PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Commento su Matteo 21,28-32

Suor Giuseppina Pisano o.p.

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/09/2008)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,28-32

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

“Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua verità e istruiscimi,
Non ricordare i peccati della mia giovinezza:
ricordati di me nella tua misericordia” (Sl 24).

Così prega il Salmista, a nome di ogni uomo che, riconoscendo la propria fragilità morale, si rivolge a Dio, e implora da lui la luce della sapienza e la misericordia, che perdona.

“Non ricordare i peccati della mia giovinezza...”, precisa il salmo e, due giovani, sono, appunto, i protagonisti della parabola, che il brano del Vangelo offre, oggi, alla nostra riflessione.

Gesù, rivolto ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, coloro che avrebbero dovuto essere guide affidabili e modelli di vita e di fede, racconta una parabola che, mentre descrive uno spaccato di vita familiare, denuncia, allo stesso tempo, la religiosità formale e vuota di fede dei suoi interlocutori.

Il racconto parla di una famiglia, come tante; in essa vivono due figli, due ragazzi, che hanno raggiunto l’età per lavorare; è una situazione reale nella quale, tanti genitori, ancor oggi, possono riconoscersi; a questi due giovani, il padre, sicuramente un ricco proprietario terriero, chiede, di andare a lavorare nella vigna, che è anche la loro vigna.

La risposta dei ragazzi è facilmente prevedibile: “Si, si...”, dice il primo, che non sembra aver voglia di lavorare, e, forse, neppure di discutere col padre, per cui, con quella risposta, chiude il discorso, e se ne va per i fatti suoi.

“Non ne ho voglia!” risponde, bruscamente il secondo, con fare ribelle, con una reazione dettata dall’umore del momento, ma che non va oltre rifiuto verbale, che si trasformerà, presto, in un

“Si!” di fatto; perché, ripensando, in cuor suo, al desiderio del padre, il ragazzo, decide di andare a lavorare nella proprietà di famiglia.

Il ritratto dei due giovani è un ritratto realistico, che mette il luce i alcuni tratti caratteristici di un’ età splendida, fatta di ideali, di sogni, di progetti, di slanci e di generosità; ma anche di insoddisfazione, di fatica e di delusioni; un’ età, segnata dal bisogno di libertà senza limiti e di autonomia, che dà vita ai numerosi contrasti tra padri e figli: qualcosa di fisiologico, che mette in crisi gli uni e gli altri; c’è, infatti, un momento, in cui il giovane vorrebbe progettare e decidere tutto da sé, svincolandosi dall’autorità dei genitori, e tale è ogni uomo nei confronti di Dio, Creatore e Padre.

Ora, questo padre ha fatto ai suoi figli una proposta: occuparsi dei beni di famiglia, e da essi ottiene due risposte diverse, la prima segno di un’ obbedienza formale, fredda, distante e, di fatto non operativa; dall’altro, un rifiuto istintivo, che dà l’immagine di un ragazzo, forse indisciplinato e impetuoso, ma buono di cuore, profondamente legato al padre, per cui il rifiuto è solo di parole, perché, di fatto, sarà questo figlio, ad occuparsi della vigna.

Nel discorso di Gesù, questi due giovani diventano il simbolo del diverso modo in cui l’uomo si rapporta con Dio e vive, o no, secondo i suoi comandamenti.

Così, il primo il primo figlio rappresenta quella religiosità formale, che non viene da un cuore aperto all’ascolto, ma si limita a salvare le apparenze; così, come è proprio di quei “principi dei sacerdoti e anziani del popolo”; dei quali, già, Isaia aveva detto: “questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me; è vano il culto che mi rendono...” (Is 29,13); persone che Cristo qualifica come “guide cieche” destinate a cadere in una fossa (Mt 15,14).

In diverse occasioni, il Figlio di Dio metterà in guardia i suoi discepoli, da questi “sepolcri imbiancati... belli a vedersi, mentre dentro sono pieni di ossa di morti e di putredine...” (Mt 23,27).

Costoro, che appaiono giusti, davanti agli uomini, sono, nel loro intimo, pieni d’ipocrisia e malvagità; e saranno proprio loro, in nome di una religiosità, ormai invecchiata e senz’anima, a condannare il Figlio di Dio, come leggiamo nel Vangelo: “Gesù cominciò a dire ai suoi discepoli, che egli doveva andare a Gerusalemme, e soffrire molto da parte degli anziani, e dei sommi sacerdoti... e che doveva esser messo a morte...” (Mt 16,21).

A questi tali, Cristo si rivolge, parlando di quel figlio, solo apparentemente, obbediente, ma che non sa, cosa sia l’amore per il padre.

Al contrario, il secondo figlio, sulle prime, contrario all’ invito del padre, è simbolo di ogni uomo o donna, fragile, impetuoso, immaturo, che presume, spavaldamente, di poter organizzare la propria vita da solo, ma che si accorge, presto, che è giusto obbedire a Dio, nostro Padre.

Nel secondo figlio, ognuno di noi, può riconoscersi, ognuno di noi, peccatore come tutti, ma, che, in fondo al cuore, accoglie i comandamenti di Dio, e obbedisce.

Questo giovane figlio ribelle richiama alla mente anche la parabola del fariseo e del pubblicano, due uomini, come tanti, che salirono al tempio per pregare, ma, il secondo dei due, consapevole della sua condizione di peccatore, come recita il Vangelo:” non osava neppure alzare lo sguardo al cielo, si batteva, invece, il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!”, e fu lui ad esser perdonato.

La parabola, che Cristo racconta ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, ha una conclusione sconcertante, che suona come una forte provocazione, un richiamo a vivere in profondità e con autenticità la fede: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”.

Parole, che non intendono, certo, avallare il peccato come tale, ma, pur tenendo conto della fragilità umana, sottolineano quel bisogno infinito di salvezza, quel desiderio di perdono dall’Alto, che ha richiamato tra gli uomini il Figlio Dio; infatti, è per amore dell’uomo, prigioniero e vittima del peccato, che Egli si è fatto uomo, in Cristo, come ci ricorda Paolo nel sublime inno della lettera ai Filippesi, che la liturgia, oggi, offre alla nostra riflessione.

Per ogni figlio ribelle, ma capace di’amore, il Figlio di Dio ha assunto la condizione umana, ha vissuto tra noi, come servo, ha affrontato il giudizio dei superbi, è salito sulla croce, ed è morto; ma, nella sua morte è stata lavata ogni colpa, e, nella sua resurrezione, ogni peccatore risorge, e diventa capace di riamare Dio, di ascoltarlo ed obbedire alla sua parola.

Al contrario, di chi si ritiene giusto, perfetto, superiore agli altri, costui resterà chiuso nel suo orgoglio, incapace di cogliere la presenza di Dio, e incapace d’amare.

E’ questo il significato delle parole del Maestro quando dice: “E’ venuto a voi Giovanni, nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute, invece, gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti, per credergli”.

Parole che interpellano ancora ognuno di noi, mettendoci in guardia da una religiosità vuota, fredda e formale, che si esaurisca in pratiche esteriori, ma non coltivi in profondità la fede e un autentico rapporto filiale con Dio, un rapporto saldamente radicato nell’amore, che accoglie, ascolta e, umilmente, obbedisce.

Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

Ricerca avanzata  (54027 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: