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TESTO Date a Cesare

don Daniele Muraro  

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XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/10/2008)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,15-21

In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

I Farisei con gli Erodiani tendono una trappola a Gesù. Vogliono che ci rimanga impligliato. ‎Gesù se la cava, ma non succede con lui come con tanti altri che sentiamo alla televisione ‎che si liberano da domande scomode rispondendo in maniera evasiva, senza dire niente, ‎anzi la lezione che Gesù dà a quelli che l’avevano fermato per interrogarlo è piena di ‎saggezza.‎

Potremmo riassumela così: se si mette Dio al primo posto, ogni altro problema viene ‎risolto. “Date a Dio quel che è di Dio”. Si tratta poi di avere anche il buon senso di ‎riconoscere le autorità umane: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare”. Sulla moneta c’è ‎l’immagine dell’imperatore, Tiberio a quell’epoca, e quel mezzo di pagamento viene usato ‎tutti i giorni, dunque non ci si può sottrarre alle imposizioni a cui obbliga Cesare, dal ‎momento che si gode anche dei vantaggi che dà.‎

Dopo una tale risposta per gli avversari di Gesù c’è da mangiarsi le dita, per noi suoi ‎discepoli e per gli uomini di buona volontà c’è ammaestramento su cui riflettere.‎

Gli avversari di Gesù non sono degli sprovveduti, Gli si presentano tutti ossequiosi e ‎rivolgono a Lui con delle espressioni di elogio, cercando di accattivarsi la sua simpatia. ‎Dobbiamo dare credito alle espressioni dei giovani farisei su Gesù, oppure possiamo ‎esprimere qualche riserva? “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio ‎secondo verità.” Fino a qui possiamo aderire.‎

Ci aspetteremmo adesso uno sviluppo che vada nella linea di una adesione incondizionata ‎alla risposta che Gesù avrebbe dato del tipo: “Siamo pronti ad ascoltare il tuo parere su ‎questo punto per aderirvi in pieno!”. Invece il ragionamento dei portavoce fa come una ‎deviazione: “Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno.”‎

La frase è chiaramente capziosa. A questo punto non è più una questione di verità, ma di ‎opportunità e di rispetto delle forme. Secondo i suoi interlocutori Gesù è uno che non si fa ‎problemi a scontentare la gente importante. Egli non tiene conto del grado e della dignità, ‎ma già tante volte ha dimostrato si saper parlare chiaro ai potenti, sferzandone i cattivi ‎costumi e smascherandone la falsità.‎

È sottointeso che questa mancanza di diplomazia può procurare dei nemici, d’altra parte, ‎sembrano dire i farisei, se uno si assume il ruolo del profeta poi lo deve mantenere, anche ‎a costo di esporsi e pagare di persona. Se con l’espressione “non guardi in faccia nessuno” ‎i farisei intendevano insinuare che Gesù non ha rispetto di alcuna autorità, vengono subito ‎smentiti. “A Cesare si deve rendere quello che è suo!”. ‎

Ancora peggiore è la prima parte della stessa frase: “Tu non hai soggezione di alcuno”, ‎letteralmente “Tu non ti curi di nessuno! Non ti importa di nesssuno!”. Al contrario, Gesù ‎guarda in faccia tutti e gli interessa di ciascun uomo. Egli non pensa solo per sé e la sua ‎preoccupazione non è quella di prevalere sul prossimo, ma di amarlo e fargli conoscere la ‎via di Dio.‎

Perciò accetta con benevolenza la richiesta di spiegazione da parte dei suoi interlocutori e ‎li ascolta pazientemente, poi però, proprio perché li ha guardati bene in faccia, ha capito le ‎loro intenzioni e sa da chi sono stati mandati risponde con quella franchezza che gli è stata ‎attribuita, ma senza tradire né la verità, né la carità.‎

Si tratta di essere coerenti. Gesù dimostra di esserlo sempre stato, sapranno fare ‎altrettanto anche quelli che si sono rivolti a Lui? Non si può essere in pubblico contro i ‎Romani e in privato fare affari con loro e arrichirsi di questi traffici. Ogni autorità legittima ‎proviene da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. Su ‎questo concetto si intrattiene anche san Paolo alla conclusione della lettera ai Romani. Ci ‎torneremo.‎

Per intanto serve sottolineare la maniera in cui i farisei volevano mettere in difficoltà Gesù. ‎La premessa elogiativa serviva per introdurre la domanda seguente: “È lecito, o no, ‎pagare il tributo a Cesare?” Cesare è l’Imperatore romano, il quale costruiva strade, ponti, ‎edifici pubblici come teatri e terme, si preoccupava tramite l’esercito di mantenere l’ordine ‎pubblico, di condannare i colpevoli tramite il sistema giudiziario e poi di punirli ‎custodendoli in prigione, ma in cambio esigeva le tasse. C’era un’imposta sulle proprietà, ‎un’altra sulle persone fisiche, e varie imposte indirette sulle transazioni o sugli ‎spostamenti, come tasse sugli acquisti o pedaggi sugli attraversamenti.‎

Se Gesù avesse risposto di sì, che era giusto pagare il tributo a Cesare, nel caso si tratta ‎del tributo capitatario, uguale per tutti i sudditi dell’Impero, dai quattordici ai ‎sessantacinque anni, Gesù sarebbe stato indicato quale amico dei romani e traditore del ‎suo popolo; se avesse risposto di no, gli stessi farisei avrebbero incolpato Gesù presso i ‎romani per istigazione alla ribellione.‎

Gesù disinnesca la trappola, in maniera elegante, facendosi mostrare un denaro. Dal ‎momento che la moneta riporta l’effige di Cesare e la sua iscrizioni il problema è già ‎risolto. Se gli ebrei fossero autonomi potrebbe fare come vogliono, ma dal momento che ‎sono sudditi di uno stato straniero si devono adattare. Tra l’altro il telo della Sindone ha ‎rivelato sulla palpebra destra del volto dell’uomo che avvolgeva una moneta usata con la ‎funzione di tenere chiusi gli occhi dei cadaveri. La monetina riportava la scritta “Tiberio ‎Cesare”.‎

Tuttavia non è sufficiente sapere che Cesare esiste per regolarsi nella vita. Esiste pure Dio ‎e se Cesare all’epoca era signore del Mediterraneo, Dio è Signore anche di Cesare ‎Augusto. Le ultime ragioni sono quelle di coscienza e tuttavia all’autorità costituita bisogna ‎stare sottoposti non solo per motivi di costrizione esterna, ma anche per amore di Dio.‎

Così precisamente si esprime san Paolo nella lettera ai Romani riprendendo quasi le parole ‎di Gesù: “Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma ‎anche per ragioni di coscienza... Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il ‎tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto, il rispetto.” E poi ‎conclude: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; ‎perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge.”‎

Le tasse sono un debito che abbiamo con lo stato, ma esiste anche un debito verso Dio ed ‎è quello dell’amore verso di Lui e verso il nostro prossimo.

 

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