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TESTO Commento su Matteo 22,34-40

mons. Ilvo Corniglia

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/10/2008)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Un nuovo attacco a Gesù da parte degli avversari, in forma sottilmente polemica: “Maestro, nella Legge qual è il grande comandamento?”. I rabbini avevano raccolto la legge di Mosè in 613 comandamenti: 365 in forma negativa (“non devi”), tanti quanti i giorni dell’anno, ed erano considerati lievi. I rimanenti 248, in forma positiva (“devi”), tanti quanti le membra del corpo umano secondo la concezione di allora, ed erano ritenuti gravi. Con questi numeri si voleva indicare simbolicamente che l’uomo nella totalità della sua persona, nell’intero arco della sua esistenza e nello spazio della sua attività deve essere tutto proteso verso Dio e pronto ad attuare la sua volontà, espressa nella Legge. I maestri ebrei cercavano anche, nella serie interminabile dei precetti, di individuarne uno che in qualche modo li riassumesse tutti e così, osservandolo, si potesse osservare tutta la legge. Per es. il famoso maestro Hillel, di poco anteriore a Gesù, aveva sintetizzato il contenuto della Legge nel “Non fare al prossimo tutto ciò che è odioso a te...”.

Nella sua risposta Gesù richiama due testi della legge di Mosè.

Anzitutto Dt 6,5. Queste parole fanno parte della celebre professione di fede (“Ascolta, Israele!”) che gli ebrei fedeli ancora oggi recitano più volte al giorno. Quale risposta al suo amore Dio esige un amore personale e integro, senza riserve: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Il “cuore, l’anima, la mente” non designano tre facoltà differenti, ma l’uomo intero secondo dimensioni diverse: il “cuore” è il centro profondo della sua persona, dove nascono gli affetti e maturano le decisioni; l’“anima” indica l’intera sua esistenza sostenuta e permeata dal soffio vitale; la “mente” esprime la sua attività intellettuale. Tutta la realtà dell’uomo, tutto il suo essere Dio lo vuole interamente ed esclusivamente per sé. Basti ricordare il “Rendete...a Dio quello che è di Dio” (Vangelo della scorsa domenica). “Questo è il grande e primo comandamento”. Tale affermazione di Gesù è incontestabile e certamente condivisa dal suo interlocutore.

A questo punto, però, aggiunge un testo che proviene da un altro libro della Legge (Lv 19,18): “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Gesù lega strettamente all’amore di Dio l’amore del prossimo. Dopo aver affermato il primato indiscusso dell’amore per Dio, dichiara che il comandamento dell’amore del prossimo è “secondo”, ma “simile a quello”. Il primo non sta in piedi senza il secondo. Questo è la prova che ami Dio, è il modo concreto di amare Dio. Sei sicuro di amare Dio con tutto il cuore, se ami il prossimo come te stesso. Il credente non è più diviso fra i doveri verso Dio (culto, preghiera, osservanza del sabato...) e il suo comportamento nella vita familiare e sociale. Se vivo nell’amore le molteplici forme della relazione col prossimo (cfr. Es 22,20-26: I lettura), in uguale misura cresce la mia relazione con Dio.

L’altro, che è semplicemente e sempre un fratello, non è un muro o una porta chiusa fra me e Dio. Ma una porta aperta, una via direttissima a Dio.

Non di rado, forse inconsciamente, consideriamo sottratto all’uomo ciò che si dà a Dio e sottratto a Dio ciò che si dà all’uomo. Come se Dio fosse antagonista dell’uomo, e non invece Creatore, di cui ogni uomo è “immagine”, e Padre che gode della concordia fraterna dei suoi figli.

Nell’unità inscindibile che Gesù ha operato fra i due comandamenti si coglie la novità evangelica. “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”. Vale a dire, tutta la rivelazione biblica ruota attorno a questi due cardini e in essi viene riassunta.

E’ facile il richiamo alla “regola d’oro” enunciata da Gesù nel discorso della montagna: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7,12).

Gesù ha dato compimento alla legge di Mosè (cfr. Mt 5,17), semplificandola e unificandola nel duplice comandamento dell’amore. Ha cioè rivelato in modo definitivo la volontà di Dio che consiste nell’amare Lui con cuore indiviso e nell’amare il prossimo in modo attivo e disinteressato.

Ma la novità e l’originalità di Gesù non sta soltanto nell’aver rivelato e insegnato l’unità di questi due comandamenti. Sta anche nel fatto che nessuno li ha vissuti così perfettamente come Lui. Mai sulla terra prima di Lui e di sua Madre nessuno aveva amato Dio con tale pienezza d’amore. Mai aveva amato in tale misura gli uomini. Mai prima né mai dopo.

Di conseguenza amare per il cristiano, più che osservare un comandamento, è imitare una persona, Gesù. E’ fare come Lui. E’ imitare il Padre (cfr. Mt 5,43-48).

La novità sta anche nel fatto che tale amore, impossibile alle sole forze umane, il Padre e Gesù ce lo comunicano, donandoci il loro Spirito. Implorare da Dio il dono dello Spirito Santo è chiedere tale capacità d’amare.

L’Eucaristia, poi, è memoria e presenza dell’amore a Dio e agli uomini che Cristo ha vissuto in modo supremo nella sua Pasqua. È da qui che attingiamo la medesima capacità d’amare. L’Eucaristia è Gesù “pane spezzato” per l’intera umanità. Come Lui e con la forza dello Spirito Santo che Egli ci comunica, anche noi siamo chiamati a diventare “pane spezzato” per gli altri.

Nel brano di 1Ts 1,5-10 (II lettura) è richiamato l’evento della conversione dei destinatari e viene descritta la loro nuova esistenza come un “servire il Dio vivo e vero (= la fede, l’attuazione del primo comandamento) e attendere dai cieli il suo Figlio (= la speranza operosa che si esprime nella carità fraterna).

Siccome la parola “amore” è la più inflazionata e la più a rischio di essere intesa equivocamente, verificheremo con serietà se la relazione fra i due amori (distinti, ma non separati) verso Dio e il prossimo l’abbiamo chiara e ben radicata.

Chiediamoci spesso: in questo momento sono “pane spezzato”, cioè amo veramente o mi sto illudendo di amare? Preferisco realmente Dio e Gesù a tutto il resto? Dio e Gesù sono realmente il mio tesoro più caro? Amo concretamente il prossimo, vale a dire voglio il suo bene e lo compio , direttamente o indirettamente?

Ogni sera proverò a ricordare se ho compiuto qualche atto di amore genuino a Dio e al prossimo.

Proverò a recitare lentamente l’“atto di carità”, cercando di coglierne il significato ed esaminandomi se sono sincero nel fare a Dio una tale dichiarazione d’amore.
“Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa,
perché sei bene infinito e nostra eterna felicità;
e per amor tuo amo il prossimo come me stesso,

e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più”.

“Ti amo, Signore, e la sola grazia che ti chiedo è di amarti eternamente.

Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere, ad ogni istante, che ti amo,

voglio che il mio cuore te lo ripeta tutte le volte che respiro” (San Giovanni Maria Vianney).

 

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