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TESTO La vigna sarà consegnata ad altri

don Daniele Muraro  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/10/2008)

Vangelo: Mt 21,33-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

Siamo in tempo di vendemmia e dopo quella della settimana scorsa Gesù nel Vangelo ci presenta una nuova parabola sulla vigna. Anche la prima lettura ci parla di un vigneto al tempo del raccolto.

Era abitudine che i vendemmiatori durante il lavoro cantassero. Serviva a passare meglio il tempo, a unire il gruppo e anche a dare voce all’entusiasmo: dopo mesi di fatiche finalmente si poteva raccogliere!

Tra i filari risuonavano a gara cori diversi, che riprendevano per lo più canti d’amore, e anche il profeta Isaia si applica a compone uno.

Al capitolo 5, Isaia canta la storia di un amore deluso, quella di un nobile per la sua vigna. Evidentemente questo tale amava veramente la vigna e si era interessato a provvedere in tutto alla sua prosperità. “Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate.” Aveva scelto bene gli innesti e la posizione dei filari. “In mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino.” Un edificio in mezzo a un campo aumenta il valore di tutto la proprietà ed è segno che il padrone di quel vigneto considerava quel posto quasi come casa propria. Inoltre il tino, dove follare i grappoli maturi, scavato nel terreno per comodità, era il segno che quel padrone si aspettava di ottenere un buon raccolto da tutti i suoi sforzi. Ad autunno inoltrato egli era pronto a brindare all’annata abbondante.

Invece clamorosamente la corrispondenza fra le aspettative del padrone e la risposta della vigna viene tradita. Gli acini rimangono acerbi, forse si ammalano, comunque mancano di grado zuccherino e così vengono lasciati a seccare appesi ai tralci, senza dare alcuna gioia al padrone.

A questo punto la canzone di amore si trasforma in una requisitoria e in un lamento. Esisteva nella poesia antica anche il genere dell’alterco, in cui ci si offendeva a vicenda, ma il profeta non arriva a questo punto, piuttosto egli domanda ai suoi ascoltatori di fare loro stessi da giudici nella controversia. Da parte sua il profeta Isaia prende le difese del padrone della vigna. Si vede chiaramente a questo punto che il profeta presta la voce a Dio stesso e che la vigna a cui teneva tanto altri non è che il suo popolo, cioè gli abitanti di Gerusalemme e dei suoi dintorni (Giuda).

Da quelle parti le cose non vanno bene: Dio si aspetta giustizia ed ecco invece violenza e spargimento di sangue, attende onestà e rettitudine ed ecco invece prevalere il viceversa, prove ne siano le grida di dolore degli oppressi.

Riassumendo c’è uno che racconta la storia e riporta le parole di Dio, c’è Dio appunto e poi c’è il suo diletto, che al principio sembra Dio stesso, ma poi si vede che è un personaggio distinto da Lui, quello che a che fare direttamente con la vigna e che Dio si preoccupa di difendere nei suoi diritti.

Siamo trasportati direttamente così al Vangelo dove verso la fine della parabola Dio esclama: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Nell’animo dei vignaioli già propenso all’avidità e alla prevaricazione alla vista del Figlio subentra il sospetto e l’invidia: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”

Sospettare del prossimo è rovinoso per i rapporti sociali, ma sospettare di Dio è catastrofico per la propria coscienza.

All'inizio del racconto i vignaioli sospettano dei servi del padrone e li considerano come vili mercenari. Abbiamo sentito il trattamento loro riservato: “uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono”. In effetti la sorte dei profeti dell’Antico Testamento in genere non fu più felice: Urìa viene colpito a fil di spada (Geremia 26,23), Geremia viene messo in ceppi, Zaccaria è lapidato. Già in Nèemia si trova questo giudizio sintetico: “I tuoi profeti li ammonirono..., ma essi li uccisero e commisero grandi empietà”.

Alla fine il sospetto dei vignaioli si spostò sul padrone stesso della vigna, e divenne così spietato da progettare di elimianre il suo figlio, dopo averlo cacciato fuori della vigna.

L’allusione di Gesù ai suoi nemici fra i capi dei sacerdoti ebraici e le guide del popolo è trasparente. Tuttavia dobbiamo evitare la trappola di riferire la parabola solo agli altri, come se fossero solo loro a rifiutare Dio. Esiste per tutti la possibilità di rifiutare gli appelli che Dio ci fa giungere in mille modi e soprattutto vale anche ai nostri giorni la minaccia che Gesù prospetta in conclusione del brano: “A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti!”

“Venga il tuo Regno!”, diciamo nella seconda invocazione del Padre Nostro. Se il Regno di Dio si realizza senza di noi c’è il rischio concreto che la sua venuta si converta contro di noi.

‎“Il Regno di Dio... è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”. Per gustare questi doni non dobbiamo sottrarci di coltivare il nostro spirito. Come diceva san Paolo nella seconda lettura: "In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.”

Animati da questo slancio interiore non potremo non diventare anche noi testimoni di Gesù, missionari del Vangelo.

 

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