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TESTO Il regno di Dio è per i veri pentiti

padre Antonio Rungi

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/09/2008)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Celebriamo oggi la XXVI Domenica del Tempo Ordinario e la parola di Dio ci parla della necessità di pentirsi e di convertirsi. Il forte monito che viene da Gesù direttamente ci deve far riflettere: i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno di Dio. In altri termini, nessuno può sentirsi al sicuro di aver conquistato un posto per l’eternità solo perché si ha la tessera del battesimo ricevuto e non vissuto. L’adesione a Cristo richiede disponibilità, ripensamento sulla propria condotta di vita, specie quando non corrisponde affatto alle direttive che il divino Maestro indica, proponendo e non imponendo nessuna delle sue regole che portano alla vita. Tra queste regole quella del necessario impegno per la diffusione del regno di Dio tra gli uomini.

La parabola dei due figli invitati ad andare a lavorare, l’uno dice di sì e poi non ci va, l’altro dice di no e poi ci va, fa capire esattamente da che parte bisogna mettersi per essere graditi a Dio. Bisogna mettersi dalla parte della sincerità, della verità, dell’autenticità. Dio non si può prendere in giro, dicendo e non facendo, promettendo e non mantenendo. Il figlio che ci ripensa e va al lavoro è l’esempio di ogni persona che non si ferma al primo suo no a rispondere alla chiamata di Dio alla fede e alla collaborazione, ma va oltre quel no iniziale, per poi meglio riflettere e decidersi. Capita spesso di essere irruenti e istintivi nel dire subito no a qualsiasi cosa che ci viene chiesta; poi magari ci ripensiamo e facciamo ciò che ci hanno chiesto. Dal versante opposto ci sono persone che promettono mari e monti a tutti e si mostrano disponibili oltre il dovuto e che poi in pratica non fanno nulla. In questi due modelli di comportamento il primo negativo ed il secondo positivo, troviamo l’input per capire il resto del testo del vangelo di Matteo che ci viene proposto in questa domenica.

E’ grave peccato la superbia e la presunzione di essere sempre nel giusto e spesso questo capita proprio a chi vive maggiormente in condizione di peccato e non apre il suo cuore e la sua mente al pentimento. Il richiamo da parte di Gesù all’opera di conversione di Giovanni il Battista ci fa toccare con mano quanto sia difficile far cambiare vita a chi è incallito nel peccato, a chi di fronte alla propria condizione di disagio morale continua ad agire sbagliando senza il minimo pentimento e ripensamento.

Forte è il monito anche che ci viene dalla prima lettura di oggi, tratta dal profeta Ezechiele. Il malvagio deve convertirsi dalla sua condotta immorale se vuole avere la garanzia di salvezza. Per il male e per tutto ciò che di negativo e sbagliato facciamo, non possiamo assolutamente attribuire la responsabilità a Dio, ma alla nostra libertà, al nostro libero arbitrio. Capire questo significa porsi davanti alle norme morali che regolano l’agire del cristiano con la coscienza e la libertà che il bene è possibile e si deve fare, il male si può e si deve evitare con una vita di comunione di grazia con Dio e di pace con i fratelli.

Educare a differenziare il bene dal male è far sì che la confusione imperante su questi temi nel nostro tempo venga superata con un’appropriata catechesi e formazione dottrinale e teologica del popolo di Dio, affidato alla cure pastorali di chi è stato chiamato da Dio a servirlo più da vicino come presbitero, vescovo, religioso, persona consacrata.

In questa prospettiva di servizio e di attenzione agli altri e al prossimo, risulta di grande significato e di indirizzo morale quanto scrive l’Apostolo Paolo nel breve testo della lettera ai Filippesi. Gelosia, rivalità, vile interesse, cattiverie di ogni genere, prepotenze perché si ha in mano lo scettro del potere, minacce, ricatti, punizioni e quanto altro esprime la cattiveria del cuore umano, non possono entrare in una visione di vita cristiana. Il modello del nostro agire è e rimane il Cristo Crocifisso. Non possiamo credere e prestare la nostra fiducia a chi predica bene ma razzola male, a chi fa grandi discorsi ma non è capace di amare e di amore verso i propri fratelli, a chi pensa di sapere e potere tutto e non sa nulla e non fa nulla, soprattutto se deve sporcarsi le mani ed abbassarsi alla condizione misera e povera di tanti fratelli che non contano in questo nostro mondo. Gesù sia sempre il modello vero e perfetto di ogni nostra azione morale.

Sia questa la sincera preghiera che sgorga dal nostro cuore in questo giorno dedicato al Signore: “O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù”. Amen.

 

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