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don Daniele Muraro   Home Page

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (28/12/2008)

Vangelo: Lc 2,22-40 (forma breve Lc 2,22.39-40) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,22-40

22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

31preparata da te davanti a tutti i popoli:

32luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Nella prima lettura e nella seconda i personaggi protagonisti del discorso sono i medesimi: Abramo e Sara con il loro figlio Isacco. Nel Vangelo troviamo un’altra coppia di sposi, Maria e Giuseppe con il figlio Gesù, ancora neonato.

Fra queste due famiglie, una posta al principio della storia della salvezza e l’altra al suo compimento, è tutto un concatenarsi di generazioni, e anche appunto di coppie di sposi e di famiglie.

Celebriamo la domenica della santa Famiglia, un tema strettamente legato al Natale tanto da essere passato in proverbio: “Natale con i tuoi” e obbligatoriamente raffigurato nella scena del presepio in cui non possono mancare Maria, Giuseppe e il bambino.

Va da sé che la realtà della famiglia coinvolge l’intera storia del mondo. Senza risalire ad Adamo ed Eva, la due letture della Messa ci mettono davanti la prima famiglia che ha creduto, quella di Abramo e Sara e la famiglia che più di tutti credette, quella di Maria e Giuseppe.

La fede è anche il nome dell’anello nuziale e di questa fede hanno avuto bisogno e hanno dato prova sia Abramo e Sara che Giuseppe e Maria, seppure in circostanze e sotto forme molto diverse.

Abramo crede a Dio che gli promette una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia sulla spiaggia del mare. Le ragioni per dubitare non mancano: dopo anni di matrimonio fra lui e Sara non era ancora nato nessun frutto della loro unione e per entrambi era ormai cominciato l’età del declino. Ad ereditare il patrimonio sarebbe stato un domestico, Eliezer di Damasco.

Dio rassicura Abramo, il quale crede contro ogni evidenza e viene premiato. Di lì a qualche tempo infatti Sara resta incinta e partorisce ad Abramo un figlio nella vecchiaia. Il figlio fu chiamato Isacco, che significa “sorriso di Dio”, oppure “Dio sorride”.

Le prove per Abramo non sono finite. Infatti ad un certo punto egli è richiesto anche di sacrificare Isacco per amore del Signore. Si tratta di un passaggio oscuro dell’Antico Testamento comprensibile solo in riferimento al sacrificio di Cristo sulla croce e alla sua risurrezione. E infatti l’autore della lettera agli Ebrei spiega: Abramo riebbe Isacco e questo servì come simbolo, appunto della morte e resurrezione di Cristo.

Rimaniamo comunque concentrati sul punto ossia la fede che garantisce ad Abramo insieme con la continuità della stirpe anche l’unità della sua famiglia.

La fede unisce Abramo al volere di Dio e questa stessa fede lo riavvicina a Sara che la prova della sterilità aveva distanziato da lui con risentimento.

In maniera ancora più forte che con Abramo e Sara e con una limpidezza mai più raggiungibile la fede unisce Maria e Giuseppe. La comunità di tutta la vita che essi stabiliscono fra loro, naturalmente ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione dei figli, nel loro caso è soprannaturalmente elevata in vista della crescita in età e della maturazione umana del Figlio di Dio, il Messia Salvatore di tutti.

La Chiesa insegna che la proprietà privata va rispettata, ma su di essa grava una ipoteca sociale. Chi possiede molti beni deve sapere che non può rimanere indifferente alla situazione di disagio del povero e nella maniera che sceglierà lui liberamente è moralmente tenuto a soccorrere i bisogni che conosce. Alla stessa maniera la Chiesa insegna che il matrimonio va rispettato e con esso la podestà educativa dei genitori, ma anche sul matrimonio grava una ipoteca, più religiosa che civile in questo caso.

È Dio che ha stabilito l’unità di tutta la vita fra un uomo e la sua sposa ed a Dio che ogni matrimonio e ogni famiglia deve restare sottoposto, alla sua volontà e alle sue disposizioni. Questa verità trova numerose applicazioni nella vita di tutti i giorni, sicché, per esempio quando due sposi non vogliono o non sembra loro di non riuscire più ad amarsi per motivi umani, possono e devono sempre ancora amarsi per amore di Dio.

Quando uno ha sbagliato di brutto, ma si è pentito e ha confessato la sua colpa, sentirà ancora per un po’ il rimorso, ma se crede veramente di essere stato perdonato da Dio, con il sostegno di questa fede troverà la forza per perdonare anche a se stesso e di riconciliarsi nell’intimo con il suo passato.

Alla stessa maniera due sposi che sanno di essere stati uniti nel Signore, devono credere che Dio stesso si saprà far carico del peso della loro unione e degli impegni che comporta la loro reciproca fedeltà.

A questo punto diventa chiaro che tante crisi matrimoniali così comuni nei nostri paesi sono crisi di fede, perché se non c’è Dio che tiene unita una famiglia i motivi per stare insieme si dissolvono uno dopo l’altro quasi inevitabilmente.

Quello che è impossibile presso gli uomini, non lo è presso Dio, perché presso Dio tutto è possibile. Egli che ha dato un figlio ad Abramo, e ha mantenuto nella castità Maria e Giuseppe sarà capace di far fiorire anche nelle famiglie del nostro tempo amore e fedeltà, purché ci si ricordi di Lui non di sfuggita, purché il suo nome venga invocato ogni giorni nelle nostre case.

La fede non può essere l’ultimo pensiero di un matrimonio già in crisi, è troppo tardi, ma se è stata invece il primo fondamento di un amore nella sua fase germinale e il punto di riferimento delle prime scelte di una vita insieme, essa sarà anche la garanzia delle continuità di un amore anche nelle prove e nelle amarezze del proseguo di una vita assieme.

Il matrimonio unisce a parole, ma se queste parole sono le parole della fede, che dalla fede trovano ispirazione e argomento, saranno sempre parole di comprensione e di affetto, parole di perdono e di fiducia, parole di amore e di pace.

 

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