie ai demoni il potere del nome (gli impedisce di parlare), li zittisce, e, rimanendo senza forza e senza potere, li vince.

Se si legge il vangelo sembra che ci siano demoni dappertutto. Nella nostra mentalità il demonio è “un essere, una creatura” che sta fuori di noi. Un po’ come le malattie: pensiamo che ci cadano dal cielo, che sia questione di fortuna o sfortuna. Invece, sappiamo che non è così. Se ci si ammala ci sono dei motivi ben precisi, biologici e spirituali.

Per il vangelo il demonio è qualcosa che tu hai dentro, che ti riguarda. Una volta vi erano i setti vizi capitali: era un modo per consapevolizzarsi dei propri demoni. Era una semplificazione, uno strumento per rendersi conto dei demoni, degli impostori, di coloro che governavano la nostra vita impedendoci di essere noi stessi. Invece che essere noi i signori di casa nostra, noi siamo gli schiavi e questi demoni governano in casa nostra. Demonio è quanto tu sei posseduto da qualcosa che non sei tu, che non è vitale, che ti limita e ti fa morire. E il demonio peggiore ce l’ha colui che crede di non averne!

1. La gola. Questo demonio/voce ti dice: “Riempiti finché il buco sarà pieno”. La ferita: “Non sono stato amato (nutrito) a sufficienza”. In realtà non basta mai, perché l’amore che non c’è stato dato non si può riempire con cose ma soltanto con altro amore. Pensate ai nostri frighi: così pieni, che poi si butta via! Molte persone si riempiono di fumo, di alcool, di cocaina, di denaro, di cose, di cibo: ma per quanto mandi giù quel buco non si riempie mai. Così tu “mangi” di più per riempirlo ma non basta mai! Se non fai il salto: “Mi riempio per non sentire il buco che ho dentro”, non puoi guarire.

2. La lussuria: “Prenditi tutto quello che desideri”. La ferita: “Nessuno mi ha posto dei limiti“. Il lussurioso non regge il no, il limite che non tutto si può avere. Il piacere è una cosa molto buona; ma se bisogna aver piacere o piacere a tutti i costi, allora non è più piacere ma dipendenza. Il lussurioso (“Me lo posso permettere quindi lo faccio”) si prende tutto il piacere che può: piacere del sesso, del lusso, dei vestiti firmati, delle emozioni forti e intense. Ma il buco anche qui non si riempie mai e si diventa schiavi, dipendenti.

Un famoso gigolo americano ha detto in un’intervista: “Mi son fatto così tante donne e ho fatto così tanto l’amore che alla fine muoio senza aver amato mai nessuno. Ho cercato l’amore e muoio d’amore (morto di a.i.d.s.). Forse in tutte quelle donne ho semplicemente cercato quella madre che non ho mai avuto”.

3. L’avarizia: il demonio/voce dice: “Tutto è mio”. La ferita dell’avaro è: “Non ho avuto e adesso mi tengo tutto”. Quante persone sono avare di sentimenti: non sanno dare affetto, non sanno consolare, non fanno mai un complimento, non sanno essere generose, non fanno niente per niente. L’avaro dice: “Non è mai abbastanza; devo lavorare di più; il denaro non basta mai; bisogna risparmiare”.

E’ morto un anziano, sostenuto dall’assistenza sociale; viveva senza riscaldamento e solo di quello che gli altri gli portavano. In banca, il vecchietto, aveva qualcosa come ottocento milioni di lire! Povero, ma non di soldi, di cuore! L’avaro accumula per paura, perché teme di rimanere senza. E tra l’altro, visto che tutti si muore, così sarà!

4. La superbia: “Io non sono come gli altri”. La ferita è: ”Mi sento così inferiore (mediocre) che faccio il superiore (compensazione)”. Il superbo è terribile: lui non si mette mai in discussione perché lui in fin dei conti non sbaglia mai; lui non parla mai di sé perché non c’è motivo. Il superbo non ha bisogno di aiuto, non si fa guidare da nessuno e non si guarda mai dentro. Il superbo ha sempre ragione; lui ha la verità; lui sa; lui ti dice cosa deve fare; le parole non sono mai per lui ma sempre per gli altri; lui non ascolta perché lui sa già; lui è superiore a certe cose e per questo il superbo giudica: “Io non farei così; io non sono come quelli” perché lui dentro di sé si sente a posto.

5. L’invidia: “Voglio quello che non ho”. La ferita: “Non valgo niente” ma con l’illusione che “se avessi quello che hanno gli altri, allora sì che sarei qualcuno”. Vorrebbe essere come gli altri perché dentro non si sente nessuno. C’è un uomo che è felice quando a suo fratello vanno male le cose. Un altro che sminuisce tutto quello che fanno gli altri: “Beh, cosa sarà mai! Solo fortuna!”.

6. L’ira: “Ti odio che ti ucciderei”. La ferita: “Sto soffrendo ma non voglio ammettere che sto soffrendo e ti faccio vedere solo la mia rabbia”. Quante persone (magari dentro di sé) sparlano dell’altro, insultano, bestemmiano; quante persone se possono ridicolizzano o si divertono a pettegolare o ad augurare male. Ma che cuore hai?

7. L’accidia o tristezza: “Non serve! Non ne vale la pena!”. La ferita: “Ho così tanto sofferto che non voglio sentire più niente”. L’accidioso ha represso tutto. Quante persone sono depresse, senza voglia di vivere, apatiche, pessimiste, vedono tutto nero o si lamentano sempre. E’ una strategia per difendersi e per non andare dentro di sé, dove c’è la forza vitale ma anche un grande dolore.

E Gesù? Gesù non solo li guarisce ma di mattina presto, quando ancora è buio (1,35), va a pregare in un luogo deserto. Anche Gesù aveva bisogno di pregare? Sì, anche lui! Anche lui conosceva la pericolosità dei demoni, anche lui doveva proteggersi, difendersi e guardarli in faccia. Anche lui chiedeva a Dio: “Padre, dammi la forza di smascherare i miei demoni, di riconoscerli e di vivere da Figlio di Dio e non da schiavo”.

Pensiero della settimana

Non si può provare gioia in una relazione
nella quale non si può essere se stessi!

 

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