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TESTO Quando?........

Marco Pedron  

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (23/11/2008)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

In questa grande scena, Gesù, il Figlio dell’Uomo, appare come un re orientale con tutta la sua gloria, seduto sul trono, il segno del potere. La sua corte, come i re orientali, sono gli angeli. E poi c’è un giudizio. Ciascuno, cioè, viene messo di fronte alla sua vita, a ciò che ha realmente vissuto, fatto, detto. Gesù non aveva mai giudicato in terra, né lo fa adesso. Dio non giudica, Dio s-vela. Dio ti fa vedere quello che tu non vuoi vedere, quello che tu ti nascondi, quello che tu metti nell’ombra. Il giudizio del re è lo svelare le motivazioni vere di ciascuno, tutto viene a galla, tutto viene s-coperto: non c’è più nessun altare che rimanga nell’ombra. Verrà un giorno in cui tutto apparirà nel suo senso profondo, tutto sarà chiaro e illuminato.

Qui c’è un’insistenza quasi fastidiosa su dei bisogni: fame, sete, essere forestieri, nudi, malati, incarcerati.

Io posso leggere queste parole come una provocazione sociale molto forte. L’amore è molto concreto. L’amore è agire, interessarsi, preoccuparsi, darsi da fare.

Milioni di uomini muoiono di fame ogni anno: può lasciarti indifferente tutto questo? Tu cosa fai? Perché la gente parla, parla, lo sa tutto questo, ma poi non succede niente. Perché poi c’è il lavoro, la spesa da fare, la casa da sbrigare, le pulizie che non finiscono mai, la tv. Insomma ci sono cose ben più importanti di cinquanta milioni di morti di fame.

Un miliardo di persone beve acqua non potabile, contraendo ogni genere di infezione, o ne sono senza. Tu cosa fai? Certo è facile parlare finché il frigo o la dispensa è piena di bevande, o finché appena apri il rubinetto scorre acqua potabile e bevibile. Quando tolgono l’acqua per qualche ora la gente va in escandescienza. E ti arrabbi per così poco? E chi non ce l’ha mai? E chi muore?

I forestieri sono attorno a noi: sono gli immigrati ma anche chi viene da altre città, chi abita qui per lavoro, chi si è trasferito, chi non ha amicizie o compagnie. Tu che fai? Il forestiero è quella persona che conosci e che non ha nessuno con cui andare al cinema, divertirsi, mangiare una pizza. Ma tanto si sa, tu sei a posto: tu i tuoi amici li hai, che t’interessa?

I nudi sono quelle persone che nessuno copre, che nessuno difende, che nessuno prende posizione per loro.

C’è una famiglia molto povera. Il figlio va a scuola ed abita molto lontano e fuori dal paese. Il pulmino potrebbe passare di là ma questo comporterebbe un aumento della spesa. Nessuno si interessa, nessuno denuncia l’ingiustizia, ognuno pensa a sé e quel bambino si fa quattro chilometri a piedi perché tutti altrimenti dovrebbero alzarsi cinque minuti prima e spendere qualche euro in più. E tu cosa fai? Anche perché a tutti capitano situazioni del genere.

Quante persone sono malate nel fisico e nell’anima. Quando sei in ospedale avere qualcuno vicino è come avere una luce nel buio. Quando sei triste, disperato, quando non vedi nessuna via d’uscita, quando sei malato nell’anima, quando vorresti ucciderti o farla finita, avere qualcuno vicino, qualcuno che sta con te, qualcuno che ti ascolta, qualcuno che ti affianca, che non prende paura del tuo dolore, può essere la tua salvezza. Tu puoi fare qualcosa? Sei totalmente estraneo a queste questioni?

Un giovane, morto suicida, ha scritto: “Ero malato dentro e ho tentato il suicidio. In realtà non volevo morire. Ma tutto è continuato come prima, nessuno si è accorto di quanto io stavo male. Così questa volta ho deciso di non tentarci più ma di farlo per davvero. Prima volevo attenzione, amore per vivere, adesso so che non arriveranno e voglio morire”.

Le nostre carceri sono sovraffollate. Ma non è solo questo il dramma. Il dramma è la solitudine, lo squallore di certi ambienti. Il dramma è che è un’onta dalla quale non ti riprendi più. Il dramma è che nessuno ti vuole poi nel mondo del lavoro. Il dramma è che se non eri un criminale in carcere impari a diventarlo. Ma che non possa proprio far niente? Che sia per tutti proprio un destino segnato?

Non saremo giudicati per i nostri pii desideri o pii propositi; non saremo giudicati su quello che avremmo voluto fare se ci fosse stato tempo o se avessimo avuto le possibilità; non saremo giudicati sulle nostre buone intenzioni ma su ciò che abbiamo fatto, sul nostro agire, sul nostro operare.

Un anno dopo Natale c’erano le solite svendite. Trovai un paio di scarpe che mi piacevano proprio tanto. Pur essendo in svendita però costavano lo stesso troppo. E così pensavo e ripensavo: mi piacevano tanto ma... Ritornai il pomeriggio e anche il giorno dopo. Ma ero indeciso. Il pomeriggio ritornai un’altra volta deciso ad acquistarle: le avevano già prese. Non si può passare tutta la vita a pensare! Non si può pensare tutta la vita a chiedersi cosa si potrebbe fare. Bisogna agire, bisogna scendere in piazza, bisogna schierarsi, bisogna operare.

C’è una un aspetto che accomuna le due schiere di genti a cui si riferisce il Vangelo, ma ce n’è anche uno che le differenzia. Entrambe chiedono: “Quando Signore?”.

Quel “quando” vuol dire che nessuno si è mai accorto di amare Dio. Questo vuol dire che Dio è incognito, misterioso, non è visibile. Tutte e due le schiere lo hanno amato o rifiutato senza saperlo. Gli uni hanno amato l’uomo, non si sono posti il problema se era Dio. Gli altri non hanno rifiutato Dio, hanno solo rifiutato l’uomo.

E’ un amore inconsapevole, inconscio. Nessun santo sapeva di essere santo. Chi ama Dio non lo sa.

Se io amassi te per avere la tua ricchezza, tu ti sentiresti usato. Ma che ne diresti se ti amassi per avvicinarmi a Dio? Non ti starei usando? Se ti amo perché così sono un buon cristiano, ma che amore è? Ti sto amando? E se ti amo per sentirmi bene con Dio, perché c’è un comandamento, ma che amore è?

Non si ama mai per arrivare a Dio; non amo te per amare Dio. Perché questo è un amore che ha uno scopo, elevato, ma sempre uno scopo: Dio.

Ti amo perché mi entri nel mio cuore, perché il tuo volto mi penetra dentro, perché mi tocchi il cuore.

La gente si preoccupa troppo di sapere se la sua vita è gradita o no a Dio, se piace o no a Lui, di sapere se è brava o no, se ha fatto giusto il compitino: “Quando Signore?”.

D’altronde: se Dio venisse qui, tutti noi lo aiuteremmo, tutti ce lo “faremmo nostro amico”. Tutti noi vorremmo entrare nelle sue grazie. Tutti noi vorremmo essere accolti da Dio, dal Padre, essere dei bravi figli, dei bravi bambini. Difficile non è amare Dio; difficile è amare l’uomo.

Chi si pone troppo il problema di amare Dio, è perché si vuole sentire bravo, a posto, in regola. Gesù non si poneva mai questo problema. Gesù amava l’uomo. E lì vi ha scoperto Dio.

Una storia racconta: “Arrivo domani. Aspettami. Firmato: Gesù”. Il messaggio mise in subbuglio tutto il paese. Il parroco, il sindaco, i notabili cominciarono a pensare a quello che avrebbero dovuto fare perché l’accoglienza del loro villaggio fosse veramente memorabile per il Figlio di Dio. Fecero un’inchiesta e conclusero che ogni famiglia avrebbe offerto a Gesù quanto aveva di più bello e prezioso. Sarebbe stato un evento indimenticabile e il villaggio avrebbe fatto una figura insuperabile. Il giorno dopo, sulla strada che porta al villaggio videro un povero, coperto di vestiti rattoppati, con le scarpe rotte e la barba lunga. “E’ lui” disse il parroco. “Riconosco il suo stile! Immaginavo che si sarebbe travestito da povero”. “E’ vero!, è vero!” gridarono tutti. E si affollarono intorno al povero porgendo i loro preziosi regali, facendo a gara ciascuno per magnificare il proprio. Con un’aria sinceramente sorpresa, l’uomo infilava tutto sul carro con cavallo che il sindaco in persona gli aveva omaggiato. Alla fine il povero ringraziò e benedisse tutti e partì con il suo carro. La gente del paese tirò un sospiro di sollievo: avevano fatto una figura magnifica, da far invidia agli angeli, predicò il parroco. Verso sera, però, arrivò Gesù: “Chiedo scusa per il ritardo” disse. “Mi hanno trattenuto alcuni impegni...”. “Ma sei proprio Gesù!”, esclamò il parroco, interdetto. “Allora... Quell’uomo...”. “Era un impostore! Si è preso la nostra roba!”, strillarono dalla folla. “Inseguiamolo!”. E lo inseguirono tutti, lasciando Gesù solo lì. E quando lo trovarono lo riempirono di botte e di percosse.

Lo avevano fatto per amore o per fare bella figura di fronte agli occhi di Gesù? Se fai una cosa per Dio in realtà la fai per te. Falla per amore e, senza saperlo, la farai anche per Dio.

Un giorno chiesero a Madre Teresa: “Perché lo fa?”. Si aspettavano come risposta: “Per Dio”. E invece lei sorridendo disse: “Per amore”. “Cioè per Dio”, ripresero. “No, per amore. Perché la sua sofferenza tocca il mio cuore”.

Non si ama l’altro perché Dio lo comanda ma perché ci tocca il cuore, l’anima.

“E se Dio non ci fosse?”, chiesero una volta sempre a Madre Teresa. “Non ho amato per Dio, ho amato per amore di chi mi stava davanti”. E siccome nell’uomo c’è Dio, amando il fratello lei amava anche Dio. Non so mai se chi dice di amare Dio, lo ami davvero. Ma so che chi ama l’uomo, lo sappia o no, ama Dio.

E poi c’è una diversità. Alcuni sono a destra e sono quelli che si salvano. Altri sono a sinistra e sono quelli che non si salvano. Perché?

La destra, per gli antichi, è il segno della luce, della ragione, di chi vede le cose. La sinistra, invece, è segno del buio, dell’inconsapevolezza, del non accorgersi La differenza, allora, è tutta qui.

La differenza sta tra chi si lascia toccare, colpire, segnare da ciò che incontra, da chi gli parla, da chi gli sta davanti e chi, invece, mette una barriera, si protegge, si scherma, si difende. La differenza è tra chi “sente” la vita dell’altro e vi partecipa e chi, invece, ne rimane fuori, non vi entra, non si lascia coinvolgere, non si lascia scombussolare e penetrare da ciò che l’altro vive. Allora si diventa insensibili, indifferenti, schermati, menefreghisti.

La differenza tra le due schiere noi oggi la chiameremo con la parola empatia.

Empatia vuol dire entrare dentro, sentire dentro, percepire, cioè, quello che anche l’altro percepisce. Viene dalla parola greca patos che vuol dire sentire, patire ed indica un sentimento forte e profondo simile alla sofferenza e dalla desinenza in che vuol dire dentro.

Un giovane seminarista non riusciva a prendere la decisione sul suo cammino. Da una parte era molto motivato e anche molto convinto ma dall’altra molto insicuro e impaurito. I suoi superiori lo classificavano come “uno svogliato, uno che non prende decisioni, uno che non vuole faticare, uno che non andrà mai da nessuna parte”. In effetti sembrava proprio così. Ma si percepiva che c’era dell’altro. Con il tempo arrivammo al punto: da giovane si era fidato di un prete e costui “ci aveva provato”. L’angoscia dentro era terribile; e una volta espressa e vissuta gli fu semplice prendere la sua decisione.

Siamo in classe: c’è un ragazzo con un disagio conclamato, antisociale e violento. Tutti i genitori sono furenti: “Non lo vogliamo più; fuori!; se ne deve andare!; o lui o i nostri figli; faremo chiudere questa scuola: non avrete più nessuno; siamo stanchi, non vogliamo sentire altre scuse”. Certo, è un problema serio e complesso. Ma non ti intenerisce il cuore questo ragazzino di otto anni? Che sofferenza avrà dentro? Quanto starà soffrendo? Non possiamo cercare delle soluzioni? Se lo rifiutiamo anche noi, chi lo potrà accogliere? Non hai un cuore?

Guardate come la chiesa ha considerato (e talvolta continua) i separati o i divorziati: gente che non ha più speranza, gente condannata per sempre. Ma non hai un cuore? Ma non ti tocca la storia? Dietro un fallimento in amore ci sono risacche di amore tremende, ferite profonde e a volte non rimarginabili. Ma ti interessa di più la legge o l’amore? Ma non è un appello alla tua anima?

Guardate come la gente considera i carcerati o i balordi: certo è gente difficile, gente da cui non si può andare con il buonismo. Ma c’è un uomo lì dietro! Lì dietro c’era la luce un giorno che la vita poi ha spento. Lì c’era una persona, un cuore. Lì forse c’è ancora un cuore che tenta, come è capace, di pulsare; un cuore pieno di paura, di rabbia, d’odio e d’amore e tutto mescolato insieme. Non ti tocca il cuore?

Guardate come la gente considera chi sbaglia. C’è un politico che era a suo tempo ammanicato con tangentopoli. Ha chiesto scusa, ha pagato, ha cambiato vita. Ma per la gente è sempre “un ladro”. Cioè: le persone non sanno entrare dentro rimangono sempre fuori dalle cose.

L’empatia è la capacità di lasciarsi toccare dalle cose e soprattutto dalle persone.

Noi piangiamo davanti alle scene di un film, ci identifichiamo con i campioni sportivi o con la squadra del cuore (avete mai notato: “Abbiamo vinto” quando vince la squadra del cuore. Ne siamo parte anche noi. “Hanno perso” quando la squadra del cuore perde! Allora non ne siamo più parte).

Ma spesso ci risulta difficile sentire cosa l’altro sente, cosa l’altro vive; non percepiamo il suo dolore, la sua sofferenza o la profondità di ciò che sta dicendo o l’intensità delle sue parole o dei suoi gesti.

Non siamo in sintonia con lui, non riusciamo a gioire e a soffrire con lui: gli siamo fuori e lui non ci è dentro. Ma l’amore non può esserci dove c’è distanza. L’amore è vicinanza, entrare dentro.

L’empatia è un lasciarsi coinvolgere. Non si può entrare dentro l’altro e rimanere uguali. L’empatia ti cambia, ti fa diverso, ti modella, ti fa vedere le cose da altre prospettive. Per questo è pericolosa. Perché l’empatia è far entrare una persona nel tuo mondo, sentirlo, lasciare che lui viva in te, che il suo dolore diventi il tuo, che la sua gioia diventi la tua. Allora cade ogni barriera, allora siamo uniti.

Chi vive così sentendo ogni cosa si sente fratello di tutto: nulla gli è estraneo, perché tutto è in lui e lui è in tutto. Si può sentirsi uniti con le cose, con gli alberi, con gli uccelli, con i fiumi e con i mari, con i bambini e con i vecchi, con chi soffre e chi gioisce, con gli arcobaleni e le galassie. Allora non ci si sente più soli o stranieri in questo universo ma ci si sente uniti. Quando viviamo così noi entriamo in vibrazione con infinite altre cose ed esseri. La vita diventa veramente un’emozione intensa, e non può mai essere noiosa.

Ma per far questo bisogna sapersi un po’ dimenticare di sé, lasciare i propri pensieri e i propri pregiudizi per far entrare l’altro così come egli è e sentirlo per quello che egli è.

Di fronte a quello che mi succede allora io mi devo chiedere: “Ma ciò che vedo, cosa mi fa provare? Mi tocca? Mi richiama qualcosa? Cosa mi fa vibrare? Mi coinvolge?”. “Se sei un uomo, se hai un cuore, come fai a fare finta di niente?

Perché non ti lasci coinvolgere? Perché non lo fai entrare? Perché non ti emozioni?”. E’ terribile vedere come certi genitori di fronte alle conquiste del figlio (un risultato scolastico, con gli amici o sportivo) non si lascino nemmeno toccare. Quando il figlio fa vedere tutto orgoglioso il suo bel “sette” il papà dice: “Puoi prendere di più!”. Quando fai così non lo capisci, non lo fai entrare in te, non senti la sua felicità e lo frustri. Gli dici: “Anche se fai così non va bene!”.

E’ terribile poter osservare come certi uomini maschi siano così indifferenti alle loro mogli. Di fronte all’insoddisfazione, alla tristezza espressa, al pianto, alle occhiaie, alla richiesta di attenzioni, di tenerezza, di affetto, rimangano impassibili, silenziosi, razionali. Non si lasciano toccare, non entrano nella sofferenza dell’altro, rimangono fuori. Ma che rapporto volete che ci sia fra queste persone che rimangono fuori l’uno all’altro?

E’ terribile il giudizio di certa gente sulle persone: “Quello è così di famiglia; quello non cambierà mai; quello è un buono a nulla; quello è sempre stato così; cosa vuoi pretendere da quello; quello non ha possibilità; quello non si impegna; quello ò uno scansafatiche; quello è un poco di buono; quello è una testa calda...”. Ma non hai un cuore? Ma come fai ad essere così superficiale? Ma non ti fa male? Non ti fa intenerire? Ma cos’hai una pietra? Ma sei vivo? Ma puoi dirti ancora uomo?

Non solo Gesù cambiò la vita e il cuore a tante persone ma anche le persone influirono sul suo cuore. Quando tu ti sei lasciato toccare dal dolore del mondo smetti di giudicare e capisci che tutto ha un senso; quando tu hai lottato insieme per le conquiste della gente, hai gioito per i traguardi raggiunti, hai sofferto con loro e sudato lungo la salita, le tue rigidità si sciolgono. Quando tu sei stato dentro all’anima di un uomo, e l’hai sentita, tu non puoi più essere lo stesso. Tutto questo ti cambia, ti converte, ti fa diverso, ti fa più umano (o più divino direbbe questo vangelo!). L’entrare di Gesù dentro la vita di tanti uomini non solo convertì quelle persone ma cambiò anche lui.

Questo vangelo è anche un forte invito per me a soddisfare i miei bisogni.

Anch’io ho fame e sete e mi devo dar da mangiare. Chi di noi non ha fame d’amore? Chi di noi può dire: “Io basto a me stesso! Io non ho bisogno di nessuno!”. Solo un pazzo, solo un anestetizzato.

Allora io devo tener sempre in conto del mio bisogno di ricevere amore: coccole, tenerezza, affettività, qualche complimento, stare con persone che mi amano, che mi apprezzano, che mi stimano, che hanno fiducia su di me.

L’amore è la ricarica per il telefono, la benzina per l’auto, il cibo per il corpo. Non se ne può stare senza. Non posso lavorare, faticare, correre sempre, e credere da illuso di poter andare avanti senza ricarica. Ascolta il tuo bisogno di mangiare e di bere amore. Cosa fai per te per ricaricarti? Cosa fai per te per ricevere ciò di cui hai bisogno?

Anch’io mi sento forestiero e incarcerato. Chi di noi non si sente solo? Chi di noi in certi giorni non si sente di vivere in un mondo ostile, estraneo a tutti. Allora io ho bisogno di accoglienza.

Ci si sente da soli perché non ci si apre con nessuno, ci si tiene tutto dentro. Ma se c’è qualcuno che può accogliere il nostro animo, il nostro dolore, allora si è in due, allora non si è più soli.

Quando si sta male verrebbe da starsene ancor di più da soli, da chiudersi.

Ma quando stiamo male, quando soffriamo, quando siamo feriti, quando ci sentiamo giù, abbiamo invece bisogno di accoglienza, di qualcuno che ci ospiti, di qualcuno che ci venga a trovare.

Cosa faccio quando soffro? Mi tengo tutto dentro? Perché non voglio accettare di aver bisogno di accoglienza? Perché sono così orgoglioso che preferisco star male piuttosto che farlo vedere? Soddisfo al mio bisogno di aprirmi, di farmi ospitare nel cuore e di farmi abbracciare dall’amore dell’altro?

Perché è vero che a volte siamo soli ma è anche vero che non vogliamo far entrare nessuno. E ‘ vero che gli altri non ci amano ma è altrettanto vero che spesso non ci facciamo amare. Un uomo dice sempre: “Io certe cose me le tengo per me e non le dico a nessuno”. “E allora sta male!”.

Anch’io a volte mi sento nudo. Quando mi guardo allo specchio dell’anima e mi vedo per quello che sono, nudo, spoglio, al di là di tutte le maschere e i paraventi che uso per non vedermi, mi viene un senso di rifiuto per ciò che sono. Non mi vorrei così; mi vorrei diverso; mi vorrei migliore; vorrei non vivere certe cose e non fare certi pensieri. Allora mi devo vestire con la mia accettazione. Allora mi devo amare e accogliere per quello che sono: “Sono questo, vado bene così. Mi voglio bene anche se sono così, non mi rifiuto”. E’ così difficile a volte accettarsi per quello che si è! “Ah padre, - dice un uomo - io mi voglio tanto bene è che vorrei essere diverso!”. Ti vuoi proprio tanto bene!!!

Anch’io mi sento malato e sento di aver bisogno di aiuto. Sento che anch’io ho bisogno di imparare, di andare da qualche “medico” perché mi insegni a vivere e perché mi dia luce sulle mie ombre.

Il mio cuore a volte si irrigidisce e non voglio provare certi sentimenti: allora ho bisogno di un medico. La mia mente a volte continua a ripetere certi schemi: allora ho bisogno di un medico. La mia anima non riesce a vivere, a gioire, a stupirsi: allora ho bisogno di un dottore. Il mio spirito a volte non perdona: allora ho bisogno di un prete. Perché non posso pensare di essere Dio e di far tutto da solo. Non posso pensare di avere la scienza infusa e di bastare a me stesso. Non posso essere così stupido da credere che io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno.

Cosa faccio per farmi aiutare? Come soddisfo il mio bisogno di un aiuto, di qualcuno che mi visiti, che mi aiuti a migliorarmi, a cambiarmi, ad essere me stesso? Faccio qualcosa? Frequento degli incontri, delle persone?

Amare se stessi è, dice questo vangelo, dar ascolto e risposta ai propri bisogni. Quando amo me stesso e non mi nascondo ciò di cui ho bisogno, amo il Dio che mi abita. Vivere è agire. Sono i miei bisogni e non posso pensare che gli altri mi leggano nel cervello. Sono i miei bisogni e tocca a me soddisfare i miei bisogni.

Il vangelo chiude: i maledetti al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna.

Poi il Signore non dice più nulla: questo è tutto il suo vangelo. Non c’è altro da dire. Questo è tutto! Vivi così e non ti preoccupare d’altro.

Poi il Signore non dirà più nulla perché tutto, in quel giorno è stato detto. Poi tutto sarà finito, tutto sarà scritto. Se avrai amato o se avrai posseduto... Se avrai donato o se avrai trattenuto... Se avrai finto di vivere o se ci avrai provato... Tutto sarà stato scritto. Poi non ci sarà più nulla. L’amore rimarrà per sempre, il resto sparirà per sempre, non ci sarà mai stato. Margherita di Yourcenar: “Verrà un giorno in cui tutte le leggi spariranno e rimarrà solo la legge dell’amore”.

Pensiero della settimana

“Quando? Dove? Perché? Come?”. “Ogni volta...”.

 

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