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TESTO La tenda della Sapienza

don Marco Pratesi  

II Domenica dopo Natale (04/01/2009)

Brano biblico: Sir 24,1-4.12-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,1-18

1In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

2Egli era, in principio, presso Dio:

3tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

5la luce splende nelle tenebre

e le tenebre non l’hanno vinta.

6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

9Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

10Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

11Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

12A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

16Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

18Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato.

Nota: il testo biblico di riferimento per la liturgia è quello della Nova Vulgata, che qui si segue.

La lettura presenta una parte del discorso della Sapienza che leggiamo in Sir 24,1-31. L'introduzione, piuttosto ampia (vv. 1-4) mette a fuoco già il cuore dell'argomentazione: la sapienza infatti parla in mezzo al popolo. E' proprio lì, nel popolo eletto e benedetto, che risuona la lode della sapienza, lì che si coglie il suo valore e splendore, la carica positiva e la bellezza che le vengono dalla relazione privilegiata con Dio. Non si accede ad essa mediante un cammino solitario, ma stando dentro il popolo, e in quella particolare forma di vita del popolo che è l'assemblea liturgica.

La sapienza è presente in tutto il mondo, niente è senza la sua presenza, e anche in ogni popolo lascia vedere i suoi bagliori. Lo sottolineano i vv. 5-11, omessi nella lettura. Ma quello che all'autore preme dire è che questa sapienza abita in modo speciale e unico in Israele, e lì manifesta appieno il suo potere, si dispiega in tutta la sua potenzialità di benedizione. Per dirlo, il testo ricorre a tre immagini: la tenda, l'eredità e il giardino. La sapienza pianta la sua tenda in Israele, vi abita; Israele è la sua eredità, il suo possesso; e il giardino riccamente irrigato (cf. Sal 46,5) nel quale crescono le sue belle piante profumate (su quest'ultimo aspetto indugia la descrizione dei vv. 17-23, omessi nella lettura). L'autore stesso si preoccupa infine di interpretare la sua allegoria, ai vv. 32-33: "tutto questo è il libro dell'alleanza e la legge che Mosè ci ha prescritto". La forma nella quale la sapienza divina abita in Israele è cioè la Torah, che plasma ogni aspetto della vita del popolo (cf. Bar 3,32-4,1).

Dal punto di vista cristiano, questo processo di concentrazione della sapienza non è però ancora terminato. La collocazione nel tempo natalizio e in connessione col prologo giovanneo è eloquente: la sapienza di Dio ha ulteriormente ristretto e concentrato la sua presenza fra gli uomini nella persona di Gesù di Nazaret, e la sua umanità è la tenda e il tempio di Dio tra gli uomini, sua piena proprietà e paradiso in terra. Tuttavia il progetto di Dio non si ferma qui: egli è solo il primogenito di molti, l'elemento centrale di un più ampio organismo che è il Cristo totale, ossia il capo insieme alle membra. Costruita dallo Spirito, questa realtà che San Paolo chiama "la pienezza" del Cristo (cf. Ef 1,23) è davvero tenda, proprietà e giardino di Dio tra gli uomini: "la Chiesa è stata piantata come un paradiso in questo mondo", afferma S. Ireneo (Contro le eresie V,20,2).

Molte sono le conseguenza per il nostro cammino, due specialmente importanti. Primo: per mettersi nella giusta posizione di fronte a Dio, il cristiano non si rapporta a un libro sacro e alla legge, ma alla persona vivente del Verbo incarnato. La mediazione della salvezza è il rapporto personale con lui, e il resto serve nella misura in cui porta a - o nasce da - questo. Ricordiamo che proprio su questo punto San Paolo ha combattuto una dura e cruciale battaglia con l'ebraismo del suo tempo. A questa diversità accenna anche il prologo giovanneo, laddove afferma che "la legge fu data attraverso Mosè, ma la grazia e la verità fu fatta attraverso Gesù Cristo" (Gv 1,17). Secondo: si accede alla sapienza non da soli, non isolati ma stando nel popolo, nel Cristo totale, come pianta innestata nel giardino della Chiesa. Non si tratta infatti di accedere a una sapienza che è frutto di capacità e genialità umane, ma a quella segreta sapienza che ci rivela quanto orecchio umano non ha mai udito, occhio non ha visto, cuore concepito (cf. 1Cor 3,6-10). Con Paolo, chiediamo a Dio che illumini gli occhi del nostro cuore, per poter cogliere la portata e la preziosità dei doni che Dio ha in serbo per noi (cf. Ef 1,15-18, seconda lettura).

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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