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TESTO Commento su Luca 2,22-40 (forma breve Luca 2,22.39-40)

mons. Ilvo Corniglia

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (28/12/2008)

Vangelo: Lc 2,22-40 (forma breve Lc 2,22.39-40) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,22-40

22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

31preparata da te davanti a tutti i popoli:

32luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Nel prolungamento del Natale la Chiesa oggi celebra la Santa Famiglia. La nostra attenzione d’amore, senza allontanarsi dal Bambino di Betlemme, si allarga ad abbracciare i suoi “genitori”: Maria, la madre vergine e Giuseppe, lo sposo di Maria e padre adottivo di Gesù. Padre vero: per l’unità profonda che lo lega a Maria, il figlio di lei diventa veramente figlio suo, che egli ama con genuino amore paterno.

Una famiglia religiosa, osservante della Legge di Dio, profondamente credente.

Questo brano di Vangelo ci presenta Maria e Giuseppe che, in obbedienza alla Legge, compiono il rito della “presentazione” del primogenito al Tempio. Prossimamente, la domenica 2 febbraio, celebreremo questo momento particolare della vita di Gesù, a quaranta giorni dalla nascita, riflettendo anche sull’esperienza dei genitori: dalla gioia trepida, legata alla scoperta di aspetti nuovi nella figura del loro bambino, al dolore intimo, provocato dall’annuncio del suo tragico destino.

Nei brani biblici della Messa possiamo cogliere un parallelo fra due coppie credenti, due famiglie visitate da Dio in modo singolarissimo. Il brano della Genesi e quello della lettera agli Ebrei (I e II lettura) sottolineano la fede di Abramo e anche di Sara. Fede che è fidarsi di Dio e della sua parola, non dubitare che Egli realizzerà la sua promessa di dare loro un figlio con una numerosa discendenza. E ciò in condizioni che sembrano smentire clamorosamente tale fede: i genitori sono anziani e la madre sterile. Isacco, il figlio della promessa di Dio e della fede dei genitori, è annuncio e figura di Gesù, donato in modo ancor più miracoloso a Maria e allo sposo di lei, Giuseppe. Due storie, due esperienze familiari illuminate e spiegate dalla fede.

Il brano evangelico, nella sua conclusione, menziona il ritorno della famiglia “in Galilea, alla loro città di Nazaret”. Un paese che nell’A.T. non viene mai nominato. Qui si svolge, nell’umile ritmo di una vita ordinaria, l’esistenza di una famiglia non benestante, ma di modeste condizioni, che viveva del lavoro quotidiano e alle prese con molteplici problemi. E’ l’esperienza di innumerevoli nuclei familiari, oggi, che con modalità diverse rivivono la condizione difficile di Maria, di Giuseppe e del Bambino. Ma l’apparente grigiore è rischiarato da una luce vivissima: “Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui”. Lo sviluppo integrale del fanciullo all’interno di questa famiglia si snoda sotto lo sguardo compiacente di Dio ed è opera della sua “grazia”, cioè del suo amore di predilezione.

Ciò che caratterizza, soprattutto, questa famiglia è la centralità di Gesù. E’ Lui che polarizza tutta l’attenzione e l’affetto di Maria e di Giuseppe. In questa famiglia uno dei tre è Dio stesso in mezzo a loro: Dio sotto il volto umano di un bambino che essi hanno accolto e custodiscono, di un ragazzo che sotto la loro guida cresce e diventa adulto. L’affetto paterno di Giuseppe, allora, e la tenerezza materna di Maria per quel figlio si mescolano e si confondono con lo stupore, la gratitudine e l’adorazione della creatura verso il proprio Creatore, che è arrivato al punto di convivere gomito a gomito con loro, al punto di aver bisogno di tutto, come ha bisogno un figlio dei suoi genitori. Tre persone unite dal legame profondissimo della fede, cioè dalla relazione con Dio, e fuse insieme dall’amore. Amore che viene loro partecipato in modo invisibile ma reale da quel bambino, da quel ragazzo che è Dio con loro, il nodo vitale che li stringe e fa di Maria e di Giuseppe due persone innamorate una dell’altra e incredibilmente unite.

Ecco lo specchio su cui ogni famiglia cristiana è chiamata a guardarsi, a confrontarsi, riscoprendo continuamente ciò che essa è e ciò che deve essere: un “mistero d’amore”, sul modello della famiglia divina, la Trinità. La famiglia, appunto, come “comunità d’amore”. Non un amore qualunque, ma trinitario: dove cioè l’amore che circola al suo interno e lega i suoi membri deriva dall’amore che arde nel seno della Trinità e imita i rapporti tra le Persone divine. Sulla terra la famiglia di Nazaret ha realizzato questo modello divino in misura perfetta.

La famiglia, quindi, svolge un ruolo insostituibile: il Figlio di Dio, quando si è incarnato, si è circondato di una famiglia. Ha avuto bisogno di una famiglia dove essere nutrito, allevato, educato, aiutato a crescere in umanità. Questa famiglia l’ha trovata in Maria e Giuseppe. Il Figlio di Dio, abituato al seno del Padre, divenuto uomo, anzi bambino, continua a sperimentare la tenerezza del Padre nell’attenzione amorevole di sua madre Maria e del suo padre adottivo Giuseppe. Essi sono stati per il Bambino Gesù il “sacramento”, il segno visibile e toccabile dell’amore di suo Padre.

Non dovrebbero essere così anche i genitori per i figli? Collaborano con Dio non solo nel generare la vita, ma nell’aiutarla a crescere e nel far toccare ai figli quasi con mano l’amore sconfinato del Padre. Maria e Giuseppe hanno insegnato a Gesù non solo a camminare e a parlare, ma anche a pregare; gli hanno parlato di Dio, lo hanno educato nella vita religiosa. Così i genitori, se sono credenti, sanno che non esiste un tesoro più grande, un’eredità più favolosa di questa da trasmettere ai figli: dopo il dono della vita, dare loro ciò che è più grande ancora, cioè Dio, educandoli nella fede. Ma tutti i membri della famiglia hanno il compito di annunciare il Vangelo, anche i figli nei confronti dei genitori. Come nella famiglia di Nazaret Gesù, divenuto adolescente, con gesti e parole che potevano anche sorprendere educò alla fede i suoi genitori.

La famiglia, quindi, comunità dove tutti si lasciano evangelizzare e a loro volta evangelizzano. Dove ci si sostiene e ci si incoraggia a vicenda nel cammino della fede. Dove si prega insieme e si vive il Vangelo irradiandolo anche all’esterno e aprendosi alle altre famiglie. Dove i rapporti sono spiegati e permeati dall’amore. Cioè ognuno, superando senza tregua ogni forma di egoismo e capriccio, mette avanti a tutto l’impegno di far felice l’altro. Un amore che si fa attenzione e rispetto incondizionato verso i membri più deboli, in particolare i bambini e gli anziani.

Allora, ciascuno impara a gustare il sapore di quella famiglia più grande che è la Chiesa e nella Chiesa la parrocchia, “famiglia di famiglie”. La parrocchia non può essere senza le famiglie, chiamate a diventare sempre più protagoniste nella comunità cristiana e nell’attività pastorale.

Siamo consapevoli che “scommettere” sulla famiglia, fondata sul matrimonio, è “scommettere” sul futuro della Chiesa e della società? Come attiviamo le nostre responsabilità civili ed ecclesiali a questo riguardo?

I genitori sono convinti che il loro impegno prioritario, se desiderano seriamente il bene e la felicità dei figli, è investire il meglio di sé e delle loro risorse nel rapporto fra loro due? I figli, infatti, sia fanciulli che giovani, non hanno bisogno semplicemente di genitori che li amino, ma prima ancora di genitori che si amino. E’ questo il primo amore che si offre ai figli. Essi nella vita non ricorderanno tanto se la casa era bella, se ogni loro capriccio veniva accontentato..., ma se con i loro genitori sono stati felici. Felici perché, non solo amati individualmente, ma perché hanno respirato un’atmosfera d’amore, che - pur faticosamente e magari anche con qualche insuccesso - persisteva e riprendeva a crescere.

Invece che guardare con insistenza ai problemi e ai mali che affliggono la famiglia, proviamo a pensare al sogno che Dio fa su di essa, sulla nostra famiglia, e cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi e le potenzialità da sviluppare.

Rinnoveremo la preghiera e l’impegno perché la famiglia diventi sempre più Chiesa (cioè comunità di persone che, inserite nella comunità cristiana, credono, pregano, amano) e la Chiesa diventi sempre più “famiglia” (cioè comunità dove i rapporti sono sempre più fraterni e ognuno si sente a casa, in famiglia appunto).

Ma perché anche non guardare a ogni tipo di convivenza (scuola, condominio, ambiente di lavoro etc.) come a una famiglia e impegnarci perché diventi veramente tale?

Cosa manca e quali passi concreti sono necessari perché la mia famiglia diventi sempre più Chiesa e perché la mia parrocchia diventi più famiglia?

 

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