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TESTO Venite e vedrete

Marco Pedron  

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (18/01/2009)

Vangelo: Gv 1,35-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,35-42

35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Sia nel vangelo che nella prima lettura emerge il tema di oggi: la chiamata. La chiamata è l’irruzione di Dio nella storia di una persona. Avviene per ogni uomo ma accade solo quando una persona è disponibile, aperta, pronta ad accoglierla e soprattutto quando si lascia coinvolgere.

Per noi la chiamata riguarda i preti, i frati, le suore. E, invece, tutti siamo chiamati. Essere preti, frati, sposati, padri o madri è solo il mezzo, l’auto, il veicolo, la strada. Ma la chiamata è la meta, cosa cioè siamo destinati a compiere, a diventare, a raggiungere, a testimoniare e a vivere in questa esistenza. Ed è importante non confondere il viaggio con il veicolo, non chiamare musica lo strumento.

All’inizio del vangelo Giovanni Battista indica Gesù e dice: “Ecco l’agnello di Dio”.

Il Battista è una mediazione per Andrea. Andrea è una mediazione per Simon Pietro. Nei versetti successivi (1,43-51) Filippo, che aveva incontrato Gesù, diventerà mediazione per Natanaele. Simon Pietro sarà una mediazione per tanti uomini che diverranno cristiani e i cristiani per altri uomini fino ad oggi.

La fede è una mediazione, cioè un virus, un passaggio, una trasmissione, un contagio. Vivo una cosa che mi inebria, che mi coinvolge, che mi attira ed, è ovvio, te la comunico. Come faccio a tenermela per me? Come faccio a non dirtela se mi appassiona? E non ti do una informazione ma ti comunico qualcosa che per me è vitale, che a me ha cambiato la vita. Questa è la testimonianza, questa è la missione. La fede non la si comunica per indottrinamento, per imposizione, inculcando e pressando dentro la testa delle persone dei concetti e delle verità, ma per contagio. “A me ha cambiato la vita. Vuoi provarci anche tu?”. “Io non sono più lo stesso, io sono un altro, io sono cambiato, io sono felice. Questo mi è successo da quando l’ho incontrato. Vuoi provare?”.

In quante esperienze si comincia, come nel vangelo, per curiosità. C’è uno che ti dice: “Oh, sai che bello quell’incontro? Sai che bella quell’esperienza? Sai che bella quella persona?”. E uno, un po’ per amicizia, un po’ per curiosità, si fida e va. E poi non smette più di andarci.

Ma bisogna almeno essere curiosi. Bisogna almeno fidarsi. Bisogna almeno provarci. Bisogna almeno lasciarsi contagiare. Bisogna, cioè, lasciarsi coinvolgere.

Quante persone vanno ad un incontro (o fanno un’esperienza) ne rimangono entusiasti, ne sentono la portata, la validità, la forza, la ricchezza, la presenza di Dio ma poi dicono: “Sì bello, ma non ho tempo; quando avrò tempo”. Accampano mille scuse. Dio passa adesso e tu gli dici: “No”. Tutto qui; l’importante è non raccontarsela. Dio ti chiama adesso qui, ma tu non rispondi.

Quante persone capiscono che continuare vorrebbe dire lasciarsi coinvolgere e hanno paura, resistono. Dio passa adesso e tu gli dici “No”. Tutto qui; l’importante è non raccontarsela. Dio ti chiama adesso qui ma tu non rispondi.

E’ chiaro che hanno avuto paura: ma la fede, come la vita, come l’amore, come tutto ciò che è intenso, è coinvolgente. Se hai paura di cambiare, di metterti in gioco, di soffrire, di star male, di sentire le emozioni (a parte che sei un uomo già morto dentro!) non puoi seguire il Signore.

Dio è coinvolgimento, per questo è difficile seguirlo! Dio è coinvolgimento per questo è affascinante, inebriante, vitale, seguirlo!

Le persone credono che la chiamata sia una telefonata speciale di Dio. Una mattina ti suona il telefona, rispondi: “Sono Dio; tu nella vita devi fare questa cosa...”. E così per tutta la vita aspettano chissà cosa o chissà chi e attendono chissà quale fatto straordinario. In realtà è solo un pretesto.

Dio passa e ti dice attraverso un amico, una persona, una casualità (casualità quando non la seguiamo; chiamata quando la seguiamo), un evento fortuito, una situazione: “Vai là; provaci; fallo!; segui l’intuizione”. Hai un’intuizione, un qualcosa dentro che ti attrae, che ti spinge; senti che devi fare questa cosa, che ci devi provare, che devi compiere questa scelta, e “vai”.

E dopo quella chiamata ne seguiranno altre e piano piano si delineerà qualcosa. Perché la fede è una chiamata che ti richiamerà molte e molte altre volte ancora. E ogni volta bisognerà dire: “Mah, non so il perché, ma sento che devo andare di qua; sento che mi chiama per questa strada”. E non si fanno storie: si va. Semplice no! Questa è la fede: fidarsi e andare (“Vieni e seguimi”).

Frere Roger di Taizé iniziò col nascondere alcuni fuggiaschi ebrei in casa sua. In quel momento Dio passava e gli diceva: “Qui; questo”. Lui si è lasciato coinvolgere. Mai avrebbe pensato quello che sarebbe successo poi.

Madre Teresa iniziò perché stanca dell’ipocrisia del suo convento e della sue scolarette: “Io non voglio vivere così. Non è per me. Non posso più stare qui”. E se ne andò. Ebbe un’intuizione (chiamata) e si lasciò coinvolgere (la seguì).

Una donna ha raccontato: “Una mia amica mi aveva parlato in maniera meravigliosa di quella serie di incontri. Io mi sentivo vuota e angosciata. Sentivo che ci dovevo andare anche se non sapevo il perché. Avevo paura ma una forza di attrazione mi richiamava lì. Andai e quello fu il giorno della mia rinascita”. Una cosa piccola, una piccola scelta, un piccolo sì, ha prodotto un cambiamento totale.

Pietro si fida di Andrea (e Natanaele di Filippo). Suo fratello Andrea è pieno di entusiasmo per quest’uomo e Pietro pensa: “Beh, perché non provarci? Perché non andare? Andiamo a vedere!”. Se non si fosse lasciato coinvolgere dall’entusiasmo di Andrea non sarebbe diventato il primo Papa.

Dio passava in quel momento e gli chiedeva di prendere l’attimo, l’occasione, di fidarsi di suo fratello e di lasciarsi coinvolgere. Non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo poi. Si è fidato.

La fede è la cosa più personale che ci sia: solo tu puoi cogliere l’occasione, la chiamata e dire di sì. E’ tutta nostra, quindi, e solo nostra la responsabilità della risposta.

La fede è la cosa più semplice che ci sia, basta dire: “Sì”. Dobbiamo, però, scegliere.

La fede è la cosa più difficile che ci sia perché dobbiamo fidarci.

La fede è la cosa più entusiasmante che ci sia, perché ti coinvolge: vuole te e non gli altri.

In questo brano del vangelo c’è un bellissimo gioco di sguardi.

Prima Giovanni Battista fissa lo sguardo su Gesù (1,36). Alla fine del brano è Gesù che fissa lo sguardo su Pietro (1,42). Poi c’è Gesù che si volta e vede che lo seguono (1,38) e dice: “Venite e vedrete” (1,39). E i due discepoli, come conseguenza, “andarono e videro” (1,39).

Gli occhi dicono di una persona molto di più che tutte le sue parole. Perché gli occhi sono lo specchio dell’anima, e non è solo un modo di dire. Gli occhi realmente proiettano un raggio che viene da dentro. Quello che sei, quello che hai dentro, quello che vive nella tua anima, gli occhi lo visualizzano. Se tu guardi negli occhi di una persona tu puoi vedere la sua anima. E’ per questo che quasi mai ci guardiamo negli occhi, perché è come dirci: “Io non guardo dentro di te, e tu non guardare dentro di me”.

Ci sono occhi ostili, che ci giudicano, che ci condannano, da cui siamo, come dire, presi, ingabbiati, posseduti: occhi mortiferi. Sono mortiferi, negativi perché la loro anima è così. E ci sono sguardi che salvano, che ti guariscono, che ti liberano, che ti fanno scoprire che sei amato e riconosciuto. Occhi che sono una rugiada per le tue paure e per la tua vergogna. Sono gli occhi dell’amore perché la loro anima è così.

L’uomo ha bisogno di essere riconosciuto. Noi abbiamo bisogno di essere visti. Quanta sofferenza quando non siamo riconosciuti, visti, guardati. Quando da bambini non venivano riconosciute le nostre doti e la nostra sensibilità: che sofferenza! Quando da bambini non erano visti i nostri sforzi, ma eravamo sempre derisi e ripresi; quando un marito non vede il bisogno di ascolto, di affetto, di coccole della moglie; quando una moglie non vede i tentativi del marito di aiutarla; quando nessuno ci vede, nessuno si accorge di noi o siamo invisibili tra gli amici, allora ci sentiamo uno schifo, un niente, insignificanti, sentiamo che è la stessa cosa che ci siamo o che non ci siamo. Quando un bambino non è visto, cioè non si riconosce negli occhi dei suoi genitori, è certo che, da grande, avrà problemi di identità. Io ho bisogno che qualcuno mi veda, che qualcuno riconosca la mia importanza, il semplice fatto che io vivo.

Un ragazzo è ritornato dopo un anno nel suo gruppo di crescita e ha detto: “Avevo paura che vi foste dimenticati di come mi chiamavo”. La paura di non essere visti, di essere dimenticati, di essere nessuno.

Guardate, cosa la gente non fa per essere vista e per essere riconosciuta. Cosa la gente non fa per finire in tv. E’ disposta a tutto, a svendere tutto, anche i propri sentimenti più personali e la propria vita. Perché? Perché ha bisogno di essere vista: “Se nessuno mi vede io non esisto”.

Nel vangelo si dice che Giovanni Battista “fissa lo sguardo” su Gesù (1,36) e che Gesù “fissa lo sguardo” su Pietro (1,42). Cioè: non è un vedere veloce, fugace, come quando guardi la televisione. E’ un guardare penetrante, di quelli che ti scavano dentro, di quelli che ti fanno rabbrividire ed emozionare perché non guardano la pelle del tuo viso o il colore dei tuoi occhi, ma la tua anima e il tuo cuore.

Spesso la gente sa già chi sei prima ancora di fissarti, di conoscerti, di vederti. Oppure gli basta la prima impressione e ha già capito chi sei. Così è facile: basta farsi un’idea, perché poi metterla in discussione?

E, invece, noi abbiamo bisogno di fissarci gli occhi, ma di non fissarci sulle nostre posizioni; di guardarci e soprattutto di guardarci dentro, di guardare le persone perché le persone sono molto più ricche di tutte le nostre idee e di tutte le teorie psicologiche.

E poi abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi dentro. Abbiamo bisogno che qualcuno ci fissi, come Gesù ha fatto con Pietro, che veda ciò che noi abbiamo dentro e che non prenda paura (almeno lui, visto che noi a volte ne abbiamo tanta) di quello che vede, che non si vergogni di me, ma che anzi sappia vedere il mio vero volto e la mia vera identità, coperti sotto tutti gli stracci e le maschere della vita. Uno che veda ciò che io non vedo; uno che mi possa dire: “Tu sei di più! Io lo vedo”.

Visto all’esterno Simon Pietro era un pescatore, uno fra i tanti, niente di speciale. Ma Gesù gli ha visto dentro. “Tu sei di più, Simon Pietro. Io credo in te. Io ho visto ciò che hai dentro. Io vedo la tua passione, il tuo fuoco, la tua sensibilità. Vedo anche la tua durezza, cocciutaggine, ma vedo tutta la ricchezza che hai. Tu puoi essere diverso. Tu puoi essere un altro. Tu non sei una pietra ma una roccia”.

L’amore è così: uno ti entra dentro e vede ciò che tu non vedi. Allora inizi a crederci anche tu e scopri che ha visto proprio bene!

Poi ci sono due domande: “Che cercate?” e “Dove abiti” (1,38) e una risposta: “Venite e vedrete” (1,39). Questo è il centro della nostra fede: Vuoi sapere chi sono: “Seguimi!”.

Gesù non ha mai dato consigli, non ha dato soluzioni, né pratiche; non ha dato comandi e non ha mai detto cosa fare o cosa non fare. Gesù ti propone una strada, un cammino, una via. Se lo vuoi, la percorri.

Gesù risponde: “Venite e vedrete”. Non fa una lezione di catechesi, un discorso. Dice solo: “Venite e vedrete”. Cioè: “Fate l’esperienza con me, venite a casa mia, ascoltate quello che dico, guardate quello che faccio”.

Gesù non ha mai costretto nessuno. Né dobbiamo farlo noi. Era un invito, una proposta. “Seguimi”, solo se lo vuoi, se ti va. E molti, infatti, non lo seguirono (ricordate il giovane ricco!). La fede vive della libertà, così come tutto ciò che è importante (l’amore, i rapporti tra le persone). La fede cristiana non è una teoria o una serie di pratiche ma è un’esperienza, un rapporto, una relazione, una comunione. E’ vita perché è l’esperienza, il rapporto con Qualcosa di Vivo.

Molte persone che si ritengono religiose, e ne sono fiere!, sono in realtà idolatri. Sono persone che non sanno provare la misericordia per le persone; sono incapaci di provare la gioia dell’amore gratuito; sono di ghiaccio e fredde di fronte a chi sbaglia: non c’è alcuna possibilità con loro. Non si sanno entusiasmare, non si sanno lasciar prendere da slanci di gioia, d’immenso e di vastità; non sanno commuoversi di fronte all’esistenza o di fronte ai passi delle persone; non sanno piangere quando il cuore è pieno di lacrime e di dolore; non c’è poesia, né canto, né lode, né contemplazione nella loro fede, ma solo tristezza, sentimenti tetri e pacati.

Anche loro credono di seguire Gesù di Nazareth ma in realtà stanno seguendo un idolo fatto su loro misura, su misura degli unici atteggiamenti che provano, che loro concedono a se stessi: la paura, la sfiducia e il rancore.

Il “vieni e seguimi” di Gesù è diverso. Gesù ha predicato là dove c’era la vita: dove c’erano il dolore, la malattia, lo sconcerto e l’abbandono. E’ andato là dove c’erano le catene e Lui le ha rotte portando liberazione. E’ andato là dove c’era il dolore e la sfiducia e ha portato una luce. E’ andato dove c’era la sordità e ha portato la musica del cuore e dell’anima. E’ andato là dove le persone non camminavano, schiacciate dalla vita, le ha risollevate e ha dato loro dignità. E’ andato dove nessuno voleva andare, perché per Lui non esistono posti tabù, o luoghi dove un raggio della sua luce non possa arrivare.

I suoi discepoli li portava in mezzo alla gente, in mezzo al dolore, in mezzo alla festa, in mezzo alla gente che si divertiva e che era viva dentro: insomma dovunque c’era la vita, quella vera che spera, si entusiasma, soffre e si lascia andare.

Gesù non lo trovate mai nei palazzi, nelle corti dei ricchi, nelle sinagoghe (non ci poteva neppure più entrare, dice il vangelo!), nei luoghi dove la vita è fissata, cristallizzata, pianificata, già stabilita. Lo trovate solo dove la vita scorre, fluisce, diviene. Perché è la vita che guarisce la vita.

Dio non si incontra solo in chiesa, ma nella vita. In chiesa lo incontri solo se la chiesa è vita e non formalità.

E quando veniva rifiutato, quando la gente non lo voleva a priori, quando le persone lo rifiutavano perché colme di pregiudizi, lui, semplicemente, sapete cosa faceva? Se ne andava da un’altra parte!

Da Mc 3,1-6, Gesù dopo essere stato rifiutato con ostinazione, non entrerà più nelle sinagoghe. “Se non mi volete, se siete ciechi, non posso farvi niente. E’ meglio che io vada altrove perché non ho tempo da perdere”.

E in Mc 6,4-6 il vangelo dice: ”Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. (E udite cosa si dice di Gesù) “e si meravigliava della loro incredulità”. E’ inutile parlare ad un sordo e ancora di più ad uno che non ci vuole sentire. Un proverbio orientale dice: “E’ inutile tentare di far cantare un maiale perché tu perdi tempo e lui si irrita”. “Se non ti vogliono non essere ostinato e non farne una questione personale: non ce l’hanno con te, ce l’hanno con Me”. Vai altrove, e vivi sereno!

Dio guariva le persone non tirandole fuori dalla vita, facendo, magari un miracoletto. Avete mai notato che Gesù guariva le persone mettendole a contatto con le loro malattie, gli faceva toccare le loro cecità, infermità, ciò che non volevano toccare. Questo perché è solo toccando le nostre malattie che potremo guarire.

Seguire Gesù vuol dire prendere, toccare, mangiare, far nostra, la nostra vita. Ogni volta che durante la messa noi diciamo “questo è il mio corpo” non intendiamo solo il corpo di Cristo ma anche la nostra vita: vorremmo davvero prendere sul serio la nostra vita e non scansarla.

E’ solo entrando nella vita, con tutte le sue variabili, le sue difficoltà, i suoi alti e i suoi bassi, le sue salite e discese, le sue ripartenze e i suoi fallimenti, le sue sfide e le sue conquiste che incontreremo il Dio di Gesù Cristo. E’ solo entrando nella nostra vita e prendendola sul serio come un dono ricevuto dalle mani di Dio, come avuta da Lui, senza esimerci, senza sottrarci, senza sfuggirla che lo incontreremo.

Dio non ci tira mai fuori dall’esistenza, ma, se qualcosa fa', ci immette ancor più dentro. Gesù ci chiama a seguirlo con la nostra vita, qualunque essa sia. Gesù ci chiama a diventare discepoli suoi con quello che siamo oggi. Non ci sono scuse, né giustificazioni, né scorciatoie. E’ il nostro compito e dobbiamo assumercelo: andare e seguirlo con quello che siamo oggi.

Dio non ha mai detto: mi troverai solo lì o mi troverai solo in quell’angolo del mondo. Ma ha sempre detto a tutti: mi troverete in qualunque luogo se mi avrete nel cuore. E non mi troverete da nessuna parte se non mi avrete nel vostro cuore.

Quando un uomo incontra Dio è sempre un “bel casino” all’inizio: perché Lui ti ributta dentro di te, ti mostra a te stesso e ti rivela. Ma Lui non è preoccupato di questo; Lui non cerca persone perfette o sante; non cerca persone già mature o costruite; non cerca persone con doti particolari, ma semplicemente persone disponibili, che abbiano il coraggio di fidarsi.

La vita non è una strada in discesa (e neanche il matrimonio!): come ci piacerebbe! La vita è contorta, strana, oscura, misteriosa; a volte è crudele e a volte è meravigliosa. A volte la capisci a volte no. Dio, quando ti chiama, non ti sottrae alle contraddizioni della vita, ai tuoi lati oscuri, alle zone di mistero, ai conflitti inevitabili o ai dubbi che ti tormentano. Dio ti butta dentro tutto ciò.

Dio è una realtà che ti coinvolge così tanto che veramente vivi con Lui. Ma se temi di vivere, di lasciarti andare, di provare l’infinita ricchezza della vita, allora si che non lo puoi seguire.

Dio ti fa vivere ad alta quota; Dio ti fa vivere ai duecento orari; Dio ti immerge dentro ad ogni cosa. Per questo Dio ti prende, ti appassiona, ti attira: è irresistibile. Quegli uomini, i primi apostoli, dopo aver colto la proposta non poterono più tirarsi indietro. Furono sedotti, conquistati. Dio fu letteralmente un colpo di fulmine, un’illuminazione, un innamoramento. E finché Dio non sarà per noi un colpo di fulmine, una passione che ci brucia e che ci arde dentro; finché non saremo rapiti dal suo messaggio e da come Lui ha vissuto; finché non desidereremo di lasciarci plasmare per essere anche noi così, non avremo conosciuto il Dio di Gesù Cristo.

C’è una storia che racconta così:

“Ero sordo come una campana

vedevo la gente che facevano ogni sorta di giravolte: la chiamavano danza
A me, che ero sordo, pareva tutto così stupido

Ma un giorno sentii la musica e capii: quant’era bella la danza”.

Pensiero della settimana

Il cardinale Martini, ex-vescovo di Milano, ha raccontato questa storia.

C’era un matrimonio. Gli sposi si erano accordati con il parroco di tenere un piccolo ricevimento nel cortile della parrocchia, fuori dalla chiesa. Ma si mise a piovere. I due sposi chiesero al parroco se era possibile festeggiare in chiesa.

Il parroco non voleva assolutamente, ma i due dissero: “Mangeremo un po’ di torta, canteremo una canzoncina, berremo un po’ di vino, e poi andremo a casa”. Il parroco, a malincuore cedette. Ma essendo gli invitati dei bravi italiani amanti della vita, bevvero un po’ di vino, cantarono una canzoncina, poi bevvero un altro po’ di vino, cantarono qualche altra canzone, e poi ancora vino e ancora canzoni, e così dopo mezz’ora in chiesa si stava festeggiando alla grande.
Tutti si divertivano da morire godendosi la festa.

Ma il parroco tesissimo passeggiava avanti e indietro nella sagrestia, turbato dal rumore che gli invitati stavano facendo.

Entrò il sacrestano e gli disse: “Signor parroco, vedo che è molto teso!”.

“Certo che sono teso! Senti che rumore stanno facendo proprio nella Casa del Signore! Per tutti i Santi!”. “Ma, padre non avevano posto dove andare!”. “Lo so bene, e dovevano proprio venire qui? Senti che baccano!”.

“Beh, in fondo, padre, non dobbiamo dimenticare che Gesù stesso a Cana ha partecipato ad un banchetto di nozze”.

E il parroco rispose: “So benissimo che Gesù Cristo ha partecipato ad un banchetto di nozze, non devi mica dirmelo tu! Ma lì non avevano mica il Santo Sacramento, il Santissimo nel tabernacolo!!!”.

Quando il Santo Sacramento diventa più importante di Gesù Cristo;

quando la regola diventa più importante dell’amore e delle persone,

quando la religione sta diventando più importante della vita,

allora “dio” diventa più importante della Realtà.

 

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