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TESTO La moneta di Cesare

mons. Roberto Brunelli

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/10/2008)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,15-21

In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Come i lettori ben sanno, sono in corso a Mantova tre mostre tra loro collegate, su Matilde di Canossa, sul suo consigliere Sant’Anselmo e sull’antico monastero di San Benedetto Po. Il quadro storico cui esse fanno riferimento è quello della cosiddetta lotta per le investiture, il conflitto che nel Medio Evo vide contrapposti il papato e l’impero, la Chiesa e lo Stato, la libertà religiosa e l’ambito del potere politico. Nel corso della storia un tale conflitto ha assunto varie forme, la più grave delle quali è stata (ed è tuttora, in varie parti del mondo) l’aperta persecuzione contro i credenti, che già prima di Gesù anche gli ebrei avevano subito ad opera del re di Siria Antioco IV Epìfane, il quale cercò di costringerli ad abbandonare la fede dei padri (come riferiscono i due libri dei Maccabei, compresi nell’Antico Testamento).

Anche al tempo di Gesù, quando la terra d’Israele era soggetta all’imperatore di Roma, i più sensibili tra gli ebrei ritenevano di essere in qualche modo violentati nella loro fede. I romani non impedivano loro di professarla, ma neppure la rispettavano come essi avrebbero voluto: ad esempio, trovavano ripugnante dover maneggiare monete con l’effigie dell’imperatore, mentre le norme religiose esigevano di non fare immagine alcuna, né di uomini né di animali. Se si aggiunge che con quelle monete dovevano “pagare le tasse” agli odiati occupanti, la questione si presentava scabrosa. Ne approfittarono, racconta il vangelo di oggi, alcuni nemici di Gesù per tendergli un tranello: è lecito o no pagare le tasse a Cesare, cioè all’imperatore romano? La domanda era davvero ben congegnata, perché qualunque fosse la risposta avrebbero avuto di che accusarlo. Se avesse risposto di sì, lo avrebbero smascherato quale amico dei romani e quindi traditore del suo popolo; se no, lo avrebbero incolpato presso i romani di essere loro nemico. La risposta di Gesù fu per loro quanto meno sorprendente. Egli si fece mostrare una moneta e chiese: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?” “Di Cesare”, fu l’ovvia risposta. E Gesù: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”.

Con queste parole egli non si limitò a escogitare il modo di trarsi d’impaccio, ma stabilì princìpi e criteri di perenne validità. Riconobbe la legittimità del potere politico, nel contempo però negando le sue eventuali pretese assolutistiche: non tutto va a Cesare, perché c’è anche “qualcosa” che spetta a Dio. Pagare le tasse non piace a nessuno, ma è giusto e dunque doveroso farlo, perché è destinato a realizzare il bene comune (se poi il governo esagera nelle richieste o usa male il ricavato, in una moderna democrazia i cittadini possono manifestare il loro scontento alle prossime elezioni); tuttavia allo Stato i cittadini potranno e dovranno dare solo , non sé stessi. Gesù parlava a uomini che conoscevano bene la Bibbia; in particolare la sua prima pagina, laddove si afferma che “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò” (Genesi 1,27): se la moneta apparteneva a colui di cui recava l’immagine, anche l’uomo appartiene a Colui di cui è l’immagine. In altre parole, l’uomo è tenuto a impegnarsi per il bene comune, deve concorrere a realizzare una società terrena giusta e solidale, ma nessuno stato, nessun governante potrà mai pretendere autorità sulla sua coscienza, sulla sua dignità, sulla sua libertà. Peraltro l’uomo non dovrà mai consegnare a nessuno la propria coscienza; non dovrà mai trascurare, per calcolo o per dimenticanza, che l’impegno nel mondo non esaurisce le sue valenze; e il suo agire deve essere sempre coerente con la divina immagine di cui è portatore.

 

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