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TESTO Risanaci, Signore, Dio della Vita!

Antonio Pinizzotto

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/02/2009)

Vangelo: Mc 1,29-39 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

35Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. 36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. 37Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

La Liturgia odierna ci mostra ancora come la Parola di Gesù abbia il potere di liberare, di guarire, di sollevare l’uomo dal male che lo affligge. Riconosciamo in Gesù il buon Samaritano che si china sul “fratello” e lo aiuta a rialzarsi... e chi di noi, carissimi fratelli e sorelle, non è così povero da avere bisogno di questo aiuto “misericordioso” del Signore per trovare una via di uscita alle tante prove e tribolazioni che ci affliggono ogni giorno?!

Il giusto Giobbe che soffre ci rappresenta tutti; eppure in lui la speranza non si spegne mai, insieme con la fede, che lo salveranno dalla prova. Con quel “Ricordati”! che eleva al Signore, ascoltato nella Prima lettura, potremmo definire Giobbe il portavoce di tutti gli afflitti della terra, di tutti coloro che non sembrano trovare via d’uscita al loro dolore e trovano rifugio solo in Dio, il quale non lascia inascoltata nessuna parola dei suoi figli. Nel Salmo responsoriale, in cui abbiamo rivolto la nostra voce al Padre della Misericordia, con l’invocazione “Risanaci, Signore, Dio della vita”, troviamo la conferma che Lui non ci abbandona: «Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d'Israele. [...] Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite. [...] Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi» (cfr. Sal 146).

Eppure i giorni che stiamo vivendo e la vicenda così drammatica che affligge l’Italia ed il mondo intero riguardo Eluana Englaro, suonano come un “contro-Vangelo”: per Eluana non si chiede e non si spera la salute, la Vita, bensì la morte, come tragica fine del suo doloroso Calvario avuto inizio nel 1992, in seguito ad un incidente stradale, che l’ha ridotta in stato vegetativo.

Quante parole abbiamo udito in questi giorni attraverso la stampa, i mass media, gli amici, i familiari... e tante ne abbiamo pronunciate, schierandoci dalla parte di chi – come vero cristiano – ritiene la Vita un dono “indisponibile” per l’uomo o dalla parte di chi, invece, pensa di mettere a posto la propria coscienza togliendo la vita a chi soffre.

Come uomo e, soprattutto, come cristiano, sento la decisione di togliere la vita ad Eluana Englaro come una sconfitta per il nostro Paese, per il mondo, per ogni uomo... per me! Sono profondamente addolorato che chi ha il potere di intervenire, mi riferisco alla nostra classe politica (maggioranza e opposizione), la quale volentieri e a sproposito si fregia dell’etichetta di “cristiana/cattolica”, non abbia trovato una convergenza di idee che potessero bloccare la sentenza emessa dalla Cassazione, su richiesta del padre di Eluana, per dar luogo ad una sorta di palcoscenico della morte.

Pensavo in questi giorni all’omelia tenuta dal santo Vescovo di Palermo, il cardinale Salvatore Pappalardo, nelle esequie del generale Dalla Chiesa. Una celebre espressione mi sembra quanto mai appropriata al tempo ed alla circostanza che stiamo vivendo: «Sovviene e si può applicare una nota frase della letteratura latina: “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” - “Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici”. E questa volta non è Sagunto, ma Palermo: povera, la nostra Palermo!». Sono parole molto forti e graffianti, che si commentano da sé e che ci fanno aprire meglio gli occhi su uno squarcio del nostro bel Paese: povera, la nostra Italia!

Da quando sono bambino ho sempre sentito parlar male degli Stati Uniti perché, nonostante siano una Nazione più che “civile” e all’avanguardia, ancora applicano la pena di morte. Ma noi non stiamo facendo peggio, con il cosiddetto “caso Eluana”? – Che brutta espressione: “Caso Eluana”!!! – Non abbiamo forse a che fare con una Vita umana?! E la Vita non è, forse, il dono più grande che Dio ha potuto consegnare a ciascuno di noi?

Appena una settimana fa’ abbiamo celebrato la Giornata nazionale per la Vita e le parole del Papa all’Angelus ci hanno rammentato una verità incontrastabile: «L’eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo. La vera risposta non può essere infatti dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano. Siamone certi: nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio». Direbbe il salmista: «Le mie lacrime nell'otre tuo raccogli» (Sal 55,9).

Anche se abbastanza giovane, ho avuto modo di condividere la sofferenza, talvolta atroce, di tanti fratelli; eppure, nonostante la sofferenza, ho colto puntualmente il grande desiderio di Vita, la forza di lottare contro tutto e contro tutti perché la Vita trionfi.

La pagina evangelica di questa Domenica e delle Domeniche di questa prima parte del Tempo Ordinario, che ci hanno fatto prendere in mano il primo capitolo del Vangelo secondo Marco, aiutano a comprendere che Dio non si compiace in alcun modo della sofferenza e della morte! Per questo, ha inviato il Suo Figlio Gesù, che si è fatto carico della sofferenza di ogni uomo e che, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, l’ha vinta per sempre, ridonandoci la Vita in pienezza.

Di questa verità l’apostolo Paolo ne fa il suo programma, tanto da dire, come abbiamo ascoltato nella Seconda Lettura: «Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). Ed il Vangelo è Vita, è medicina contro la morte, è cura per ravvivare e non spegnere mai la speranza! Questo, per noi che ci professiamo cristiani, non è un optional, bensì un dovere: guai a noi se non fossimo i testimoni di questa verità! Ma noi, lo siamo ancora? Non abbiamo forse annacquato la nostra fede con falsi ideali, con futili parole, con gesti inopportuni?

Nella notte tra lunedì e martedì scorsi, Eluana Englaro è stata trasportata in ambulanza da Lecco, dove è stata assistita amabilmente dalla Suore Misericordine, a Udine, dove sarà progressivamente tolta l’alimentazione artificiale. Le immagini di quella notte, che hanno fatto il giro del mondo, sono state per il nostro cuore come quella spada che ha attraversato il cuore della Vergine Madre per la morte del Figlio! E quelle poche persone, accorse lì che, mentre caricavano Eluana sull’ambulanza, gridavano: “Svegliati, perché stanno per ucciderti!”, hanno rappresentato un po’ il grido di chi le è vicino, con l’affetto e la preghiera di fratello e di amico, e di chi non può accettare perentoriamente la sua tragica fine: Eluana non morirà per lo stato in cui vive, ma morirà di fame e di sete, come quei condannati a morte dei campi di concentramento nazisti... ne è un esempio san Massimiliano Maria Kolbe.

E, dopo il “caso Eluana”, quanti altri se ne presenteranno?! In realtà ve ne sono già molti, che aspettano una conclusione uguale. Può dirsi ancora l’Italia un Paese “civile”?

Carissimi fratelli e sorelle, siamo chiamati a dare ragione della nostra fede e della nostra speranza di cristiani (cfr. 1 Pt 3,15): dobbiamo impegnarci nella preghiera, ma senza delegare tutto alla preghiera! Siamo chiamati ad essere testimoni autentici del Vangelo della Vita, educando le giovani generazioni a tenere alto il valore della Vita stessa, a difenderla contro tutto e contro tutti, mettendo a frutto i talenti che abbiamo ricevuto.

Le nostre Comunità Cristiane siano il luogo dove la Vita si coltiva e si edifica nell’incontro con Cristo e nell’esperienza della Comunione fraterna. Nell’ora della prova e della tribolazione non stanchiamoci di volgere il nostro sguardo alla croce di Cristo, su cui è inchiodata la sofferenza di ogni uomo. Solo così potremo guardare al futuro con occhi di speranza, collaborando efficacemente alla costruzione di un mondo migliore.

Come ci ha suggerito il Santo Padre, al termine dell’Angelus della scorsa domenica, alla Vergine Maria «affidiamo le persone che sono nella sofferenza e chi si impegna ogni giorno al loro sostegno, servendo la vita in ogni sua fase: genitori, operatori sanitari, sacerdoti, religiosi, ricercatori, volontari, e molti altri». Vogliamo farlo, in particolare, ricordando il 151° anniversario della prima apparizione a Lourdes, che celebreremo mercoledì prossimo. Chi è stato a Lourdes sa bene cos’è la sofferenza. Eppure in quei tanti volti che ho incontrato non ho mai visto o colto alcun desiderio di morte, bensì la serenità di vivere la sofferenza in unione a quella di Cristo per la salvezza del mondo.

Accogliendo i messaggi che vengono da Lourdes, saremo davvero quei cristiani autentici che il Signore desidera.
Amen.

 

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