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TESTO Benedizione, tentazione, conversione: il trinomio del cammino quaresimale

Il pane della domenica  

I Domenica di Quaresima (Anno B) (01/03/2009)

Vangelo: Mc 1,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto 13e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Gesù, tentato da satana, è servito dagli angeli

Da mercoledì scorso, con la liturgia delle Ceneri, è ricominciato anche quest’anno il nostro cammino verso la Pasqua. Ma non celebriamo noi la morte e la risurrezione del Signore tutte le domeniche? e non cerchiamo ogni giorno di camminare verso Dio e di volgerci sempre più benevolmente verso i fratelli? È vero, ma è anche vero che la fragilità umana è tale che, ben presto, la nostra esistenza di tutti i giorni ricade nell’abitudine. Assorbiti dalle preoccupazioni quotidiane, dimentichiamo l’importanza dell’avventura nella quale siamo impegnati, e perdiamo di vista la meta che ci attende. La Quaresima è un “tempo di rinnovamento spirituale, perché ci convertiamo al Signore con tutto il cuore” (prefazio quar. 2). Per focalizzare bene il senso e la portata dei santi quaranta giorni, dobbiamo partire dalla benedizione di Dio, chiarire con la maggiore accuratezza possibile in che cosa consista la tentazione dell’uomo, e vedere concretamente quale impegno richieda la conversione di noi, uomini fragili e tentati, al Signore che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

1. In principio, la benedizione. La benedizione non è una formula biascicata e vuota di senso, una sorta di abracadabra contro gli infortuni della vita. Nella Bibbia la benedizione si aggrappa sempre a due elementi essenziali: la felicità dell’uomo e il dono divino che ne è la sorgente. La prima benedizione si trova all’inizio della storia della salvezza: Dio benedice l’uomo e la donna, perché li vuole felici nell’amore. Quando dopo la catastrofe del diluvio, il Signore rilancia il suo disegno di salvezza, conferma l’alleanza con il segno dell’arcobaleno: quell’arco iridato in cielo dovrà dire a tutti che egli vuole veramente bene ai suoi figli, e non ha a cuore niente altro che la loro vera e piena felicità. In questo senso è opportuno ricordare che il capitolo da cui è tratto il brano della 1ª lettura, inizia così: “Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra’” (Gen 9,1). Come si vede, sono le stesse, identiche parole che il Signore aveva già proclamato il sesto giorno all’uomo e alla donna, appena creati.

La benedizione, pertanto, è sia parola che dono, sia “dizione” che “bene” (cfr. gr. eu-loghia, lat. bene-dictio), perché il bene che essa apporta non appartiene alla sfera dell’avere, ma dell’essere, dell’essere amati. Ne emerge l’immagine di un Dio philòpsuchos - come lo definisce il libro della Sapienza 11,26 - “amante della vita”, un Signore che non si pente di aver creato l’uomo e di averlo dotato di un cuore assetato di felicità. La sua benedizione è come la firma finale apposta in calce al trattato di alleanza: è il “sì-amen”, la conferma al fatto che ogni uomo è l’amato-gratuitamente-da-Dio.

Gratuitamente: non c’è nulla dietro l’amore di Dio, nessun bisogno in lui che ne determini il sorgere. Non c’è nulla davanti a Dio, nessun interesse in lui che ne provochi l’iniziativa, nessun merito nell’uomo che ne solleciti la risposta. Dio non ti ama perché ha bisogno di te; ma ha bisogno di te perché ti ama. Insomma siamo amati e basta: prima di ogni nostro presunto merito, prima di ogni nostra possibile invocazione. Amati e basta, perché Dio è solo Amore, che ama a fondo perduto, senza alcun tornaconto: non per avere qualcosa da ricevere, ma per avere la possibilità di regalare tutto quello che ha, per dare tutto quello che è.

Al Giordano Gesù è stato proclamato dal Padre come il Figlio suo beneamato, il prediletto, l’amato; ma l’intimità divina, invece di separarlo, lo congiunge ai peccatori: è per questo che lo Spirito “lo sospinge” nel deserto, dove lo attende satana, il tenebroso “principe di questo mondo”.

2. Eccoci al capitolo della tentazione. Secondo gli altri due sinottici - Matteo e Luca - il Tentatore prospetta a Gesù un messianismo trionfalistico, fatto di prosperità materiale (trasformare le pietre in pane), un messianismo di ambigua popolarità ottenuta con miracoli strabilianti (come il lanciarsi dall’alto del tempio, in caduta libera, senza rete di protezione), fino a conquistare il dominio politico di tutte le nazioni. S. Marco non ci riferisce il contenuto delle tre tentazioni, ma nel seguito del racconto ci mostra diversi contesti in cui si intravede il Tentatore all’opera: dietro la folla, dietro i discepoli, dietro lo stesso Pietro. Così è proprio il capo dei Dodici che sollecita Gesù a percorrere la strada di un messianismo spettacolare, quando, dopo la prima giornata di missione a Cafarnao, si mette sulle sue tracce, e, trovatolo “in un luogo deserto”, in preghiera, gli dice, invitante e suadente: “Tutti ti cercano!” (Mc 1,37). La tentazione qui non odora di zolfo, ma di incenso: mira a sedurre con il miraggio del successo facile e con le lusinghiere attese dell’ambiente. Gesù però se ne va altrove, perché non è venuto per farsi pubblicità, ma per proclamare il vangelo del Regno di Dio. Così il Maestro per la prima volta parla della sua intenzione di incamminarsi verso Gerusalemme, non per conquistare il potere, quanto piuttosto per morire sulla croce, e quando Pietro gli si oppone a viso aperto, Gesù lo allontana con quelle terribili parole che si ritrovano pari pari in Matteo, al termine delle tentazioni: “Vattene via da me, satana!” (Mc 8,33; cfr. Mt 4,10). In Simone, Gesù - appena identificato da Pietro come il Cristo - smaschera la seduzione del Tentatore, il “maestro del sospetto”, che ancora una volta prova a insinuare che dietro il volto apparentemente buono del Padre, si celi quello inquietante e minaccioso di un despota sanguinario... Ma la fiducia di Gesù nel Padre è talmente solida da permettergli di superare la paura paralizzante della morte, al punto da “ridurre all’impotenza colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, (in modo da) liberare così quelli che per paura della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,14-15).

La tentazione è stata reale per Gesù: fu “provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). Egli non si lascia distogliere dall’obbedienza al disegno del Padre e vince satana con la forza dello Spirito Santo. La tentazione nel deserto diventa l’occasione per confermare la scelta fatta con il battesimo al Giordano, quella di un messianismo basato sul servizio e sul dono di sé. Così Gesù, l’Uomo nuovo, ritrova l’armonia originaria con tutta la creazione, dagli angeli agli animali, come era nel giardino paradisiaco, al mattino della creazione (Mc 1,13)

3. “Leggevamo ora nel vangelo - commenta s. Agostino - che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l’umiliazione, da sé la tua gloria: dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria”.

Qui si inserisce il terzo capitolo della Quaresima, quello della conversione. Il cristiano è chiamato a condividere la scelta fondamentale di Gesù. Con le promesse battesimali si impegna a respingere le stesse tentazioni del benessere, del successo, del dominio. La Chiesa ce lo ricorda ogni anno con la celebrazione della Quaresima, ripetendoci le stesse parole di Gesù: “Convertitevi!”.

La conversione che ci è offerta e richiesta non è una piccola serie di propositi piccoli piccoli, del tipo: eliminare qualche parola di troppo, controllare qualche scatto di nervi, evitare qualche distrazione nella preghiera, insomma un' aggiustatina di qualcosa che rimane superficiale e periferico nel nostro comportamento. La conversione - come dice la parola stessa, che richiama la “inversione ad U” - è piuttosto un ri-orientamento deciso del nostro cuore e del cammino che ci attende. Verso dove? Basta che ci chiediamo: che cosa mi manca?, che cosa mi preoccupa?, per che cosa mi agito?, che cosa riempie la mia vita? Scopriremo così i nostri idoli: i soldi, il benessere, l’immagine, la carriera, il potere, insomma il nostro io possessivo, rampante, aggressivo.

L’eucaristia che celebriamo ci ottenga la grazia di prendere coscienza dell’amore misericordioso del Padre, per “vincere le insidie dell’antico Tentatore e dominare le seduzioni del peccato” (cfr. prefazio quar. 1), perché in questo tempo quaresimale si compia in noi un rinnovamento effettivo della nostra vita.

Commento di Mons. Francesco Lambiasi

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2008

 

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