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TESTO Commento su Luca 17,5-10

don Daniele Muraro  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/10/2007)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Avere fede e ritenersi servi inutili: ecco il programma di vita che Gesù propone ai suoi discepoli in questo Vangelo. Da parte di qualche cristiano poco illuminato, e ancora meno formato, l’applicazione di queste raccomandazioni di Gesù potrebbe ridursi ad uno sterile esercizio di inerzia.

Uno vi potrebbe trovare semplicemente la conferma del suo stato attuale: ho fede quindi evito lo sforzo di pensare e sono un servo inutile e quindi mi esimo dalla fatica di agire. Vado avanti come mi è stato sempre detto, potrebbe concludere un altro, e posso stare tranquillo: che pretenderà mai chi mi invita far crescere la fede o a migliorare le mie opere?

Si tratta di ragionamenti solo all’apparenza assennati e rimostranze valide solo a prima vista. Il Vangelo infatti è apportatore di una novità perenne e la grazia di Dio agisce sempre come lievito che cambia il nostro modo di vivere.

Contro una interpretazione riduttiva e avvilente della religione e contro una stanca applicazione nella pratica del suo messaggio sta la Scrittura stessa..., anche quella di oggi, che si preoccupa di circostanziare il comando di Gesù: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato”, e solo allora, scandisce bene il Vangelo, dite: “Siamo servi inutili”.

Chi potrà sostenere di avere adempiuto completamente la volontà di Dio per quello che lo riguarda o di avere soddisfatto pienamente le esigenze della sua vocazione cristiana? Bisogna veramente essersi impegnati a fondo, prima di azzardarsi a pronunciare quelle parole: “Sono un servo inutile”!

A conferma di questo modo impegnativo di intendere la vita cristiana, san Paolo al discepolo Timoteo non raccomanda di farsi da parte e “tirare i remi in barca”, come si dice, ma piuttosto lo esorta a combattere la sua naturale timidezza e di dimostrare di possedere uno spirito forte, oltreché amorevole e saggio. Questa è la sua buona battaglia.

Chi sta dalla parte del Signore, non si deve vergognare di nulla, né di quello che è capace di fare, né di quello che non riesce a portare a termine, né della sua fede che gli fa sfidare l’opposizione del mondo, né della sua debolezza interiore che lo sprona a confidare unicamente in Dio; solo di una cosa deve avere paura: di essere così pigro da diventare superbo per giustificare la sua poca voglia di fare, o anche, che è la stessa cosa, di essere tanto superbo da ritenere di non avere bisogno di un supplemento di aiuto per rendere salda la sua fede e meritevoli le sue opere.

“Signore, aumenta la nostra fede!” chiedono gli apostoli al principio del Vangelo e mai preghiera fu più gradita da parte di Gesù, nonostante l’apparente rudezza della sua risposta.

La conoscenza è l’intelletto che si adegua alla cosa da apprendere; ma quando l’oggetto della conoscenza supera le capacità naturali dell’uomo, allora quella cognizione si chiama fede.

La fede è ragionevole in quanto si sa a chi si crede e lo giudica degno di fiducia, ma, considerata in se stessa, la fede ci trasporta in una dimensione più grande e più alta di quella a cui siamo abituati nei nostri calcoli umani e per questo ha bisogno di una conferma e di un aumento da parte del suo autore e ispiratore che è Dio stesso.

Avere fede comporta guardare il mondo con occhi nuovi e occorre un po’ di tempo per abituarsi a questa prospettiva; bisogna rendersi familiari con il diverso panorama che si dischiude alla vista e imparare a distinguere fra elementi in primo piano e complementi secondari, fra verità principali e convinzioni periferiche.

Avere una fede più grande di quando si è partiti nell’avventura della vita cristiana significa riconoscere più presto e meglio la presenza di Dio negli avvenimenti della giornata e farsi trovare pronti nel rispondere agli appelli della sua volontà.

Avere il senso di Dio e della sua grandezza, della sua onnipotenza e misericordia non è un sentimento per niente scontato ai nostri giorni. Lo scrittore francese Bernanos nei primi decenni del secolo scorso ci ha lasciato queste parole sagge e profetiche: "Non si capisce assolutamente niente della civiltà moderna se non si ammette per prima cosa che essa è una congiura universale contro qualsiasi specie di vita interiore".

Si vive di fuori, presi quotidianamente da mille affanni e preoccupazioni, in una lotta contro il tempo e le scadenze e non si trova mai l’occasione buona per fermarsi e pensare a Dio e a coltivare la propria anima.

In questo mondo pieno di voci contrastanti e che fanno a gara per superarsi a vicenda, ingenerando confusione e scetticismo, come può trovare ancora posto la voce di Dio che parla attraverso coscienza e la sacra Scrittura?

“Ascoltate oggi la sua voce”, ci invitava il salmo responsoriale, “non indurite il cuore come a Merìba (che vuol dire il luogo della contesa)” e a Massa (che vuol dire il luogo della tentazione).

E ancora prima sollecitava: “Venite, prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati. Egli è il nostro Dio e noi il suo popolo...”

Da tante parti ci si lamenta che al giorno d’oggi mancano punti di riferimento sicuri e condivisi. Ciò avviene perché manda un centro di gravità che conferisca equilibrio e saggezza nelle scelte, sia a livello sociale che a livello personale. Essendo offuscato il centro, viene meno anche la possibilità della concentrazione interiore cioè di vedere rispecchiato nella nostra coscienza il riflesso dell’eternità.

In realtà noi troviamo la nostra consistenza, immergendoci nell'adorazione, non di noi stessi e delle nostre contraddizioni, ma del Dio vivo e vero, che come diceva Gesù nella seconda parte del Vangelo di oggi, ha il diritto di essere servito per primo.

Solo l’adorazione di Dio libera l’uomo dal ripiegamento su se stesso, dalla schiavitù del peccato e dall’idolatria del mondo. La sua inutilità è solo apparentemente senza significato, in realtà aiuta a dare significato a tutte le cose.

Se in una società non esiste più adorazione, se essa si costruisce al di fuori di Dio, la conseguenza non sarà soltanto di una mentalità secolarizzata, antireligiosa, ma anche disumana.

Attraverso la preghiera, in particolare l'adorazione, il cristiano contribuisce misteriosamente alla trasformazione radicale del mondo e alla diffusione del Vangelo.

Scendendo nel particolare, durante la Messa non basta la curiosità che ci porta a considerare quello che avviene sull’altare, occorre la fede ci spinge verso una adorazione comune, un rivolgersi insieme a Colui che viene.

A Maria santissima, la madre del Signore, che fin dall’annunciazione ha adorato il disegno divino che le era stato rivelato e che in tutta la sua vita si è considerata sempre la “serva del Signore” affidiamo il nostro impegno di ascoltare il Signore e di vivere nella fede.

 

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