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TESTO Impurità

don Marco Pratesi  

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/02/2009)

Brano biblico: Lv 13,1-2.45-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,40-45

40Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Le categorie puro/impuro sono piuttosto estranee alla mentalità moderna, ma importanti nella letteratura veterotestamentaria, soprattutto nei documenti di origine sacerdotale, come il Levitico. Esse sono relative a quella di santità: per accostarsi a ciò che è santo occorre essere puri. "Santo" è quanto è divino o appartiene a Dio, distinto e diverso rispetto al resto; "puro" è quanto può stare alla sua presenza, venire in contatto con il Santo. Lo stato di purità rende possibile la comunicazione col mondo della santità divina, quello di impurità la preclude. Qui facilmente si equivoca: la distinzione puro/impuro non si riferisce alla situazione morale, ossia non equivale a buono/cattivo: è molto più sul piano fisico.

Perché certe cose sono impure e altre no? Trovare una motivazione razionale non è sempre facile, probabilmente nemmeno possibile. In questo processo agiscono vari fattori (conoscenze naturalistiche e mediche, concezioni magiche, tabù ancestrali, dinamiche sociologiche) difficilmente ricostruibili. In linea generale si può dire che la purità è legata all'integrità del vivente. Il contatto con quanto sta nell'ambito della morte, è morto, moribondo, mutilato, corrotto, alterato, rende impuro.

Ciò è ben evidente nel nostro caso, la lebbra. Sotto questa denominazione l'Antico Testamento raggruppa varie malattie della pelle che corrispondono solo in parte, e forse assai poco, a quello che oggi chiamiamo lebbra. Quando la pelle mostra gonfiori, macchie, alterazioni, si parla di lebbra. Così esiste anche la "lebbra" di vesti e muri (cf. Lev 13,47-59;14,33-53). Una volta dichiarato dal sacerdote ufficialmente impuro, è dovere del lebbroso palesare a tutti il suo stato di prossimità alla morte, sia con l'abbigliamento (vesti e capelli) sia con la parola (avvertendo della propria impurità), in modo che nessuno si accosti, divenendo a sua volta impuro. E' evidente la necessità di evitare il pericolo del contagio. Il lebbroso viene escluso dalla vita civile e religiosa, che formano una stretta unità. Israele è infatti un popolo sacerdotale, e l'una esclusione implica l'altra. Si accede al Dio santo e al suo popolo solo nell'integrità vitale.

Per capire meglio, rifacciamoci alla creazione. L'atto creatore è un atto di separazione (cf. Gen 1,4.6.7.14.18). Nel caos primordiale tutto è indistinto, e non c'è vita. La distinzione e la delimitazione dei vari elementi, operata da Dio, rende possibile la vita. Quando i limiti saltano, allora si percorre il tragitto inverso, e ci si avvia verso il caos e la morte. Quanto era stato sottratto al nulla vi fa ritorno. La morte è l'anti-creazione, la "de-creazione".

La morte e il suo corteggio - tutto quanto, come la lebbra, deturpa e sfigura l'opera creatrice (cf. Gb 18,13) - non può dare gloria a Dio (cf. Sal 6,6; 30,10; 88,11-13). La morte è incompatibile con Dio. Ci si accosta a Dio solo nella pienezza vitale da lui stesso voluta con l'atto creatore.

Questo è molto importante, e va tenuto ben presente. La morte, anche per il cristiano, rimane un nemico (cf. 1Cor 15,26). Fermarsi qui, però, significherebbe sancire un'esclusione. E non solo dei lebbrosi, ma di tutti. Già nell'Antico Testamento parte un processo, che Gesù e la prima Chiesa porteranno a compimento, di trasferimento del concetto di puro/impuro nell'ambito morale: nulla di impuro esiste se non il peccato (cf. Mc 7,18-23; At 10,9-16; Tt 1,15). Ora, noi siamo precisamente infettati da questa lebbra. Fermarsi qui, significherebbe dunque prendere atto di una separazione, questa volta non creatrice ma distruttiva, dell'uomo da Dio e degli uomini tra di loro. No, Dio non si ferma davvero qui, non si rassegna a questo: Gesù non solo scavalca la barriera dell'impurità, toccando il lebbroso (cf. Mt 8,3; Mc 1,41; Lc 5,13), ma sulla croce si fa lui stesso impuro (cf. Is 53,8; 1Pt 3,18). Nel suo amore eccessivo, Dio non esiterà a entrare proprio lì, in ciò che gli è più contrario, nella morte, nel disfacimento, per incontrare questo lebbroso che è il primo Adamo e, nella comunione vitale con il secondo Adamo, uomo nuovo e primogenito della nuova creazione, ricondurlo a sè in una pienezza di vita destinata a manifestarsi anche nel suo corpo fisico (è la grande catechesi paolina di 1Cor 15). Le giare oramai non contengono più l'acqua della "purificazione dei Giudei" (Gv 2,6), ma il vino nuovo della festa nuziale dell'Agnello (cf. Ap 19,).

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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