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TESTO Commento su Matteo 22,34-40

Suor Giuseppina Pisano o.p.

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/10/2008)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

“In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova...”.

Il passo del Vangelo di oggi ci presenta ancora un dibattito, uno dei tanti, che il Maestro affronta nella fase conclusiva della sua esistenza terrena; egli, infatti, è a Gerusalemme, e, di lì a poco verrà arrestato e condannato, proprio, da quanti ora lo interrogano con un finto interesse.

Per cinque volte, Gesù accetta di entrare in dialogo con questi presunti “teologi”; persone, cui non interessava la verità, ma, soltanto, di trovare un pretesto valido per eliminare questo Maestro, che disturbava la loro ipocrisia, e, che, presso il popolo, metteva in crisi la loro credibilità e autorità.

Una lunga disputa, questa tra Gesù e i farisei, sadducei e dottori della legge, una disputa, in alcuni casi dai toni accesi, come leggiamo, nell’ultima parte del capitolo 23 del racconto di Matteo, là dove Gesù si rivolge ai suoi interlocutori con espressioni di fuoco: “ Guai a voi, Scribi e farisei, ipocriti, dice il Maestro, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini, infatti, voi non vi entrate, e lo impedite anche a coloro che vorrebbero entrarvi....guai a voi, guide cieche...guai a voi...che pagate la decima sulla menta, sul cumino e sull’aneto, e poi trascurate i precetti più gravi della legge, come la giustizia, la pietà e la fede....Guai a voi....poiché siete come sepolcri imbiancati, che all’esterno appaiono belli a vedersi, e dentro, invece sono pieni di ossa di morti e di ogni putredine...volete apparire giusti, davanti agli uomini, ma, all’interno, siete pieni di ipocrisia e di iniquità....” (Mt 23,13-28).

E’ in questo contesto che, un “ dottore della legge”, un esperto, dunque, pone la domanda su quale sia il comandamento principale, quello fondamentale, nel lungo, complicato elenco di obblighi, che i migliori conoscitori, giuristi esperti della legge giudaica, avevano catalogato in un elenco di circa 613 precetti, ordinati tra loro secondo una gerarchia di valori, che ne determinava l’importanza, talvolta con pedanteria esasperante, e, sempre, con uno spirito legalitario, arido e freddo che niente, o poco, aveva a che fare col fine principale della legge, quella, antica e semplice, che Dio aveva dato, sul Monte, a Mosè, perché la trasmettesse al popolo: dieci precetti, guida sicura nella vita.

«Maestro, chiede il dottore della legge, quale è il più grande comandamento della legge?».

La risposta di Gesù, è semplice, egli, da buon israelita, non può che rifarsi ai testi dell’Antico Testamento, in cui è scritto:” Ascolta, Israele, tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze.” (Dt 6,5) e, ancora:” Ama il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18); precetti che, nella sua risposta, il Maestro mostra strettamente uniti, in una logica che non è quella giuridica, ma è la logica dell’amore, che anima tutto il rapporto tra l’ uomo e Dio, e tra l’uomo e il suo prossimo, chiunque egli sia.

E’ questa la novità che Cristo porta, una novità, che non abolisce la legge, ma la vivifica con un atteggiamento nuovo, che nasce dal cuore: l’amore, che illumina ed avvolge ogni cosa, l’amore, dono di Dio, che abilita l’uomo a riamarlo e ad amare, in lui, ogni altro uomo, ispirando, di volta in volta, nelle diverse situazioni della vita, gesti di bontà e di solidarietà, senza che sia necessario formulare una miriade di precetti.

C’è, dunque, in sostanza, un unico comandamento dal quale ogni altro precetto prende forma, un comandamento che si esprime e si attua in due direzioni, tra loro complementari: quella verticale, dell’amore per Dio, il Primo in assoluto, e l’altra, orizzontale, verso il prossimo, che di Dio è immagine; tutto il resto, se non è riconducibile al comandamento dell’amore, è solo espressione della volontà di uomini, che vogliono dominare e asservire altri uomini.

Il discorso di Gesù è chiaro, egli richiama alla memoria dei suoi interlocutori, quanto contenuto nei libri della Legge e dei Profeti, e, con ciò, indirettamente, esorta a tener vivo nella mente e nel cuore il ricordo dell’amore di Dio per il suo popolo, un amore, che pervade tutta la Storia, e che la Scrittura, ripetutamente celebra, nelle sue pagine più belle: dal profeta Osea, al sublime Cantico dei cantici, che descrive la profondità e totalità di un amore di comunione, che si esprime nella sponsalità.

Ancora, l’amore di Dio per il suo popolo e per ogni uomo, lo troviamo descritto, nelle pagine del profeta Isaia, in quel passo stupendo, per fare solo un esempio, in cui si legge questa consolante dichiarazione:” Si dimentica, forse, una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il frutto delle sue viscere? Ebbene, anche se questa donna si dimenticasse, io non ti dimenticherò mai!”. ( Is 49,15)

L’uomo, dunque, ha la certezza di essere amato, di vivere avvolto dall’amore di un Dio che è padre e madre, che è sposo, nel suo incessante donarsi, e, solo, attende di esser riamato, perché l’amore, richiama amore, ma non di parole; infatti, il sentimento, se non si concretizza nelle opere, diventa inutile, vuoto, sentimentalismo.

Ed ecco la presenza del prossimo, accanto a noi, prossimo da guardare alla luce della parola di Dio che dice:” Amerai il prossimo tuo, come te stesso...”.

A questo comandamento antico, Gesù aggiungerà una modalità nuova, quando, alla vigilia della sua morte, nel lungo discorso di addio dirà ai discepoli: ” Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.” (Gv 15,12); e, la misura dell’amore di Cristo, lo sappiamo bene, è l’offerta della sua vita per la redenzione di tutti e di ognuno; infatti, finché ci sarà un uomo sulla terra, l’offerta del Cristo si ripeterà per lui: “Nessuno ha un amore più grande di questo, ci ripete il Maestro: dare la vita per i suoi amici. ”. (Gv 15,13), e Lui, per primo, ha dato l’esempio.

In precedenza, al termine di quell’ultima cena, Gesù aveva compiuto un gesto, che aveva sconcertato i discepoli, quando, levatosi da mensa, e cintosi di un asciugatoio, preso un catino aveva lavato i piedi ai suoi; era un gesto da servo e non da signore, ma era il segno concreto dell’amore, che avrebbe dovuto tener uniti tra loro tutti coloro che si fossero messi sui suoi passi: un vincolo d’amore, capace di piegarsi sui bisogni dell’ultimo, per risanarlo e consolarlo.

“ Voi mi chiamate maestro e Signore, e dite bene, son le parole del Cristo in quella circostanza, perché lo sono. Se, dunque, io, il Signore e il maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato, infatti, un esempio perché lo facciate anche voi.” (Gv 13,13-15)

Ed è questo amore attento, generoso e operoso, la misura dell’autentico amore di Dio; infatti, come ammonisce, ancora, Giovanni:” Se uno dice: io amo Dio, e poi, odia suo fratello, è mentitore; chi, infatti, non ama il proprio fratello, che vede, non può amare Dio, che non vede.....chi ama Dio ami, anche, il suo fratello. ”. (1Gv 4,19-21)

E’ questo il comandamento che arricchisce e rende bella la vita, una vita autenticamente umana, perché sostenuta dalla vita stessa di Dio che è amore. (1Gv 4,16) .

Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

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