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TESTO Le ragioni dell'amore

mons. Antonio Riboldi

II Domenica di Quaresima (Anno A) (24/02/2002)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Se...se l'uomo non avesse commesso il tragico errore di rifiutare l'amore e la paternità del Padre, nel momento della prova nell'Eden, non avremmo incontrato le durissime prove della vita, che molte volte sembra davvero una corona di spine sulla testa: una corona che non ti dà tregua nel dolore. E sembra una contraddizione la nostra stessa origine; quella di figli impastati dalle mani del nostro Creatore in cui effuse il Suo alito di vita e quindi la felicità, che è la stessa sua natura, con la durezza della prova, cui siamo sottoposti ogni giorno. Nessuno potrà mai cancellare la sofferenza dalla propria esistenza: sofferenze di ogni genere, da quelle dell'anima a quelle del corpo, fino alla nostra morte, il più doloroso schiaffo a uomini creati per la vita e una vita senza fine.

Ne fa l'uomo di fatica per cancellare, se fosse possibile, il dolore dalla terra. In qualche modo, per qualche istante, riesce a soffocare il pianto con la smorfia del piacere.

E davanti al dolore che a volte ti fa cadere a terra, come successe a Gesù, Figlio di Dio, sulla via del Calvario, confondendo lacrime, sangue, polvere, incomprensione e derisione dei crocifissori senza alcuna pietà (una pietà che si era sacrificata ad una condanna che era somma ingiustizia) viene spontaneo alzare gli occhi a Dio, forse non per chiedere le ragioni della sofferenza, ma almeno il senso e la forza per sostenerla.

Fa impressione come Dio, apparendo ad Abramo, il primo uomo, dopo il peccato di Adamo, con cui riprende il dialogo, chieda subito un sacrificio dandone le ragioni. Ed è subito da sottolineare come Dio, che non si era rassegnato al rifiuto di Adamo ed Eva, abbia voglia di riprendere immediatamente la sua relazione di Padre con l'uomo: Abramo. Ma perché questo dialogo potesse avere un seguito o realizzare un progetto, occorreva che Abramo tagliasse i ponti con questa nostra terra, questo nostro modo di vivere e pensare. Come per farlo entrare nel Suo mondo Dio gli dice: "Abramo, vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò: renderò grande il tuo nome, diventerai una benedizione" (Gen.12,1-4).

Abramo, nel silenzio di una accettazione, in cui la fiducia prevaleva sulla sofferenza di tale distacco, come un vero abbandono nelle mani di Dio, obbedisce. Obbedisce anche quando Dio vuole provare fino a che punto lui è disposto a credere nel suo amore, a farsi condurre per mano da quell'amore, che si manifestava per fede. Quando Dio gli chiede il sacrificio dell'unico figlio Isacco, Abramo obbedisce subito. Non si interroga nemmeno sulla apparente contraddizione di Dio, che gli aveva promesso una generazione numerosa, come la sabbia del mare. E' disposto a offrirgli il figlio e lo fa seriamente, fino a che Dio trattiene la sua mano, soddisfatto della sua fedeltà.

Dio fa lo stesso con Suo Figlio. Era grande il rischio che i discepoli avrebbero corso nel momento in cui anche il Figlio del Padre, l'Unico, Coeterno con Lui, nel momento non di un apparente, ma di un reale sacrificio sulla croce. Mentre ad Abramo Dio fermò il braccio, non fece lo stesso con il Figlio: lo lasciò morire della morte più ignominiosa. Se in Abramo vi era come l'inizio di un dialogo di Dio con il suo popolo, sulla croce invece vi era il riscatto totale degli uomini dal loro peccato. Era grande la ragione del Cuore del Padre, se aveva voluto il sacrificio del Figlio. Ed è ben piccola cosa il nostro dolore davanti ad una sofferenza nostra o dei nostri cari, davanti al mistero della morte, in confronto a quello del Padre. Se Dio avesse obbedito al suo amore infinito, non avrebbe mai permesso che il Figlio prediletto, non solo morisse in croce, ma venisse qui sulla terra. E davanti a quel sacrificio davanti a cui la nostra ragione si perde, credo umanamente che se Dio avesse avuto due occhi, avrebbe riempito la terra di lacrime. Ma lacrime necessarie per lavare tutti i nostri peccati. C'è sempre una ragione del Cuore di Dio nelle nostre sofferenze. Una ragione che, forse, non riusciamo a capire, ma è certo che la sola ragione sta nell'amore e nel disegno di amore che Lui ha per noi, sempre. E credo che anche Lui, come davanti al Figlio, se avesse occhi, piangerebbe con noi. Soffre con noi, incapaci di capire ragioni, che vedremo quando contempleremo il Suo Volto. Difficile a volte dire come Gesù: "Padre se è possibile, allontana da me questo calice; però sia fatta la tua volontà". Ma in fondo a quel calice ci sono le ragioni del cuore di Dio.

Il Padre, conoscendo la debolezza degli apostoli che fra poco si troveranno di fronte al mistero della Passione e Morte del Maestro, ben lontani dal capirne le ragioni, che sono quelle dell'amore che genera l'incredibile Resurrezione Sua e nostra, vera ragione della nostra speranza, sul Tabor si manifesta nella nube: "Gesù condusse con sé sul monte Pietro, Giacomo e Giovanni, in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la neve...Stava ancora parlando con Mosè ed Elia, quando una nube luminosa li avvolse con la sua ombra: ed ecco una voce: "Questo è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo". Mentre discendevano dal monte Gesù ordinò loro: "Non parlate con nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti" (Mt.17,1-9).

Ora i discepoli sapevano chi era veramente Gesù... ma davanti al crocifisso mostreranno la loro debolezza, la nostra debolezza: quella che ci assale di fronte alla sofferenza, quando ci chiediamo "perché?" Dovremmo allora avere la fede di Abramo: quella che ci dice che tutto ha una grande ragione, l'amore del Padre che sa e non fa nulla senza la grande ragione del cuore che mira al nostro bene: un bene che non si misura con le nostre ambizioni fallite, o le nostre speranze, che, se piene di fede inevitabilmente, anche se dolorosamente conducono alle ragioni del Cuore di Dio.

I Santi, e se vogliamo la gente di fede, che misura la vita con il metro della eternità, in Dio e nel suo Regno, questo lo sa e trova la Sua serenità, anche se gli occhi si riempiono di lacrime ed il cuore pare si faccia di ghiaccio come quello di Gesù nel Getsemani.

 

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