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TESTO Commento su Matteo 22,1-14

Suor Giuseppina Pisano o.p.

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/10/2008)

Vangelo: Mt 22,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Forma breve: Mt 22,1-10

In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

“Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per il suo figlio ...”; con queste parole, Gesù inizia la narrazione di un’altra parabola, rivolta anch’essa ai principi dei sacerdoti e ai capi del popolo, che, già in precedenza, erano stati paragonati a cattivi vignaioli, meritevoli d’esser privati della vigna affidata alle loro cure: “Farà morire miseramente quei malvagi, aveva detto loro il Signore, e darà la vigna ad altri vignaioli, che gli consegneranno i frutti a suo tempo”.

Anche in questa parabola, il Maestro pone l’accento, sul rifiuto del dono di salvezza, da parte di quei destinatari privilegiati, simboleggiati dagli invitati al banchetto di nozze, che, come recita il testo: “non se ne curarono, e andarono, chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri, poi, presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”.

La scorsa domenica, le letture della liturgia eucaristica, hanno affrontato il medesimo tema dell’ingratitudine, e della superficialità, con le quali l’uomo delude le attese di Dio, usando come immagini la vigna, e i vignaioli disonesti e omicidi; oggi, il simbolo, attorno al quale si articola il discorso di Gesù, è il banchetto di nozze, un segno, col quale, in tutte le culture, da quelle più antiche, fino ad oggi, si esprime l’amicizia, la disponibilità al dialogo, la comunione e l’intimità; il banchetto di nozze, infatti, è l’esaltazione della gioia dell’amore, gioia, che si vuol condividere con familiari ed amici, e si vuole estendere quanto più possibile, perché l’esultanza sia piena.

E di un banchetto parla, anche, la prima lettura, con un testo del profeta Isaia, che intravede, in un futuro, carico di speranza e di felicità, una mensa preparata, non da uomini, ma da Dio stesso:

“Preparerà il Signore degli eserciti, per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati...”.

Sono immagini, che vogliono significare un godimento pieno, una felicità incontenibile su quel simbolico monte, che è segno della vicinanza di Dio, anzi dell’amicizia con lui: il Padre che si rivela ai suoi figli, e li libera dal dolore e dalla morte: “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli, e la coltre che copriva tutte le genti, dice il Profeta, eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese ...”; è il futuro di chi accoglie il dono grande della salvezza, portata agli uomini dal Figlio di Dio, Gesù di Nazareth, il Cristo Redentore.

Il simbolo del banchetto, inoltre, è ripetutamente presente, anche nei Vangeli, e fa parte della reale esperienza di vita del Signore: da quel pranzo di nozze a Cana, che conobbe il primo miracolo di Gesù, a quel pranzo in casa di Simone, dove Cristo incontrò la donna peccatrice, che fu risanata perché “molto amava”; poi, ancora, ci fu un banchetto a casa di Zaccheo, dove il Maestro si invitò da sé, per trasformare la vita di quello, che era stato un avido impiegato delle imposte, in un nuovo discepolo del Regno, dopo averlo rigenerato nella grazia, che, da peccatore, lo trasformò in uomo giusto e generoso.

C’è, infine, quell’ultima cena di Pasqua, un banchetto rituale, che Cristo consumò coi suoi prima della passione, durante il quale compì il gesto estremo del suo amore, quando, dopo aver benedetto il pane e il vino, li mutò nel suo corpo e nel suo sangue, per offrirsi come cibo e bevanda di salvezza, memoriale della sua Pasqua, e inizio della nostra.

Ora, per spiegare con immagini, in che consista il dono della salvezza e la comunione col Padre, Gesù racconta la parabola del banchetto di nozze: un invito a partecipare alla gioia e alla vita di Dio, il quale, è amore e, perciò, comunione; un invito, che il Maestro rivolge alle guide del popolo, ma che queste non comprendono, o non vogliono comprendere, perché, di fatto, lo rifiutano, per camminare, su vie diverse da quelle indicate da Dio.

Tuttavia, non per questo, sarà annullata la festa, essa ci sarà sempre, per celebrare le mistiche nozze, destinate a durare in eterno, tra l’uomo, che accoglie la salvezza, e il suo Creatore.

Ed ecco che la parabola racconta, che il re ordina ai servi, di recarsi in ogni angolo e via della città, per chiamare alla festa, chiunque essi incontrino: “andate ora ai crocicchi delle strade e, tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”.

Fuor di metafora, Cristo ci dice, che Dio ha offerto al popolo eletto, come primo destinatario, il suo dono di comunione e di salvezza, inviando il Figlio, Gesù di Nazareth, che essi hanno ignorato, rifiutato, e condannato; da allora, quella stessa salvezza, è offerta, sempre, a tutti gli altri uomini, a qualunque cultura, e condizione sociale essi appartengano: che siano ricchi o poveri, che contino nella società, o siano gli ultimi, diseredati ed emarginati, perché nessuno è escluso dall’amore di Dio, ameno che, non opponga, da se stesso, un rifiuto.

E’ quel che leggiamo verso la fine della parabola, quando si dice che la sala fu piena per la presenza di tutti coloro, che i servi poterono contattare: “buoni e cattivi”, recita il testo; ma tra loro, c’era uno privo del simbolico “abito nuziale”, condizione indispensabile, per prender parte al banchetto, ragion per cui fu allontanato dalla festa.

L’abito nuziale, in questo caso, è il segno di una disposizione interiore alla comunione con Dio; la persona di cui il Vangelo ci parla, probabilmente non era peggiore delle altre, ma la sua interiorità era vuota, come quella di chi non comprende il dono di Dio, non coglie il significato profondo della elezione da parte di Lui, dell’adozione a figlio, cosa, che dà la misura della vera dignità dell’uomo.

L’adozione a figli, nel Figlio Cristo Gesù, è, infatti, il dono prezioso della grazia, che ci accompagna nella vita, e ci conforta, soprattutto, quando il suo percorso non è facile, perché incontra insidie, fatiche e dolore; è proprio in queste circostanze che, il credente sa di non esser solo, perché il suo Dio è con lui; e il Salmista, oggi, ce lo ricorda, con quel canto sublime che ci fa ripetere:
“Signore è il mio pastore: non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza ...”( Sl 22).

Il nostro Pastore: Gesù, Redentore dell’uomo, è lui che, dopo averci donato il banchetto eucaristico, in cui nutrirci del suo corpo e del suo sangue, anticipazione della pienezza della vita, ci guida verso il banchetto delle nozze eterne, quando la comunione trinitaria sarà piena, e la felicità, delle mistiche nozze col Re, sarà felicità stabile e duratura.

Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

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