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TESTO Far fruttificare i doni ricevuti da Dio

padre Antonio Rungi

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/11/2008)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Celebriamo oggi la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, penultima dell’anno liturgico. La parola di Dio ci immerge nel tema dei novissimi e ci fa riflettere sulle ultime cose, sulla Parusia. E’ soprattutto san Paolo Apostolo a riportarci alla realtà della nostra vita e della nostra esistenza terrena, nell’attesa della venuta del Signore. Nel brano della seconda lettura, tratto dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési, ci parla esattamente del giorno del Signore, inteso come giudizio universale.

C’è nel brano un chiaro invito alla vigilanza nell’attesa di questo incontro con il Signore. Se il discorso della fine del mondo riguarderà altre persone ed altre generazioni, certamente l’invito è rivolto a noi per prepararci degnamente al passaggio all’eternità, che avviene con la nostra morte corporale. In questi giorni in cui si parla tanto della morte e si auspica la morte anticipata per Eluana Englaro, noi vogliamo pensare a questo ultimo atto della nostra vita in sintonia con quanto ci chiede di realizzare la parola di Dio, giorno dopo giorno, nella sobrietà e nella verità. La nostra vita di fede deve essere una vita attiva e dinamica, nel senso che non possiamo addormentarci sulla nostra condizione, a volte, non chiara espressione di autentica religiosità. C’è un rischio evidente di assuefarci alla normalità, senza trovare e ritrovare quegli stimoli interiori che ti spingono ad agire e che ti motivano verso conquiste superiori.

Il Vangelo di oggi calza a proposito, proprio perché parla della fruttificazione dei doni e dei talenti ricevuti. Ad ognuno Dio ha donato qualcosa e forse più di qualcosa, non il minimo indispensabile, ma molto di più in tutti i campi, dalla salute all’intelligenza, dalla spiritualità all’umanità. Talenti di ogni genere che rischiano di atrofizzarsi per immobilismo interiore e spirituale, per paralisi più gravi della stessa paralisi fisica. Noi abbiamo il dovere di lavorare per la conquista del regno di Dio e per la sua diffusione tra noi. La parabola dei talenti ci deve aiutare ad assumere un comportamento più responsabile riguardo alla fede da vivere e trasmettere non solo con la parola ma con l’esempio della vita. Non possiamo disattendere ai nostri molteplici compiti nell’ambito religioso e della vita cristiana. La nostra risposta è la coerenza e la fedeltà. Non si può predicare il vangelo senza praticarlo, non possiamo giocare al risparmio e alla riduzione delle prestazioni in campo spirituale, limitando di fatto i tempi e le opportunità da dedicare alla vita interiore, ma anche alla carità operosa. Approfondiamo il brano del Vangelo, perché ci offre una ventaglio di grandi prospettive per bene operare. Il premio di Dio non può prescindere dal reale impegno in campo morale e personale per realizzare la propria vocazione alla vita cristiana e alla vita della grazia. Questo deve essere chiaro, soprattutto per chi pensa a vivere sull’eredità del passato, sul bene già fatto e benfatto dei tempi ormai andati della nostra esistenza terrena. Dobbiamo sempre essere vigili ed operativi per realizzare un grado maggiore di perfezione e di adesione alla volontà di Dio. Questo richiede fedeltà nei propri compiti e risposte sistematiche alla propria e personale chiamata alla santità. Se non facciamo questo e ci adagiamo su situazioni di inefficienza spirituale, rischiamo la condanna e il rifiuto da parte di Colui che è giusto giudice e non fa torto a nessuno, in quanto i suoi metri di giudizio e di valutazione vanno ben oltre il nostro modo di valutare e giudicare. Dio guarda il cuore, la generosità, l’impegno, la laboriosità. Non si può restare con le mani tra le mani, né oziare nel campo spirituale, ma è sempre necessario fare opera di avanzamento nel bene, senza contare sul patrimonio spirituale o di opere buone fatte in precedenza. Il talento va investito almeno in piccolo perché fruttifichi nel poco, anche se quel poco è il risultato di paura, indecisione, assenza di spinta a migliorarsi e a crescere in santità di vita.

In questa prospettiva e seguendo la logica dell’attivismo anche in campo religioso ci risulta di grande efficacia quanto leggiamo nella prima lettura di oggi, il cui testo è tratto dal libro dei Proverbi, uno dei tanti libri sapienziali dell’Antico Testamento, ricco di motivi spirituali e morali. E’ evidente che il modello della donna forte e laboriosa, onesta e generosa, che cura la sua bellezza interiore è l’esempio di vita per quanti hanno a cuore le sorti della propria terrena ed eterna felicità. Di queste donne, ma anche uomini, ce ne sono tanti nel mondo, che effettivamente traducono in impegno di vita cristiana ciò che la Parola di Dio pone sul cammino della propria mente e dei propri sentimenti.

La nostra preghiera sia quindi questa: O Padre, che affidi alle mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della grazia, fa’ che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza; rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo giorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e così entrare nella gioia del tuo regno. Amen.

 

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