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TESTO Commento su Luca 17,11-19

don Daniele Muraro  

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/10/2007)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

“In ogni cosa rendete grazie: questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi!”: così recita il versetto dell’alleluja prima del Vangelo. Siamo radunati in chiesa per celebrare l’Eucaristia, che significa letteralmente: “rendimento di grazie”, “ringraziamento”. È vero che di solito viene definito “ringraziamento” il momento che segue la Comunione, quando nella pausa di silenzio ciascuno si dovrebbe concentrare sul mistero che è stato celebrato. Quella è l’occasione giusta per esprimere a Gesù la propria riconoscenza di essere venuto fra di noi e, per quelli che hanno ricevuto il pane consacrato, anche dentro di noi.

Però tutta la celebrazione della Messa si può chiamare “Eucaristia”, questa è la sua intenzione e questo è anche il suo risultato: lodare Dio, benedirlo e ringraziarlo.

In effetti di espressioni di esaltazione e di gratitudine è piena tutta la liturgia della Messa. Per primo il “Gloria” è un inno di lode, spesso anche il salmo responsoriale contiene versetti di acclamazione per Dio e inviti a lodarlo. Per esempio questa settimana il salmo 97 dice: “Cantate al Signore un canto nuovo... Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia”.

Ogni volta nell’offertorio si benedice Dio per i frutti della terra e del lavoro dell’uomo. Alzando il pane e il vino, che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo il sacerdote ripete il gesto di Gesù che durante l’Ultima Cena alzò gli occhi al Cielo, cioè verso Dio e rese grazie.

Ringraziare è un atto eminentemente religioso. Gesù l’ha praticato, ringraziando il Padre che esaudiva le sue preghiere, come nel caso della resurrezione di Lazzaro. Quella volta Gesù alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato”. Non solo, Gesù si è anche compiaciuto di ricevere atti di ringraziamento, come nel caso del Vangelo di oggi quando uno dei dieci lebbrosi guariti mentre erano per via, si volta e torna indietro lodando Dio a gran voce e alla fine si prostra ai piedi del suo Signore.

Gesù accetta il gesto di adorazione del malato risanato e lo sottolinea, presentandolo come conveniente nei suoi confronti. Egli si ritiene degno dell’omaggio che si deve a Dio, la genuflessione profonda ai suoi piedi. Sarebbe bastato il beneficio elargito, una guarigione umanamente inspiegabile per giustificare la necessità di una parola di riconoscenza e ringraziamento. Il Samaritano però va oltre: si prostra davanti al suo Signore che allora diventa anche il suo Salvatore.

Prima di proseguire oltre, vorrei qui far notare le differenze fra l’episodio del Vangelo e quello della prima lettura.

In entrambi i casi si tratta di lebbrosi guariti. Naaman generale dell’esercito assiro, colpito da tempo dalla piaga della lebbra, rifiorisce dopo essersi immerso e bagnato per sette volte nel fiume Giordano, un procedimento complicato, al cui confronto risalta la sovranità della Parola di Gesù, sufficiente da sola ad ottenere l’effetto desiderato.

Ma non è questa la divergenza principale fra i due racconti; ne esistono almeno altre due, ossia la prima che Naaman torna a ringraziare il profeta Eliseo che lo aveva consigliato per il suo bene mentre di nove su dieci dei lebbrosi del Vangelo se perdono le tracce subito dopo il miracolo e circostanza ancora più significativa che, seconda differenza, che Eliseo rifiuta l’omaggio del potente generale straniero, mentre Gesù apprezza il gesto di prostrazione del lebbroso Samaritano ed interpreta la mancata riconoscenza degli altri suoi compagni di sventura come una assenza di fede.

Gesù spiega bene che per i dieci lebbrosi avere ricevuto la guarigione fisica non comportava automaticamente di essere salvati, c’era bisogno di un passo in più: quello della fede. Uno solo vi era arrivato e l’aveva dimostrato attraverso il ringraziamento e la lode.

Perciò per contrasto, adesso è Gesù stesso a lodare il Samaritano guarito e ad additarlo come modello del vero credente.

Se, quando riceviamo un beneficio, la nostra attenzione è rivolta al dono, cioè ai beni materiali, alla salute eccetera, allora il nostro cuore si dimostra ristretto ed egoista. Ma se, partendo dal dono ricevuto, il nostro occhio si porta con benevolenza al benefattore, allora il beneficio ricevuto diventa esperienza di incontro personale con il donatore.

Nel cammino di fede possiamo riconoscere tre tappe: esso incomincia con un grido disperato d'aiuto e prosegue là dove uno, dopo aver chiesto, si mette ad ascoltare la risposta di Dio attraverso la sua Parola prima con le orecchie e poi con il cuore, impegnandosi a mettenerla in pratica. Vi è poi la terza fase della fede che è il ringraziamento.

Questo è il traguardo raggiunto da Naaman il Siro e anche dal non più lebbroso Samaritano. Ringraziare è l'anti-peccato. Significa che io rinuncio alla mia autosufficienza, confessando che Dio è il mio salvatore.

A questo proposito san Bernardo di Chiaravalle così si esprime: “Fortunato chi che a ogni dono, torna a Colui nel quale c'è la pienezza di tutte le grazie; poiché quando ci mostriamo grati di quanto abbiamo ricevuto, facciamo spazio in noi stessi a un dono anche maggiore. E mostriamo la nostra gratitudine non solo a parole, ma anche con le opere e nella verità; perché il Signore nostro, che è benedetto nei secoli, non vuole tanto parole, quanto azioni di grazie.”

Possiamo esprimere la nostra riconoscenza in molti modi. Per esempio manifestando la nostra ammirazione di fronte ai doni di Dio, ma anche usandoli e facendoli fruttificare nel modo migliore.

La Scrittura ci interroga: "Che cos'hai che non hai ricevuto da Dio?" La nostra vita di cristiani dovrebbe essere una "perpetua eucaristia": risposta dell'amore che riceve, all'amore che dona.

Formare alla riconoscenza è il massimo dell'educazione ma occorre che alla fine il grazie esca spontaneo, frutto di grandezza d’animo e di semplicità, e questo capita quando uno riconosce il bisogno nostro e la generosità degli altri.

Il ringraziamento reso da Gesù al Padre nella notte dell’Ultima Cena, al momento dello spezzare il pane, dovette essere cosi intenso, così commovente e anche così sofferto che si impresse in maniera indelebile nella memoria dei presenti. Da quel ringraziamento iniziò la nostra Eucaristia.

Dopo aver spiegato in che cosa consiste il ringraziamento e in particolare l'Eucaristia, ora ci si offre la possibilità di viverla. Anche noi possiamo rendere grazie a Dio, insieme, come una sola grande famiglia riunita intorno alla mensa, con gli occhi rivolti al Padre.

Ci aiuti a manifestare la nostra riconoscenza e la nostra lode a Dio Maria santissima che nel Magnificat ha proclamato Dio grande e misericordioso con chi confida in Lui.

 

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