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TESTO La caduta delle illusioni

Marco Pedron  

Epifania del Signore (06/01/2009)

Vangelo: Mt 2,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6E tu, Betlemme, terra di Giuda,

non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:

da te infatti uscirà un capo

che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Oggi il vangelo ci presenta due figure molto diverse fra di loro: Erode e i Magi. Quest’anno ci soffermeremo sulla figura dei maghi e sulla portata della loro venuta al Bambino.

Il brano è tratto da Mt 2 e fa parte di quella serie di vangeli che vengono chiamati “vangeli dell’infanzia”. Uno potrebbe credere che siano “vangeli per l’infanzia”, per i bambini, storie da raccontare a loro.

In realtà si tratta, invece, di veri e propri trattati teologici che hanno poco di storico e tutto di teologico. Vogliono, cioè, non descrivere dei fatti ma spiegare che cosa abbia voluto dire la nascita di Gesù e la sua venuta sulla terra.

Il vangelo ci presenta i Magi. E’ una presenza imbarazzante, inammissibile, sempre negativa per la Bibbia, eccetto qui.

Il Levitico era chiaro: “Non praticherete alcuna sorta di divinazione o di magia” (Lv 19,26).

Nel corso della prima piaga d’Egitto, in cui Mosè cambia tutte le acque del Nilo e dei torrenti in sangue così che gli Egiziani non possano più bere, anche i maghi fanno la stessa cosa. Sono quindi rivali e concorrenti di Mosè (Es 7,22).

Il N.T. conosce Simone il mago (At 8,9-24) che voleva comprare lo Spirito Santo e il falso profeta Elimas che si faceva chiamare “figlio di Gesù” che Paolo e Barnaba smascherano.

Il termine “maghi” in greco significava “imbroglioni, ciarlatani, coloro che predicono menzogne” (Ger 27,10). Che ci fanno questi ceffi al cospetto del Dio Bambino? Ma perché Mt, unico evangelista, li “infila” dentro?

Siccome il termine “maghi” ha chiaramente una valenza negativa, per dargli un po’ di dignità (unica volta!) si è tradotto (e non si capisce proprio il perché) il termine greco “maghi” con Magi.

Furono poi elevati al rango di re e fu dato loro anche un nome: Gaspare, Melchiorre e Baldassare; uno era bianco, uno era nero e l’altro meticcio. E’ chiara che l’operazione storica fatta, il restyling, aveva il compito di redimere, di ridare dignità, ad un gruppo di personaggi invisi e chiaramente negativi.

Nel corso dei secoli è nato perfino il quarto re Magio, quello che non è arrivato e le tradizioni su di loro sono fiorite. D’altronde sono personaggi che ben si prestano al nascere di tradizioni parallele, tutte tra l’altro con un loro preciso senso e simbolismo (e quindi non da rigettare).

Ma qual è il significato originario della presenza di questi maghi davanti al Dio Bambino? Per trovare il senso del loro esserci dobbiamo soffermarci sui doni che portano, che non sono affatto a caso.

Il primo dono è l’oro. A che cosa serviva l’oro? L’oro era il dono che si faceva e che si portava al re (1 Re 9,11.28). L’oro è il simbolo per eccellenza della regalità.

Ma chi è che adesso porta l’oro al nuovo Re Gesù? Chi è che lo riconosce come sovrano? Non sono più gli ebrei, i giudei, coloro che avrebbero dovuto riconoscerlo, ma sono proprio i pagani, anzi i maghi, quelli odiati, ritenuti eretici, gente della peggior specie che lo riconoscono come re. Altrove Gesù dirà (8,11): “Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli”.

E’ la fine della prima illusione: Dio non è più il re degli ebrei, ma di tutti quelli che lo accolgono.

Il secondo dono è l’incenso. L’incenso era l’elemento specifico dell’uso liturgico, usato soprattutto nei momenti più importanti e nelle offerte di ringraziamento (Lv 2,1-2; 1 Sam 2,28).

Tutt’oggi anche nelle nostre liturgie viene utilizzato in quelle più solenni e più importanti. Ma cosa succede qui? Non sono più i puri sacerdoti del tempio, ebrei purosangue, gli unici che potevano rivolgersi alla divinità nel culto, ad offrire incenso ma dei pagani ed eretici maghi.

E’ la fine della seconda illusione: Dio non è più privilegio solo degli ebrei; è finito il tempo del popolo eletto. Il popolo ebreo non ha più il privilegio di essere il popolo sacerdotale: Dio è di tutti gli uomini.

Il terzo dono è la mirra. La mirra è una resina dall’intensa fragranza, dal profumo molto forte; è il profumo con il quale l’amante conquista il suo amato (Pr 7,17: “Ho profumato il mio giaciglio di mirra”). La mirra è il segno dell’amore tra gli amanti (Ct 5,5; Est 2,12). Ma chi è adesso che porta la mirra, segno dell’amore? Non è più Israele il popolo eletto, ma dei pagani, lontani da Dio e condannati dagli stessi ebrei.

Cade la terza illusione: Dio non ama più solo il suo popolo eletto ebreo; Dio ama tutti i popoli e tutti gli uomini.

L’arrivo dei Maghi sancisce la fine della grande illusione di Israele di essere il prescelto, il popolo di Dio. Leggendo questo vangelo gli ebrei dicevano: “Ma come non siamo più solo noi il popolo prescelto?”. “No!”.

Uno dei momenti più difficili della vita per tutti noi è il giorno della caduta delle illusioni.

La realtà e la verità è difficile da accettare, da accogliere, da sentire e da vivere. Lo è per tutti. L’il-lusione crea sempre de-lusione quando cade. La dis-illusione è poter vedere la realtà per quello che è.

Così quando un aspetto della vita ci è difficile da far nostro, da accettare, noi per proteggerci ci creiamo una illusione che ci protegga e che ci difenda da quella realtà pericolosa o dolorosa per noi. Proprio non vediamo la realtà: magari tutti gli altri sì ma noi no. Ma a volte succede che gruppi, addirittura società, s’illudano e non vedano la realtà.

L’illusione è una sicurezza a cui ci attacchiamo; per questo facciamo di tutto perché non cada. E’ una sicurezza, un muro che ci impedisce di vedere ciò che per noi è doloroso e difficile d’accettare. Quando l’illusione cade dentro di te senti la voce: “Ma come?” e rimani attonito, non l’avresti mai creduto. E’ proprio questo il punto: che ogni illusione ti costringe a cambiare credo. Per questo ci vuole molta fede a lasciar andare le proprie illusioni, perché perdi un credo e ne devi imparare un altro.

Proprio perché l’illusione passa per “vera” la non-realtà e ha bisogno di spacciarla per vera anche se non lo è, proprio perché il suo scopo difensivo è quello di proteggere la persona da una sofferenza, il momento in cui ci si accorge di un’illusione è un momento liberante, ma sempre doloroso, difficile. Ci si accorge di essere attaccati a qualcosa che non c’è, che non esiste. E’ chiaro che aprire gli occhi (capite perché il vangelo era pieno di ciechi? Capite perché S. Paolo divenne cieco?) vuol dire convertirsi, cambiare, accettare qualcosa che non avremmo voluto vedere. “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32), ma com’è difficile il cammino della verità!

Al tempo della guerra tra India e Pakistan un indiano fu fatto prigioniero di guerra dai Pakistani. Dopo molto tempo fu assecondato il suo desiderio di poter vedere anche solo per qualche istante il suo paese. I soldati pakistani gli dissero: “Bene, oggi ti porteremo alla frontiera, per farti dare un’occhiatina al tuo paese”. Così lo portarono sopra i monti del confine. Il prigioniero nel vedere la sottostante vallata indiana era raggiante: “Quella è l’India, il mio paese; quei villaggi sono la mia gente, quegli alberi sono le mie foreste”. Estasiato continuava a vedere il “suo” paese. Dopo mezz’ora una delle guardie gli disse: “Rimonta in camionetta. Scusa ci siamo sbagliati, mancano ancora trenta chilometri al confine con il tuo paese”.

C’è l’illusione sulla propria famiglia. Meglio non vedere certe cose, fa troppo male.

Quando tuo padre è stato un dittatore, ti picchiava e non si poteva dire niente in casa perché altrimenti le prendevi; quando tua madre vedeva ma non diceva o non poteva dire niente perché anche lei era a rischio e, anzi, ti diceva: “Porta pazienza; sai com’è tuo padre; non è cattivo, in fondo in fondo ti vuole bene”, è ovvio che è più facile costruirsi l’illusione di una infanzia felice. Così uno dice: “Io per fortuna ho avuto un’infanzia felice!; mio papà lo faceva perché imparassimo a venire su bene; mio padre mi ha sempre amato”. Altri addirittura dimenticano cos’è successo. Perché vedere che tuo padre era così, che tua madre non ti difendeva, che proprio quella era la tua famiglia... beh vedere tutto questo è molto doloroso. Vedere che non si è stati amati è una ferita terribile.

Per questo molti dicono: “A che serve conoscersi? Non ho tempo per queste cose! Non mi interessa questo”, in realtà sono tutte frasi protettive per non aprire gli occhi.

Se chiedete alla maggior parte delle persone vi dirà che la sua infanzia è stata bellissima e vi porterà un sacco di ricordi (veri!) in tal senso. Ma anche se chiedete ai bambini i cui genitori sono alcolisti, violenti, abusanti, o disagiati psichicamente, vi diranno che i loro genitori sono buoni, bravi e che li amano. E’ la stessa cosa.

Un bambino ha bisogno di crearsi dei genitori buoni per poter vivere, per cui elimina tutto ciò che contraddice quest’immagine. Non potrebbe vivere con dei genitori cattivi.

Il problema è che da grandi crediamo ancora in questo. La gente si ostina e giura “che loro hanno avuto un’infanzia diversa dagli altri, che loro sono stati più fortunati degli altri e che i loro genitori erano buoni”.

D’altronde è chiaro: ammettere che i propri genitori non erano perfetti (hanno fatto quello che hanno potuto!) vuol dire ammettere che il bambino ha sofferto. E’ questo che si vuol proteggere nel profondo (e non i genitori).

La realtà, non l’illusione, non ciò che noi vorremmo: la verità è che abbiamo sofferto, che abbiamo avuto paura, che siamo stati feriti, umiliati, derisi, e che certe ferite ce le portiamo ancora dietro.

Vi siete dimenticati di quando eravate da soli in casa per ore e ore e con voi non c’era nessuno?

Di quando i vostri genitori litigavano e urlavano e dicevano che si sarebbero separati e voi non sapevate che cosa fare, e così cercavate di essere i più buoni possibili?

Di quando vostra madre piangeva sempre e accusava vostro padre, e voi soffrivate da morire nel vederla così, e avreste fatto di tutto per farla felice, anche se niente serviva?

Di quando vostro padre vi “menava”, usava la cintura o la bacchetta o quelle grosse mani che aveva, e pensavate perfino di meritarle, e pensavate (così vi era stato detto) che era “per il vostro bene”?

Di quando vostro padre, quell’uomo enorme, titanico, potente, urlava e minacciava e voi piccoli creature non potevate fare niente? E guai alzare la voce, perché era mancanza di rispetto (ma solo la vostra!)?

Di quando avreste voluto giocare con loro ma non c’era mai tempo per voi; prima il lavoro, poi l’orto, poi le piante, poi il cane, poi i piatti, poi il letto, poi il bagno, poi il telegiornale e voi mai?

Di quando vi dicevano: “Piccolo, stai zitto tu!; cosa vuoi sapere tu!; finché sei in questa casa tu fai come vogliamo noi; porta rispetto (e toccava sempre ai piccoli portarlo!)!”. E così non si poteva mai parlare.

Di quando non c’erano mai soldi per voi, per i libri, per le penne, per i giochi, per i regali. Ma per l’orto, per l’auto nuova, per la pelliccia, per le pentole della Mondial Casa, sì che c’erano i soldi.

Di quando avevate paura di notte e del buio ma non si poteva dirlo perché si era dei “frignotti”, delle “femminucce” e si era presi in giro.

Di quando nessuno vi interpellava per chiedervi se volevate una cosa o l’altra: si prendeva quello che veniva, e ringraziare sempre, anche se non piaceva. Nessuno vi chiedeva se vi piaceva andare al mare: si andava e basta. Nessuno vi chiedeva se il cibo vi piaceva: si mangiava e basta. Nessuno vi chiedeva i vostri gusti, perché tanto ad un bambino va bene tutto!

Di quando arriva la nonna paterna e vi diceva che la mamma era “cattiva” e che non voleva bene al papà e così voi soffrivate perché volevate bene alla mamma che (diceva la nonna) odiava il papà.

Di quando la mamma era nervosa (“esaurita” dicevano i medici) e scattava. E quando scattava c’era il rischio di prenderle e non si sapeva mai che giornata aveva per cui si era sempre in ansia.

Di quella volta che il vostro cugino più grande ve le ha date e, ritornati piangenti dalla mamma, avete ricevuto un bel: “La prossima volta impara a difenderti!”.

Di quella volta che non eravate state voi ma che la mamma, per fare bella figura con le zie, ha incolpato voi lo stesso, punendovi e tenendovi chiusi in casa.

I miei genitori e i loro coetanei hanno “fatto la guerra”: hanno sofferto fame, malattie, paura, lotte, vendette tra vicini di casa; alcuni hanno perso i genitori e sono rimasti orfani; quando c’è la guerra la parola chiave è sopravvivere, tutto il resta passa in secondo piano. Cosa non hanno sofferto quei bambini? Forse si sono induriti, corazzati, probabilmente hanno “mandato giù”, si sono fatti andare bene un sacco di cose, ma non è tutta sofferenza questa? Quando raccontano il loro tempo (e il dopoguerra fu altrettanto terribile) lo fanno quasi orgogliosi, come di chi dice: “Hai visto che bravi, come siamo riusciti a farcela in una situazione del genere”. In effetti è così: sono stati proprio bravi. Ma la stessa frase rivela pure la sofferenza del bambino: quanto ha sofferto, quanto è stato zittito, rinchiuso, quel bambino?

Sì, è meglio dimenticare e illuderci che noi siamo stati prescelti, preservati da tutto questo; che noi, gli unici al mondo, non siamo stati toccati e neppure sfiorati da tutto questo. Meglio non vedere che Erode a volte era in casa nostra e che noi eravamo quei bambini della strage degli innocenti.

E’ bello vedere tutto questo (delusione)? No, è terribile, ma è la verità. La gente poi si chiede perché dentro è così nervosa, arrabbiata, inviperita, acida, e non si sa dare spiegazione. Ma dove credi che sia finita tutta quella sofferenza? Forse l’hai dimenticata, ma c’è ancora da qualche parte.

Quando si guarda all’infanzia di Hitler, Stalin, Saddam Hussein, si scopre il medesimo e unico denominatore: infanzie tristissime dove questi personaggi subirono ingiustizie, soprusi e violenze di ogni tipo. Il piccolo Hitler diceva: “Oggi tu sei più forte e io devo subire, ma quando sarò grande te la farò pagare. Brucio dal desiderio di vendetta”. E così è stato. Hanno pagato sei milioni di ebrei innocenti; quella bruciatura che aveva dentro si è trasformata in realtà.

C’è l’illusione personale.

“Se io avessi di più, non mi lamenterei”. “A me certe cose non succedono”.

“In fin dei conti, “mi non fasso mae a nessun!””. Cioè: “Sono una brava persona”. Tu non ti conosci, tu non ti guardi dentro, per questo puoi dire che non fai male a nessuno.

“Mi non porto rancore con nessun!”. Lo credi tu! Non lo senti ma non che non ne hai. Anzi il fatto che tu dica così ci aiuta a capire che tu hai paura del sentimento della rabbia e non te lo permetti.

“Quando avrò quella cosa allora sì che sarò felice”. “Se io fossi al suo posto farei diversamente”. “Il mondo va sempre peggio”: non va né peggio né meglio di ieri. Va come noi lo facciamo andare.
C’è l’illusione religiosa.

L’illusione religiosa dice: “Il nostro Dio è quello unico e quello vero”. Ma perché proprio il nostro? E Dio è Colui che preferisce un popolo ad un altro popolo? Non certo quello del vangelo, come abbiamo appena visto!

Eppure per quanto tempo si è creduto alla superiorità della fede cristiana rispetto alle altre fedi. Si diceva addirittura che “fuori dalla chiesa non c’è salvezza”: cioè, se non eri battezzato eri condannato all’inferno.

C’è l’illusione che l’Italia sia un paese cattolico: sì, se si intende che la maggioranza della gente è battezzata; no, se si va a verificare lo stile e il comportamento di vita degli italiani.

C’è l’illusione che l’Europa sia cattolica (d’altronde il Papa sta in Vaticano, in Europa). Eppure i movimenti più vivi e vitali non si trovano qui; si trovano in Africa o in America Latina dove la fede si coniuga e si vive incarnata nella vita personale e sociale.

C’è l’illusione che “noi siamo dalla parte giusta” solo perché siamo battezzati (il che non vuol dire che siamo dalla parte sbagliata!). Eppure a volte dentro ai nostri gruppi cristiani c’è così tanto giudizio, chiusura, diffidenza, bigottismo! Così come ci sono dei gruppi cristiani meravigliosi! Così come ci sono dei gruppi “umani” (di nessuna fede religiosa specifica) dove si vivono i valori della diversità, dell’amore, della condivisione, del rispetto della natura e di ogni essere vivente, della ricerca e della spiritualità.

C’è l’illusione di conoscere il Signore. Ero già in seminario ed ero già in teologia. Quando tornavo a casa tutti i ragazzi e le persone venivano da me per le questioni religiose. Io credevo di sapere un sacco di cose e in fin dei conti mi dicevo: “Beh, che altro ci sarà da sapere”. In realtà ero totalmente cieco. Poi ho scoperto che Gesù non è nato come dice il vangelo di Lc; che non è apparso come si vede un uomo per la strada; che non aveva il potere della magia e di fare i miracoli come e quando voleva lui, indipendentemente dagli altri; che Maria non ha cantato il Magnificat; che Adamo ed Eva non sono mai esistiti storicamente ma neanche Noè; che furono trenta al massimo in cento a scappare dall’Egitto e ad andare verso la terra promessa; che tutte le mie idee sull’inferno, sul paradiso e sul purgatorio erano immaginarie. Ogni volta che scoprivo una cosa nuova mi cadeva un’illusione. Era doloroso: in realtà, stavo scoprendo di essere totalmente ignorante (e lo sono ancora!) in materia. La prima tentazione fu quella di dire: “No! Non è possibile!”. La prima tentazione fu quella di attaccarsi alle illusioni e di rifiutare la verità.

Quando si scoprì che non era l’universo che girava attorno alla terra ma la terra che girava attorno al sole, alla stessa maniera si disse: “Impossibile!”. E gente come Galileo, Copernico e compagni furono condannati!

C’è l’illusione degli innamorati. Quando ci si innamora e all’inizio del matrimonio l’altro è percepito come il partner perfetto, l’amore da sempre sognato e vagheggiato.

La grande illusione per lei è: “Lui mi salverà” e “Lui mi renderà felice”.

La grande illusione per lui è: “Lei capisce il mio valore; lei non vuole cambiarmi, mi accetta per quello che sono”.

Ma con il passare del tempo la delusione è inevitabile perché si scopre che l’altro non è come lo si immaginava, come lo si aveva in testa, come noi lo avevamo disegnato. L’altro è diverso da me.

E’ la fase della dis-illusione: si vede l’altro per quello che è. Se avviene questa disillusione e se si riesce a vedere e soprattutto ad accettare il partner per quello che è, negoziando insieme il rapporto, allora la coppia ne uscirà rafforzata. E’ il passaggio all’amore. Altrimenti non ci sarà più coppia (qualsiasi cosa la coppia faccia).

Molti amanti non accettano la caduta dell’illusione: “Non sei più come quello di una volta!; ti voglio come eri prima; quando eravamo fidanzati eri diverso; non ti conoscevo mica così...”.

Uno yogin disse ai suoi discepoli: “Ci sono tre cose che non dovete mai fare: togliere alla gente il loro Dio, i loro padri (le idee sulla loro famiglia) e le loro certezze. Se lo farete ve la faranno pagare. La gente vuole sicurezza non verità”.

Gerusalemme è terrorizzata (2,3) quando sente che il Messia viene non come lei aveva previsto.

Erode va fuori di testa quando gli viene sottratta l’illusione di essere lui il vero re.

Gli ebrei condanneranno a morte Gesù come eretico perché Lui aveva tolto le loro certezze religiose.

Solo la realtà esiste, il resto è illusione. Ama la realtà perché amare ciò che non esiste (illusione) non serve.

Vivi nella realtà perché vivere in ciò che non esiste è non vivere.

E ogni volta che cade un’illusione, ringrazia Dio perché ti ha portato più vicino a Lui.

Pensiero della Settimana
Nulla di ciò che è reale può essere minacciato.

Nulla di irreale esiste. In questo si trova la pace di Dio.

La proiezione fa la percezione.
Il mondo che vedi è ciò che tu gli hai dato, niente di più.

Ma nonostante non sia niente di più, non è niente di meno. Quindi, è importante per te.
E’ il testimone del tuo stato mentale,
l’immagine esterna di una condizione interna.
Come un uomo pensa, così percepisce.
Quindi non cercare di cambiare il mondo,
ma scegli di cambiare la tua mente riguardo il mondo.

Tutto ciò che vien guardato con amore e senza giudizio è guarito e santo. Tutto ciò che viene guardato senza amore e con giudizio è condannato.

La dannazione è il giudizio su di te, ed è questo che proietterai nel mondo. Vedilo dannato

e tutto ciò che vedrai è ciò che hai fatto per fare del male al Figlio di Dio.

Se vedi il disastro e la catastrofe, hai cercato di crocefiggerlo.

Se vedi santità e speranza, ti sei unito alla Volontà di Dio per renderlo libero. Non c’è scelta che stia tra queste due decisioni.

Il mondo che vedi mostra solo quanta gioia ti sei permesso di vedere in te
e di accettare come tua.
E, se questo è il suo significato,

allora il potere di dargli gioia deve essere dentro di te.

 

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