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TESTO Dio è innocente. Convertitevi a lui

padre Gian Franco Scarpitta  

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/09/2008)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Quando ci si trova nell’estrema necessità o è imminente un serio pericolo non si esita a ricorrere a Dio nella preghiera di richiesta, anche se di solito non siamo abituati a pregarlo e magari neppure a credere che esista. Dio per molta gente diventa indispensabile soltanto quando la paura, l’angoscia e il turbamento per un rischio o una difficile situazione turbano il sonno suscitando fremiti di impazienza e di tensione, oppure quando la fame e l’indigenza economica mettono in forse la nostra sopravvivenza.

Ecco perché a mio giudizio, contrariamente a quanto si possa pensare, sono proprio le situazioni di miseria e di precarietà quelle che aprono il cuore alla trascendenza: nelle occasioni del bisogno materiale e quando siamo in preda ai problemi, allora ci si accorge che solo Dio può venirci incontro almeno come garanzia effettiva che non si trova nell’umanità e infatti non poche persone scoprono Dio quando si trovano in preda alle difficoltà e alle indigenze materiali.

Un po’ come quando ci si trova nel pieno di un periodo bellico: la penuria di cibo, il sangue dilagante, la morte e il terrore inducono anche i cuori più deboli e restii a cercare Dio; tanto quanto non avvenga in tempi di pace, benessere e prosperità, quando le sicumere terrene relegano Dio al solo dato delle chiese e delle sacrestie.

Questa è una delle spiegazioni per cui Dio permette (non vuole il male): la formazione dello spirito umano. In presenza del male fisico e morale Dio è innocente (San Tommaso D’Aquino), cioè Dio non ne è la causa diretta né indiretta; semplicemente egli si mostra consenziente, lo permette per un fine del tutto educativo e anche perché nei suoi disegni dal male in un certo qual modo è capace di trarre il bene.

Uno degli insegnamenti che noi dovremmo trarre dalla divina permissione del male è appunto questo: Dio non è il nostro tappabuchi (come lo definiva Bonheffer), sempre pronto ad intervenire per soddisfare le nostre richieste anche più ridicole e insignificanti e la religione e il sacro non appartengono alla sfera dell’alienazione e della fuga dalla realtà; la fede non è un espediente utile solo nel bisogno e nell’estrema difficoltà ma Dio deve essere, nel male e nel bene, il nostro Referente Principale, il Bene assoluto e primario, l’inizio e il fine ultimo in ogni circostanza.

Eccoci allora al senso del monito perentorio del profeta Ezechiele: “Non è ratta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?”

Il profeta si rivolge in nome di Dio al popolo di Israele affinché si abbia termine la tendenza dell’uomo a sindacare l’operato del Signore, a lamentare ogni suo intervento e perché piuttosto ci si orienti alla comprensione di quello che deve essere il nostro reale rapporto con Dio per poter rettamente interpretare la sua volontà nei nostri riguardi e meglio disporci nei suoi confronti.

Perché in effetti è troppo facile mettere in discussione l’esistenza di Dio e protestare sul suo operato negando la Provvidenza quando non si ha la coscienza a posto, e soprattutto quando la nostra condotta è abominevole e perversa: anziché ergerci a giudici di Dio e della religione occorre analizzare la propria condotta, provvedere alle nostre lacune e rimediare agli errori che noi commettiamo nei confronti degli altri.

Mi è successo di conversare con qualcuno che criticava il lusso della Chiesa obiettando che i possedimenti ecclesiastici dovrebbero andare in beneficenza, ma quando ho ribattuto che le opere di bene poteva farle anche lui da non credente domandandogli se fosse stato disposto a cedere almeno una parte dei suoi beni a favore dei poveri ho riscontrato quanto sia grande l’immaturità di coloro che avversano la fede e la religione (almeno in buona parte) poiché non sarebbero in grado o non avrebbero la volontà di colmare essi stessi le lacune che rimproverano severamente alla Chiesa. Coloro che criticano le ricchezze ecclesiali, insomma, solitamente sono restii a fare essi stessi del bene e coloro che avversano il credo religioso molte volte dimostrano di avere bisogno in realtà loro stessi di una fede. Per crescere almeno in formazione umana.

Quello che insomma è necessario è che ci si CONVERTA realmente a Dio perché solo nel processo penitenziale è possibile convincersi che Dio in realtà e Amore che si riversa continuamente a favore dell’uomo anche quando sembri che egli ci usi indifferenza e ci lascia in balia del male fisico e del male morale, insomma quando sembra che lui non esista.

Piuttosto che sindacare Dio occorrerebbe riscoprire che il realtà Dio ci chiama a sé e che occorrerebbe optare per una conversione seria e radicata a lui e non è mai troppo tardi andare a lavorare nella sua vigna quando lo si fa volentieri e con molta sollecitudine.

Fra l’operaio che dice di voler andare a lavorare nella vigna ma poi usa l’ipocrisia di non andarci per seguire i suoi itinerari e quello che invece in primo momento si nega per poi ripensarci, certamente quest’ultimo è da lodare maggiormente. Perché? Perché il suo ripensamento è frutto di un serio processo di maturazione nella presa di coscienza del padrone della vigna e perché le sue riflessioni lo hanno indotto a valutare attentamente che vale di più la pena il lavoro che la negligenza e appunto nei confronti di Dio vale la pena convincersi di lui anche tardi ma bene piuttosto che presumere di esserci a Lui convertiti definitivamente e inderogabilmente e poi mostrare infedeltà.

Convincersi di Dio è la via migliore che non mancherà mai di recarci soddisfazioni quante saranno invece le inquietitudini che si riscontrano nel giudicarlo e nel biasimare la sua condotta.

 

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