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TESTO Va bene così

Marco Pedron  

III Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (25/01/2009)

Vangelo: Mc 1,14-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,14-20

14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

16Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». 18E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 19Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Anche questa domenica c’è un vangelo simile a quello di domenica scorsa: la chiamata. La prima azione pubblica che Gesù fece, fu quella di chiamare alcune persone a vivere con lui. Tutti i vangeli hanno quest’ordine: Gesù visse trent’anni anni, fu battezzato, quindi tentato, e solo dopo iniziò la sua vita pubblica. Sono le tre esperienze necessarie per diventare uomini (e donne) adulte.

1. Formarsi, crescere, imparare, assimilare, mettere dentro, costruirsi: e ci vuole tempo! La gente vorrebbe sapere in un attimo; vorrebbe avere la soluzione pronta subito; vorrebbe “tutto e subito”. Anche Gesù ha passato trent’anni di silenzio, dove ha imparato, dove si è capito, dove è entrato dentro alle cose della vita. Non bisogna aver fretta, bisogna raccogliere e a suo tempo qualcosa maturerà.

2. Essere amati, cioè percepire il proprio valore. Abbiamo bisogno di sentire che siamo importanti per qualcuno, che qualcuno si fida di noi, crede in noi, ci ama per quello che siamo; che i suoi occhi brillano quando ci vede e che la sua anima si alimenta della nostra presenza. Allora noi percepiamo il nostro valore e ci iniziamo a credere anche noi.

3. Entrare nella sofferenza: è l’esperienza della frustrazione. Se non si esce dal deserto della sofferenza non si può vivere, non si può essere uomini e donne vere. Frustrazione è lottare perché non ci si accontenta di quello che si è, perché non può bastare un piatto di lenticchie quando possiamo essere dei profeti o delle anime grandi.

Resistere nell’accettare la delusione delle persone che non ci amano, che ci rifiutano, che non ci riconoscono più quando facciamo scelte diverse dalle loro.

Non sottrarsi al male, alle per-versioni, alle guerre e alle oscurità che si hanno dentro, raccontandosi “che non si è poi così tanto male!”. E quanto “fa male” vedere la “bestia” che si nasconde dentro di noi.

Tenere e non arrendersi quando si soffre, quando ci verrebbe da gettare la spugna dicendoci “che è troppo difficile”, che “non ce la facciamo”, che “non è per noi”.

Non scappare quando i mostri si avvicinano (problemi, paure, conflitti) ma avere il coraggio di affrontarli.

Chi non fugge di fronte al dolore diventa forte come la roccia e potente come l’acciaio. Un uomo così, poi, può andare nel mondo: niente lo fermerà.

Il vangelo dice che Gesù “vide Pietro e Andrea mentre gettavano le reti” (1,16). Cosa avrà visto Gesù da poter dire: “Questi possono essere miei discepoli?”. In fondo stavano facendo una cosa semplice, ordinaria, che nulla aveva a che vedere con ciò che poi faranno. Da come preparavano, riassettavano le reti e da come pescavano Gesù ha colto chi erano.

Da come tu vivi l’ordinarietà si coglie chi sei tu. Da come parli a tuo figlio si coglie se tu sei uno arrabbiato con la vita o uno dentro la vita.

C’è una madre che riprende sempre sua figlia. Non le va mai bene niente, nessuna cosa che faccia. Se la fa male è un disastro; se la fa bene, non la fa come lei; se la fa molto bene la potrebbe fare meglio. Un padre lascia parlare suo figlio ma poi si fa sempre come dice lui, come a dire: “Parla pure che io ti ascolto (e lui davvero crede di ascoltarlo!) ma tanto ho ragione sempre io (il che vuol dire che tu non capisci niente)”. C’è un uomo che non sa che gettar fango su tutto: i politici sono tutti corrotti; i preti lo fanno solo per soldi; se dai soldi alle agenzie di volontariato non si sa mai dove vanno a finire; se parli di una persona c’è sempre un pettegolezzo che qualcuno gli ha riportato, ecc. Uomini così non potranno che vivere sempre in guerra con tutti e con tutto. Non è in realtà il mondo che sia in guerra con loro, ma sono loro che sono in guerra con il mondo.

Dall’ordinarietà del tuo vivere si capisce se puoi seguire il Signore.

C’è una donna che quando si parla di altre donne allora lei si sente fisicamente una “spazzatura”; se qualcuno ha fatto qualcosa: “beato lui, come mi piacerebbe”; se lei inizia qualcosa: “tanto non ce la farò!”; se le succede qualche imprevisto: “Lo sapevo!”. Una persona così come farà a realizzare o a costruire qualcosa di grande o di significativo nella sua vita? Non potrà che fallire sempre. Ma non è la vita che ce l’ha con lei, è lei che si punisce sempre.

Dalla passione che tu ci metti nel fare le cose della tua vita io capisco se tu sarai felice o no. C’è una donna che quando fa catechismo è appassionata, le si accendono gli occhi, le si illumina il viso ed è raggiante. Da lei esce un’energia potente e ammaliante. I suoi ragazzi ne sono innamorati.

Una donna così sarà di certo felice. Perché solo chi è felice nel poco potrà esserlo nel molto. E chi non è felice nel poco certamente non lo sarà nel molto. Non è tanto quanto hai che ti fa felice (noi occidentali dovremmo essere felicissimi, e invece!) ma se sai gustare, assaporare, se sai permetterti di esserlo.

Perché come uno è nel poco così lo sarà anche nel molto. Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto. L’uomo che affronta le piccole cose di ogni giorno è lo stesso che affronta le grandi cose. La stessa forza, passione, lotta, energia, desiderio, amore, che usa nelle cose piccole, lo userà anche nelle grandi.

Gesù ha osservato questi uomini nelle cose di tutti i giorni e ha visto la loro grandezza. Perché non è mai ciò che fai che ti rende grande ma è la tua grandezza a rendere importante ciò che fai. Gesù non aveva bisogno di chiedere attestati di frequenza alle scuole rabbiniche del tempo o altro. A Gesù bastava vedere le persone nella vita di tutti i giorni e capiva benissimo chi erano nell’anima. “Voi – diceva Gesù – pescate con passione, con amore i pesci. Se lo fate con loro, lo farete anche con gli uomini”.

Per vedere chi è un uomo basta vederlo nell’ordinarietà: come parla, come si rapporta con le persone, con la moglie, i figli, gli amici, con che tono di voce parla, com’è nelle sue relazioni, come considera sé e gli altri, ecc.

Gesù a questi uomini fa una proposta: da pescatori di pesci a pescatori di uomini. Se noi guardiamo il vangelo, in realtà, troveremo ancora e più volte i discepoli a pescare (Lc 5,1-11; Gv 21,1-8). Come pure troveremo ancora i discepoli ad avere rapporti con i loro familiari (Mc 1,29-31, ecc). Dov’è allora il cambiamento che si è verificato? Cos’è che hanno lasciato?

Se prima barca (lavoro) e padre (famiglia) erano l’assoluto, adesso non lo sono più. E’ la mentalità che è cambiata: è cambiato il rapporto di questi uomini (non che non ne abbiano più avuti!) con il lavoro e con la famiglia.

L’amore lo puoi ricevere solo dalle persone: dal lavoro no!

Una barca non ti può amare e questa è stato il grande cambiamento dei discepoli. I discepoli si sono resi conto che la pesca di pesci (lavoro) non poteva dargli la cosa che più cercavano: amore. Una casa non ti può amare: può essere grande o piccola, in ordine o in disordine, in centro o in campagna, ma non ti può amare. Ti può ospitare, accogliere, ma non amare. E allora perché continuiamo a costruirci case, e continuiamo a pensare che se avremo quella casa allora sì che saremo felici? La casa non ti può amare e non c’è felicità senza amore! Il lavoro non ti può amare. Il lavoro ti fornisce dei mezzi per poter vivere, ti garantisce una stabilità e un prestigio sociale. Ma non ti può amare. E perché allora continuiamo a lavorare come dissennati? Alcune persone vivono per lavorare e veramente credono che tutta la loro vita debba girare attorno al lavoro. Poi si lamentano perché sono tristi, ansiose, arrabbiate e non hanno mai tempo per sé: per forza!

Questa è al grande conversione della vita. Se tu credi che tutto quello che fai o che l’avere delle cose ti faccia felice tu stai costruendo la tua vita sopra una bolla di sapone. Accarezzati con i soldi: ti danno amore? La nostra società è destinata a diventare sempre più angosciata, disagiata e triste perché, per lei “il lavoro è tutto”. Questo è il messaggio che da tutte le parti viene passato: lavoro, produrre, orari senza fine tutti i giorni della settimana, tempi ristretti, carriera, soldi, concorrenza, libero mercato, globalizzazione.

Leggete il vangelo e guardate quante volte Gesù lavorava (è una provocazione la mia ma c’è un fondo di verità!): c’è mai scritto che Gesù lavorasse? Che fosse ansioso o angosciato da questa cosa? E, invece, lo troviamo spesso a feste, a mangiare, a dare e ricevere tenerezza e contatto con uomini e donne; a stare con i suoi amici (Marta, Maria, Lazzaro), a festeggiare le conquiste e i passi delle persone (Zaccheo). Forse non era ricco ma di certo era tanto felice e amato.

E poi la famiglia. Lasciare la famiglia ci dona la libertà. Io provengo da una famiglia e da un ambiente culturale. I miei genitori (consciamente o no) mi hanno insegnato cosa è importante nella vita; cosa è bene, cosa è male; mi hanno insegnato un modello di cosa un uomo deve fare e di cosa non deve fare. Se lo rispettiamo, se facciamo come ci hanno insegnato, loro ovviamente, sono felici perché è lo stesso loro. Sono orgogliosi di noi perché facciamo come loro ci hanno insegnato e come loro fanno. Ma la vita mi chiama per nome: io non sono “il figlio di...”, io non sono chiamato a copiare qualcuno. Io sono chiamato dalla vita a seguire la mia strada e a trovare io le ragioni della mia vita. Quindi devo abbandonare ciò che i miei genitori o il mio paese mi hanno insegnato per trovare ciò che voglio io. Quello che loro hanno vissuto andava bene per loro ma io ho un altro nome.

Quando seguo la mia strada è chiaro che li deludo, ed è ovvio che loro ci stanno male e che li faccio soffrire. E che si fa? La scelta è terribile. O si rinuncia alla propria vita e alla propria libertà per non farli star male, per non deluderli, per non essere rifiutati (“noi non ti abbiamo insegnato così!; non ti riconosciamo più!); o si rinuncia alla propria vita per far piacere alla mamma oppure si va per la propria strada accettando il dolore della loro delusione e rinunciando all’approvazione.

Non si può essere uomini veri, discepoli di Cristo, se non si è liberi. Quante persone hanno così tanto bisogno dell’approvazione della mamma o del papà che deformano la loro vita.

Una donna, al lavoro, ha subito tutte le angherie possibili (mobbing, abuso): ma accettava tutto per non deludere i suoi capi (la mamma). Un uomo non riesce a dire sua madre, che è invadente e dilagante: “Smettila, statene a casa tua e non ti impicciare nei nostri affari” perché ha paura di farle del male. Un prete non riesce a dire il suo superiore quello che pensa perché ha bisogno di essere sempre ben accetto ai suoi occhi. Un uomo lavora fino alle dieci di sera tutti i giorni per tirare avanti la ditta del padre così il padre è orgoglioso di lui. Crede che quello sia il suo dovere e non s’accorge di vivere una vita non sua.

Ecclesia vuol dire letteralmente “i convocati fuori”. La chiesa dovrebbe essere quel gruppo di persone che agiscono non per piacere agli altri, non deludendoli e cercando l’approvazione, ma quel gruppo di persone libere da pressioni interne per cui possono agire spinte dallo Spirito.

Gesù predicava e diceva: “Il tempo è compiuto. Il regno è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (1,15). I primi discepoli hanno accolto il suo messaggio. Il tempo di scegliere, di lasciare le barche, di lasciare il padre, di convertirsi, cioè di cambiare vita, modo di vedere era adesso. Loro lo hanno fatto e hanno seguito Gesù.

Quando si parla del regno di Dio le persone sono disorientate: “Ma cos’è sta roba?”. C’è chi pensa al paradiso, all’altra vita, chi pensa a chissà cosa. Il regno di Dio è la Vita Vera, Reale. Ogni volta che tu scegli per la vita vera il regno di Dio si realizza in te. Ed è importante scegliere adesso, ora. La scelta cambia il fato in destino. La scelta realizza, concretizza, rende reale ciò che è solo potenziale.

Un ragazzo dopo una storia con una ragazza dove è stato lasciato e ha sofferto “come un cane” ha detto: “Mai più!”. Così è diventato impenetrabile, freddo, duro. Respinge ogni donna e ogni affetto. Regno di Dio è agire adesso: tornare a credere nell’amore, tornare ad aprirsi, tornare a fidarsi e lasciare spazio a qualcuno nel suo cuore, anche se ha tanta paura. Una donna è in confusione totale e sa che non ne uscirà da sola. Regno di Dio è agire adesso: mi faccio aiutare da un esperto per mettere ordine al mio disordine interno. Un ragazzo deve parlare a suo padre che ha un’impresa edile: lui non vuole fare il suo stesso lavoro. Si sente imprigionato in qualcosa che non è suo. Regno di Dio è agire adesso: anche se temo di deluderlo, anche se temo il suo giudizio o di non essere riconosciuto come il bravo bambino, lo faccio adesso.

Questi discepoli hanno ricevuto una proposta: era un po’ ardita, un po’ rischiosa, un po’ provocante e fuori dagli schemi comuni, alternativa, controcorrente. Ma quelle parole riempivano la loro anima. Che si fa? Regno di Dio, per loro, è stato agire adesso: si sono fidati e hanno scelto le ragioni del loro cuore. Le nostre scelte, il nostro agire ora, trasforma il regno di Dio in realtà, in vita. Ed è importante agire adesso. Altrimenti il regno di Dio rimane nei libri e le persone bellissime che siamo e che Dio ha creato rimangono una realtà solo possibile, solo nella mente, solo ipotetica.

Questi uomini potevano chiedersi: “Ma perché proprio noi?”; “Ma cos’abbiamo di speciale?”. “Niente!”. Dio non scelse uomini con doti particolari, speciali, super-intelligenti o super-dotati. Scelse persone disponibili, persone che si lasciavano coinvolgere e mettere in gioco. Gesù non chiese mai ai suoi discepoli di essere perfetti ma disponibili. Pietro dubitò e lo rinnegò più volte. Era chiamato “roccia” anche per via della sua durezza di testa. Oggi diremmo: “Uno de coccio!”. Giacomo e Giovanni erano presuntuosi, ed erano chiamati “figli del tuono” (Boanerghes): erano certamente “peperini” e carrieristi tanto che una volta gli chiesero cariche di potere. Tommaso era sospettoso, dubbioso e diffidente, che se non toccava, che se non c’era, lui non ci credeva. Giuda era attaccato ai soldi e, addirittura, lo tradì. Dio lavora con quello che ha e non con quello che vorrebbe. Uomini comuni, come tutti noi, pieni di difetti, limiti e a volte immaturi; uomini, però, che si misero in gioco.

Il vangelo dice che “lasciarono”: lasciarono le loro idee, i loro pregiudizi, le loro fissità e lo seguirono. Se tu non sei in grado di lasciare ciò già sai, ciò che già ti hanno insegnato, ciò che è già una tua sicurezza, per incamminarti verso qualcosa di nuovo allora tu non puoi seguire Gesù. Lasciare le idee mentali, per alcune persone è davvero terribile. Una storia racconta di un uomo che si smarrì nel deserto. Più tardi, nel descrivere la sua terribile avventura agli amici, spiegò come, per la disperazione, si fosse inginocchiato e avesse invocato l’aiuto di Dio. E Dio ha esaudito la tua preghiera?”, gli chiesero gli amici. “Oh no, prima che lo facesse è arrivato un esploratore che mi ha indicato il cammino”. L’unica cosa che Dio chiede è il lasciarsi coinvolgere, la disponibilità a mettersi in gioco e a fidarsi e andare.

Gesù passa e chiama tutti noi. A tutti noi è chiesta sempre e solo una cosa: lasciare le nostre barche, la nostra sponda, il nostro padre, e fidarci e seguirlo. Ci viene chiesto un’unica cosa: abbandonarci a Lui.

La mia vita, invece, come quella di Andrea o Pietro prima di seguirlo, era un aggrapparsi a tutto. Mi aggrappo a mia moglie, e credo che non posso vivere senza di lei. Mi aggrappo ai miei figli e se non ci sono in casa sento un buco dentro. Mi aggrappo ai soldi perché altrimenti ho paura di morire, di non farcela. Mi aggrappo alle mie idee perché altrimenti non so più chi sono. Ma aggrapparsi produce solo ansia. Mi aggrappo perché ho solo tanta paura; e chi si aggrappa rimanere fermo, immobile, non si muove più.

Mi aggrappo e cerco di tenere tutto sotto controllo: tutto diventa un pericolo. Il figlio che cresce diventa la paura di perderlo; un viaggio in auto diventa la paura di un incidente; il capo che cambia diventa la paura di un cambiamento nel mio lavoro; un nuovo acciacco diventa la paura di un brutto male; una nuova situazione la paura di non farcela.

Allora si controlla tutto (si tenta!). Allora la vita diventa un inferno.

Cerco dappertutto garanzie, certezze, rassicurazioni (“Stai attento a fare quello...; quello no perché è pericoloso; e se dopo succede che...; quando arrivi telefonami subito”) e si cerca di tenere tutto sotto controllo sforzandosi di far sì che il mondo segua i nostri piani: che assurdità, e soprattutto che fatica!

C’è una donna che chiama la figlia (30 anni) anche se ritarda di un minuto. Lei dice: “Lo faccio perché la amo”. “No, lo fai perché non riesci a non controllare e tutto dev’essere nelle tue mani”.

Ma la grande verità della vita è che nulla è nelle nostre mani per cui la cosa più stupida che possiamo fare è quella di aggrapparci. Sarebbe come aggrapparsi ad una nuvola: non tiene, non può tenere, non terrà.

Questi uomini, invece, si sono abbandonati: si sono fidati e lo hanno seguito. Non sapevano cosa sarebbe successo: si sono lasciati andare. Hanno sentito che Gesù era uno di cui fidarsi e si sono fidati: lo hanno seguito senza porre tante domande, richieste; senza bisogno di controllare.

Se stai qui a pensare a tutto quello che potrebbe succederti è la fine perché potrebbe succederti di tutto. Se cerchi di controllare ogni minimo sintomo di malattia perché potrebbe essere un tumore (a parte che è probabile che ti venga visto che la paura li genera) è la fine perché sempre avrai qualche piccolo acciacco. Se inizi a pensare al domani, al futuro, a cosa accadrà, se avrai la forza di affrontare quella cosa nel caso dovesse succedere, allora è davvero la fine; allora come si dice “meglio tagliarsi le vene per dritto!”. Se inizi a pensare al fatto che potresti perdere il lavoro, che potrebbe succederti un incidente e rimanere invalido, che tuo figlio potrebbe avere questa o quella cosa, diventi ansioso e angosciato: è la fine perché per quanto tu prevedi, ti organizzi, ti immunizzi, cerchi di controllare tutto, in realtà, tutto questo potrebbe accadere e tutto ciò che fai non ti toglie questa possibilità.

Il segreto della vita è abbandonarsi, fidarsi, smettere di pianificare tutto e di voler prevedere ciò che sarà. Se sarà difficile con-fido che avrò la forza di affrontarlo. Ma non voglio rovinarmi l’oggi con una possibilità del domani che potrebbe mai accadere.

Questi uomini si sono fidati e hanno detto: “Quello che accadrà andrà bene. Smettiamola di preoccuparci”. Si sono donati alla Vita (l’hanno seguita) e la Vita li ha portati dove mai da soli essi sarebbero andati. La Vita ha compiuto con loro un’opera meravigliosa perché non hanno voluto decidere loro.

Hanno donato la loro vita alla Vita (Dio; seguire Gesù): hanno cioè smesso di decidere loro ma hanno lasciato che la Vita li portasse. In questo senso la loro vita non apparteneva più a loro ma a Qualcun altro. Non si appartenevano più: nulla era cambiato ma tutto era cambiato. Questo è donarsi a Dio: abbandonarsi e lasciare che Lui ci porti là dove ci deve portare. Donarsi a Dio non è realizzare qualcosa o diventare qualcosa ma lasciarsi portare, plasmare da Lui.

I mistici di tutti i tempi hanno usato infinite immagine per dire questa cosa.

Rumi, mistico indiano, parla di un flauto o di un’arpa nella mani del musicista: è Lui che suona. Jeanne de Chantal di un recipiente vuoto pronto a lasciarsi riempire: quello che la Vita darà, lo accoglierò. S. Veronica Giuliani si sente un’onda nell’oceano (dovunque sono portato va bene) e Teresa si Lisieux di un bambino che dorme nelle braccia della madre: che c’è d’aver paura! Ramakrishna, mistico induista, parla di una foglia al vento: va’ dove il vento la porta.

S. Giovanni della Croce parla “della nudità della memoria”: bisogna spogliarsi di tutte le nostre idee mentali, religiose, di tutti i nostri pregiudizi e le nostre certezze per metterci spogli, nudi davanti a Lui.

Da questi momento in poi questi discepoli hanno iniziato a dire di fronte ad ogni cosa che capitava loro: “Va bene così!”. Cioè: mi fido di Te e la accetto (non nel senso di subire ma di accogliere). Quando tu ti abbandoni alla Vita a tutto dici: “Va bene così!”. Nulla allora ti è più estraneo; nulla allora più è da evitare; nulla è allora più da escludere e nulla allora è senza senso. Va bene così!

L’abbandono alla Vita all’inizio fa paura ma è la strada della felicità perché diventa una voce di libertà nell’anima. Chi vive con questo abbandono sente forti e chiare le voci della fiducia:

1. Va bene così. “Accetta le cose come sono”, così risparmierai sforzi e fatiche, e smetterai di lottare per niente.

2. Vivi adesso. “La felicità è nel presente”: il passato è passato e il futuro non c’è ancora, la vita, la realtà, esiste solo nell’adesso, nel qui.

3. Non attaccarti a nulla. “Se non ti affezioni alle cose, alle idee e alle persone, sarai più flessibile, meno rigido e potrai amare ed essere amato di più. Se ti attacchi sei un parassita, ricordatelo”.

4. Non controllare. “Non pretendere che il mondo vada sempre come vuoi tu” e sarai alleggerito da tante ansie.

5. Lasciati andare. “Se vieni e mi segui scoprirai quanto ricco sia tu e la tua vita”. Perché ti fidi di più di te che di Me che ti ho creato e che ho creato ogni cosa?

6. Sei nella mani di Dio. “Non aver paura, qualunque cosa succeda. Stai tranquillo!”.

Capisco che quel “vieni e seguimi” è una proposta di felicità, di vita piena, vera, enorme: prego con tutte le mie forze per avere il coraggio di andare, di non rinunciare a ciò che posso vivere ed essere, di non resistere; prego con tutto me stesso, come quei discepoli, di avere il coraggio di lasciare (barche, padre) per essere (pescatore di uomini). Sento l’attrazione e la paura; la bellezza e la responsabilità di una scelta che è solo nelle mie mani.

Pensiero della settimana

Finché io vivo Lui passa, mi guarda e mi dice: “Vieni e seguimi”.

 

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