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TESTO Credere e affidarsi

padre Gian Franco Scarpitta  

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa I) (02/11/2008)

Vangelo: Gv 6,37-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Sebbene la si voglia rinnegare e scongiurare con tanti ricorsi ed espedienti, la realtà della morte ci è inevitabile e non possiamo sfuggirle. Anzi, l’uomo si trova sempre a tu per tu con quello che può a ben diritto definire un mistero caratterizzante la sua vita e che in ogni caso lo rende consapevole della fine del suo ciclo biologico di esistenza, e una delle prerogative e dei vantaggi che la realtà del decesso gli procura è quello di interrogarsi, mettersi in discussione, tentare di comprendere.... Perché la morte? Come interpretare questo fenomeno inevitabile e talmente diffuso?

E in queste domande già si trova l’anticamera della fiducia e della speranza. Il morire medesimo, come realtà inderogabile, aiuta insomma a sperare, perché accresce la volontà dell’uomo di dischiudersi verso soluzioni che vadano oltre la propria finitudine, quindi di aprirsi alla sfera del sacro e del divino.

Alcuni pensatori hanno interpretato la fede nella vita ultraterrena come un espediente di consolazione a cui l’uomo fa ricorso nel tentativo di alienarsi per fuggire la realtà del trapasso: si tratterebbe di una risorsa illusoria propria di chi non sa accettare di dover morire, una sorta di fuga e di mera consolazione; ma le cose non stanno affatto così: lo spirito umano, credente o non credente, di fronte alla prospettiva della morte ha piuttosto l’occasione di coltivare una speranza e di realizzare una fiducia metastorica, perché proprio attraverso queste esperienze luttuose l’uomo scopre di dover trascendere se stesso per aspirare al divino e guardare oltre i propri orizzonti.

In parole povere, la morte ci colloca davanti a Dio e ci fa pensare, perché attraverso questi eventi Dio ci interpella ci fa uscire da noi stessi per aspirare a lui e noi scopriamo che di fronte alla realtà del trapasso non possiamo fuggire, non possiamo deprimerci né disperarci, ma nemmeno rassegnarci ad un vuoto destino, ma occorre riscoprire il dono della fede.

E’ su questa virtù infatti che si appoggia la speranza e in essa trova fondamento; la fede dal canto suo ci chiama all’apertura di noi stessi e alla fine delle nostre preclusioni perché possiamo credere ed esternare fiducia incondizionata nel Mistero della vita che attribuisce sempre un senso alla morte.

Credere e affidarsi. Questo è l’atteggiamento più risoluto e consono che garantisce consolazione e fortezza di fronte alla tristezza che comporta il trapasso; esso deriva dal dono della Rivelazione nel quale Dio interviene a nostro favore per illuminarci che in Lui la sola dimensione possibile è la vita e che Egli stesso è artefice e garante di vita eterna. Credere in Dio e affidarci costantemente alla sua Parola senza opporre resistenza ci indice a scoprire che la morte non esiste ma che tutti siamo destinati alla gloria e alla vita eterna, soprattutto nella centralità dell’evento Gesù Cristo che ha vinto la morte avendone ragione nell’uscire dai meandri del sepolcro.

In Cristo risuscitato abbiamo la certezza che anche noi siamo destinati alla risurrezione perché la morte non ha più rilevanza né ragion d’essere nel nostro vivere quotidiano; affidarsi alla sua Parola e rinnovare la nostra adesione a Lui tutti i giorni ci porta a riscoprire la verità di Dio che sulla croce ha consegnato se stesso per il riscatto dell’umanità pagando con sangue umano i peccati e le miserie dell’uomo, che è morto alla pari di tutti noi per affrontare egli medesimo la realtà del trapasso che noi tutti tendiamo a schivare ma che dopo tre giorni è risuscitato nel suo corpo glorioso per donare a tutti la vita. Come afferma Paolo, Cristo risuscitato non muore più, la morte non ha più potere su di lui e coloro che a lui si affidano sono destinati alla stessa eredità di vita senza fine, di vita eterna.

Accostandosi al sepolcro dell’amico Lazzaro defunto ormai da quattro giorni, Gesù lo riporta alla luce nonostante il miasma cadaverico, le bende e il sudario, ma non prima di aver pianto con Marta per condividere con lei la realtà legittima del dolore umano che coglie tutti alla sprovvista in ogni circostanza luttuosa, ma soprattutto non prima di aver qualificato se stesso come “la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà”. Ciò è sufficiente a spiegare che anche prescindendo dall’uscita materiale dalle tombe Cristo è la Vita che si dona a tutti, il Dio incarnato per il quale tutti vivono e in virtù del quale la vita “non è tolta ma trasformata” (liturgia dei defunti).

In lui siamo anche noi destinati a vivere per sempre e già adesso i nostri defunti, che oggi commemoriamo unitamente, vivono l’eternità della sua gloria di Signore per il quale ogni lacrima e ogni amarezza sono definitivamente sconfitte.

Come dicevamo prima, unica garante di questa verità di vita eterna è la fede, la virtù nella quale risolutamente ci si affida al mistero per vivere la pace e la consolazione nonostante la tristezza del lutto dei nostri cari; in forza della nostra fede occorre che non poniamo obiezioni a che Dio ci doni la prospettiva della vita oltre la morte e che non gli poniamo resistenza con le nostre ritrosie e con le nostre preclusioni e recalcitrante in nome di una ragione assolutistica inconcludente per la quale ci servono prove concrete che non arriveranno mai: basta affidarsi, aprire il cuore alla Parola e concepire davvero la presenza e la promessa di Dio e appunto la nostra fede nel Signore risorto consentirà di avvertire quanto i nostri cari parenti, amici, conoscenti che ci hanno preceduti siano ancora con noi e ci accompagnino: essi sono risorti attualmente per la gloria eterna che hanno già raggiunto o che raggiungeranno successivamente dopo il dono la possibilità di un’ulteriore purificazione intermedia (Purgatorio), quest’ultima da vedersi ancora una volta come un dono del Dio che tutto dispone affinché si possa giungere a Lui; nella preghiera costante e nelle opere di carità sincera e di amore verso gli altri abbiamo la possibilità di coltivare e accrescere il suddetto dono della fede per avere la certezza della presenza reale dei nostri fratelli defunti accanto a noi e intanto, sempre l’esercizio di queste virtù, ci permette di instaurare una comunione con loro che sia espressiva delle reciproche attenzioni oranti che noi abbiamo con loro e loro con noi. La comunione della fede e dell’amore con cui spiritualmente interagiamo con loro.

Se la realtà della morte ci mette a confrontoo con noi stessi e con lo stesso Mistero e ci invita a prevaricare lo nostre consuete attese, Cristo Risuscitato ci viene incontro egli stesso affinché i nostri interrogativi trovino risposta immediata e la nostra vita immediatamente felice.

 

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