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TESTO Fra il "chiamare" di Dio e il "vedere" dell'uomo

padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (18/01/2009)

Vangelo: Gv 1,35-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

E’ interessante e significativo che Gianfranco Ravasi, nell’esporre i brani liturgici odierni in un suo commentario, si soffermi a scrivere in corsivo il verbo “chiamare” che si incontra spesso nella Prima Lettura (Samuele) e i verbi “vedere”, “volgere lo sguardo” ricorrenti invece nel Vangelo di Giovanni, a voler sottolineare il duplice aspetto dell’iniziativa divina e della corrispondenza umana.

Come ben ci illustra l’episodio di Samuele nel tempio del Sacerdote Eli, la chiamata infatti è sempre, innanzitutto un atto divino che ci permette di scoprire quanto sia irreale che gli eventi della vita di tutti i giorni sono dovuti al caso o alla fatalità: Dio chiama egli medesimo per primo in quanto ci permette di percepire la sua presenza come cosa certa e determinante, poiché si propone

comunicando innanzitutto se stesso come criterio e referente di vita, immediato riferimento del nostro presente. Dio chiama perché ci interpella con la stessa sua presenza invitandoci ad andare oltre le apparenze e a scorgere la Verità misteriosa ma indubbia che egli è. Certamente Dio non è l’idolo dell’uomo e neppure vuole essere per lui la panacea, l’atarassia o la fuga dal presente, ma vuole costituire per noi il filo conduttore del nostro vissuto ordinario invitandoci ad interpretare gli eventi secondo la sua volontà, anche dove questa ci colga sprovvisti e impreparati: cosicché, sia nel bene che nel male, sia nella buona che nella cattiva sorte, noi possiamo confidare in Dio, riconoscendo in lui il fondamento nonché il lite motiv di ogni nostra situazione, felice e avversa.

Vivere nell’ottica della volontà di Dio, domandarsi ogni giorno che cosa Lui vuole che noi facciamo anziché precluderci nei nostri esclusivi propositi molte volte fallaci non sminuisce affatto la libertà decisionale dell’uomo e neppure toglie spazio alle nostre aspirazioni; piuttosto, è motivo per qualificare al meglio ogni nostro progetto e ogni ambizione, affrontando con la debita serenità quanto la vita di tutti i giorni ci propone. Nell’ottica della volontà di Dio, le difficoltà continueranno ad accompagnarci e forse anche ad ossessionarci, ma saranno ben dominabili e avranno sempre conseguenze piacevoli e durature poiché li si affronterà con lo sprone della fiducia, della serenità, della speranza. E’ questa allora, prima di ogni alta cosa, la chiamata che ci viene riservata: quella della scoperta di Dio e della consapevolezza sentita e motivata della sua presenza forse non tattile e sensoriale ma certamente reale e fondante.

Occorre riflettere su quanto noi inconsapevolmente avvertiamo il bisogno di Dio poiché molte volte si vive la contraddizione flagrante e ridicola del rifiuto di ogni credo religioso in nome di un presunto materialismo razionalizzante che ha la pretesa di esaltare l’uomo con la corsa alle superstizioni, agli idoli e alle chimere dell’astrologia e della chiromanzia: da una parte si rifiuta Dio e il Trascendente, dall’altra si ricorre a vaticini ed oroscopi, sogni e altre superstizioni che non di rado ci precipitano nella disillusione vana e fittizia.

Anche nello stesso ambito religioso non è raro il caso di persone che rifiutano la Messa domenicale e l’osservanza dei comandamenti eppure ricorrono a benedizioni, sacramentali ed esorcismi nel vano tentativo di scongiurare presunti malefici confondendo così la religione con la superstizione. E nella maggior parte dei casi il ricorso alle Sette e ai movimenti religiosi alternativi che offrono sogni e sicumere fittizie si verifica nelle persone di elevato grado culturale.

Proprio questa contraddizione propria dell’uomo di ogni condizione e di ogni epoca dovrebbe farci comprendere quanto sia importante che noi ci affidiamo al vero Dio che non ci esime dalle lotte ma che ci aiuta a condurre ogni battaglia con costanza e perseveranza; e lo stesso Dio Signore della storia e della vita ci “chiama” alla conoscenza di sé. Di conseguenza dovremmo sempre impostare ogni progetto secondo le parole dell’apostolo Giacomo: “Dovreste invece dire: Se Dio vorrà, noi faremo questo e quello” interrogandoci su quale sia il progetto di Dio nei nostri riguardi, sia esso relativo ad ogni singola giornata, sia esso inerente vasti spazi di programmazione. Il vangelo di Giovanni sottende nel suo testo che la nostra corrispondenza all’amore divino risiede in un solo atteggiamento: vedere.

A differenza del guardare, il vedere ci invita ad uno sguardo attento e valutativo che ci consenta di vagliare di soppesare ogni cosa fuggendo illazioni, pregiudizi e passività acritica nella scelta di sottomissione e di obbedienza; e tale deve essere la scelta risolutiva di Cristo, che non ammette titubanza o ritrosia alcuna ma che si aspetta risposte razionali e ponderate e per ciò stesso decide e forti della nostra convinzione personale. Occorre insomma vedere, ossia convincerci e immedesimarci quando si abbia la certezza di essere stati chiamati, poiché il pressapochismo non deve essere di casa per chi sceglie il Signore e i suoi sentieri.

Sempre l’evangelista Giovanni definisce una dimensione di tempo ben precisa nella quale si svolge la risposta dei suoi interlocutori: “Erano le quattro del pomeriggio”; espressione con la quale tende certamente ad affermare che la scelta di Dio da parte nostra deve essere pronta, motivata e disinvolta e non senza il concorso della nostra libertà partecipe perché ogni vocazione che viene dal Signore si possa vivere responsabilmente e lontano da ogni pochezza e superficialità: alle quattro del pomeriggio, infatti, si è soliti aver terminato la pennichella quotidiana al termine del pranzo e ci si è ritemprati per la ripresa delle attività quotidiane e anche l’orario non è più fra quelli “morti” e solitari, ma è anzi quello dell’impostazione anche di nuovi progetti dopo l’inerzia del riposo; alle quattro del pomeriggio i discepoli decisero di restare con Gesù dope aver raggiunto la sua abitazione.

Non abbiamo paura di lasciarci “sorprendere” dalla chiamata di Dio, ma consentiamo a Dio di prescindere dalle nostre titubanze e dalle nostre indecisioni, affinché Lui ci chiami per primo e all’inizio di ogni cosa. E noi possiamo vedere.

 

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