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TESTO Parola di Dio e Giudizio

don Daniele Muraro  

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (23/11/2008)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

“Ognuno al suo posto!”, dice san Paolo nella seconda lettura, e anche se l’Apostolo intende parlare dell’ordine in cui ognuno risorgerà con il suo corpo umano, il pensiero va spontaneamente alla scena descritta nel Vangelo: da una parte le pecore e dall’altra i capri.

Visto che nel Vangelo si parla del giudizio finale potremmo dire anche “tutto a suo tempo!” e infatti sempre san Paolo in un altro punto dice: “Fratelli, non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio.”

Tocca al Signore giudicare, nel senso di dire l’ultima parola. Come questa scena si svolgerà senza costrizione né resistenza è un mistero. San Paolo scrive ancora: “Dio prende i sapienti di questo mondo per mezzo della loro astuzia” e la parabola dei talenti della settimana scorsa, nella versione secondo Luca, termina così: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio!”.

Quello che non è mai riuscito ai saggi, né tantomeno ai potenti, di tutti i tempi, ossia di separare infallibilmente i buoni dai cattivi per premiare gli uni e castigare gli altri, nella scena descritta dal Vangelo il Signore lo ottiene con tutta facilità. Con l’ultima obiezione finisce il tempo dei dubbi e anche quello delle critiche e inizia la gioia senza fine oppure l’eterna angoscia.

È curioso notare come sia i giusti che i malvagi ascoltando le parole di Gesù rimangono stupefatti: sia gli uni che gli altri non riescono a capacitarsi del fatto che il giudizio si imperni proprio sulla carità fraterna. Il proseguo però è diverso. I giusti si scrollano subito di dosso la reazione immediata di meraviglia; essa si stacca da loro come una crosta che non gli appartiene lasciandoli più limpidi e puri nei ragionamenti e nelle intenzioni. I malvagi invece si fissano senza possibilità di replica nella rivelazione che li descrive così puntualmente e per così dire ci rimangono male per l’eternità.

Alcuni il Signore li riconosce come suoi, altri li respinge come maledetti. Se vogliamo trovare un criterio discriminante fra i salvati e dannati, fra le pecore e i capri, dobbiamo interrogare il pensiero dello stesso Cristo. La differenza sta nella vita precedente; chi nel tempo del suo pellegrinaggio terreno si è comportato come un suo fedele discepolo, alla fine sarà accolto nella casa del suo Signore, chi invece ha rifiutato di appartenere al suo gregge, quello seguirà il suo destino senza più possibilità di ripensamenti.

Tuttavia questa appartenenza, Gesù la intende in modo più sostanziale che formale. Sono sue pecore tutti quelli che hanno usato misericordia e amore, sono capri quelli invece che hanno rinunciato alle occasione di fare il bene del loro prossimo.

In questa maniera essi si sono comportati non solo da estranei nei confronti degli altri, ma anche da nemici del Signore.

Che anche Cristo abbia dei nemici ci dice la seconda lettura. Ora uno può avere dei nemici in due modi: o perché prende di mira qualcuno e lo perseguita, oppure perché viene senza colpa fatto bersaglio da parte di qualchedun altro. Da tutto il Vangelo è chiaro che l’inimicizia Gesù la subisce e non la pratica. Ad un certo punto però anche i nemici di Gesù e del suo Regno devono finirla di spadroneggiare sul mondo e di insultare il loro benefattore e quello sarà sarà il momento del Giudizio Universale.

Abbiamo detto Giudizio Universale e non dibattito universale: il primo sarà alla fine, il secodo ce l’abbiamo già adesso su questa terra. Entro certi limiti si tratta di una cosa normale e necessaria.

Nella nostra condizione di gente ancora per via e distante dalla mèta non possiamo pretendere di godere di un intuito perfetto e infallibile. Perciò la discussione e l’argomentazione sono indispensabili per il progresso umano di tutti e di ciascuno.

Proprio in questo processo però si inseriscono errori di valutazione, non colpevoli ma fastidiosi e si insinuano sabotaggi nel giudizio sempre dannosi anche se talvolta allettanti. Un conto è sbagliare in buona fede, un conto è chiamare bene il male anche se si sa che non è vero. Lì si decide il nostro destino. La posta in gioco è la felicità eterna, oppure l’eterno supplizio.

“Chi ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere?” si interroga san Paolo e poi aggiunge: “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.”

Esso ci è svelato nelle Sacre Scritture. Non si tratta di un pensiero qualunque, ma della Parola di Dio viva ed eterna, quindi impegnativa. Nella Scritture Gesù non si comporta solo da Maestro che spiega le cose, ma assume già un atteggiamento da Re in quanto emana delle leggi nuove. Certamente poi le spiega perché vengano accettate meglio e le vive Egli stesso per dare l’esempio. In ogni modo anche mentre insegna Egli è già Re. Nel Giudizio Finale Egli si rivela Re non solo in quanto legifera, ma anche in quanto amministra la giustizia e sottomette i suoi nemici.

Se il giudizio finale del Figlio dell’Uomo fosse arbitrario allora vivremmo nel terrore della sentenza, ma siccome Gesù ci ha anticipato i criteri del Giudizio, possiamo muoverci di conseguenza. Conoscendo il pensiero di Gesù noi possiamo anticipare il suo giudizio, cosicché il momento dell’incontro con Lui non farà paura.

La meraviglia nel vedere che Gesù intendeva dire proprio così e non diverso ci sarà anche per i giusti, ma non sarà motivo di vergogna e di colpa, bensì di gioia, perché quello che si è creduto nella fede si manifesterà allora nella realtà.

Chi avrà dato fiducia alle parole del Signore, anche senza un riscontro diretto, sarà premiato, chi invece si sarà fidato solo dei suoi giudizi umani, dovrà ricredersi, ma sarà troppo tardi.

Finché ne abbiamo il tempo dunque operiamo il bene, soprattutto verso i nostri fratelli più vicini, ma non dimentichiamoci di nutrire anche la nostra fede alla scuola della Parola di Dio.

 

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